La speranza costruttiva è un obbligo.

Paolo Giordano ha raccontato di essere cresciuto in una famiglia dove il televisore era disprezzato e ostracizzato, mentre il computer era considerato uno strumento di grande conoscenza. Secondo l’autore, il nostro rapporto emotivo con la tecnologia ha vissuto tre fasi: all’inizio ci abbiamo messo il desiderio di comunicazione aumentata, poi funzionalità che ci semplificavano la vita. Alla fine sembra che le nuove tecnologie servano solamente a fare soldi. Chi si è arricchito con Internet viene indicato come modello, creando miti sbagliati nei giovani. Purtroppo siamo antiquati rispetto alla tecnologia, lo è la democrazia, la cui contrazione è legata allo sviluppo di questi strumenti.  C’è enorme differenza numerica tra i pochi che conoscono davvero gli strumenti come l’intelligenza artificiale e i miliardi che la usano.
“Non credo che l’angoscia dilagante delle giovani generazioni possa venire più dalle ore di uso del telefono che dal fatto che ci sono due guerre contro le quali il mondo adulto si mostra impotente” ha concluso Giordano, suggerendo però che se la politica non riconquista la fiducia non sarà possibile andare oltre gli schermi.

Biografia

Paolo Giordano è nato a Torino nel 1982. Ha un dottorato in fisica ed è autore di cinque romanzi: La solitudine dei numeri primi (Mondadori 2008, Premio Strega e Premio Campiello Opera Prima), Il corpo umano (Mondadori 2012), Il nero e l’argento (Einaudi 2014 e 2017), Divorare il cielo (Einaudi 2018 e 2019) e Tasmania (Einaudi 2022, Premio della Lettura).

Per Einaudi ha pubblicato anche i saggi Nel contagio (2020) e Le cose che non voglio dimenticare (2021). Ha scritto per il cinema (Siccità, We Are Who We Are) e il teatro (Galois, Fine pena: ora). Collabora con il «Corriere della Sera».