La campagna "Non sono tua"

In questa campagna la voce è quella delle donne. Di tutte le donne che vivono qui. Non importa la provenienza, o l’età, o lo status sociale. Perché la violenza degli uomini contro le donne ha dinamiche universali. Sono azioni abusanti, violente, controllanti, in certi casi irreversibili. Questa campagna multilingue è un coro di dieci ‘NO’, è un decalogo di divieti. Il primo è il principio fondamentale da cui discendono tutti gli altri: ‘Non sono tua’

Le parole per dirla

“Ogni volta che una donna lotta per sé stessa lotta per tutte le donne”

La frase della poetessa e attivista Maya Angelou campeggia in corsivo sulla parete bianca, decorata con grandi fiori. Uguali a quelli che adornano le altre pareti della stanza. Non una stanza qualunque all’ospedale Morgagni-Pierantoni di Forlì, ma una stanza tutta per sé, per le donne vittime di violenza. Un luogo dove le pareti con i grandi fiori aiutano a mettere la giusta distanza, a fissare l’inizio di un nuovo percorso, mentre fuori scorre il tempo frenetico dell’emergenza e della cura.

La Stanza dell’accoglienza è “di supporto anche per i sanitari perché sanno come devono entrare e che, quando si dedicano a questo problema, l’orologio non conta più”, spiega Tiziana Iervese, responsabile della Struttura Semplice di Medicina d'Urgenza del nosocomio forlivese

Le parole sono luoghi, persone, professioni. Ed è dalle parole che bisogna partire per comprendere la violenza contro le donne.

“Riuscire a nominare la violenza che ci viene perpetrata, anche solo a parole, è il primo modo per comprenderla, di tracciare dei confini attorno a qualcosa che ci ha fatto del male. Dopodiché il fatto di poterla nominare ci permette di metterla in comune”, afferma la sociolinguista Vera Gheno.

Le parole sono persone. “Sette donne su dieci circa che arrivano da noi sono donne italiane”. Inoltre, “negli ultimi anni, e pensiamo anche in ragione del lavoro di prevenzione che facciamo ormai da venticinque anni, sono aumentati gli accessi di donne giovani che si interrogano prima su qualcosa che sentono che non va. Forse fare prevenzione dimostra la sua efficacia”. A parlare è Rosalba Palermo, operatrice del Centro antiviolenza Nondasola, che dal 1997 a Reggio Emilia accoglie le donne del territorio.

Sara Azzarelli, invece, è un’operatrice del Centro antiviolenza ChiamachiAma di MondoDonna di Bologna, oltre che addetta allo sportello mobile antiviolenza della grave emarginazione adulta: “Passiamo un'ora insieme- spiega Azzarelli- e ci riconcentriamo sul parlare di noi, del nostro corpo. Anche da questo può emergere un vissuto di violenza, che non era stato percepito, non era stato magari riconosciuto o comunque non si era trovato uno spazio abbastanza sicuro da poterlo portare”.

Le parole sono tempo. “La cosa fondamentale per noi è accogliere ogni donna nel rispetto dei suoi tempi. Il tempo per noi è molto importante”, spiega Marianna Santonocito, da tre anni operatrice d’accoglienza e psicologa del Centro antiviolenza Linea Rosa ODV di Ravenna. “L’ascolto, il non giudizio e il tempo sono gli aspetti principali perché, quando le donne arrivano a Linea rosa, arrivano in una condizione di paura, di pericolo, che è la condizione che hanno vissuto per tantissimo tempo”.

La rete delle Case e dei Centri antiviolenza in Emilia-Romagna

Sono 23, in tutte le province del territorio

A cura di Mara Cinquepalmi, Agata Matteucci, Enrico Amadori, Elisa Ravaglia, Cristina Gaddi, Annalisa Dall'Oca, Stefano Asprea