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Camelina e carinata: nuove colture per biocarburanti sostenibili e per l'industria bio-based

Due piante ancora poco note che promettono di dare una spinta importante all'economia bio-based: potenziare la loro coltivazione è l’obiettivo del progetto Horizon Europe CARINA, coordinato dall’Università di Bologna


Dai biocarburanti avanzati al nylon sostenibile, passando per fitofarmaci e prodotti cosmetici. Ci sono due piante ancora poco note che promettono di dare una spinta importante all'economia bio-based. Si chiamano camelina e carinata e sono al centro di CARINA, progetto Horizon Europe coordinato dal Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell'Università di Bologna.

Il progetto coinvolge non solo università, centri di ricerca e aziende agricole, ma anche diverse aziende che cercano materie prime sostitutive di altre di origine fossile o di importazione: dall’impresa che produce nylon a partire dal ricino e vuole utilizzare anche altri tipi di olio, a quella cosmetico-farmaceutica che cerca sostanze stabilizzanti per i propri prodotti, fino a quella fitofarmaceutica che lavora ad un erbicida naturale come possibile alternativa al glifosato. Senza dimenticare il grande settore dei biocarburanti per auto, aerei e navi, per il quale servono oggi alternative all’olio di palma e alla soia.

"L’agricoltura del futuro dovrà fornire grandi quantità di materie prime rinnovabili all’industria, ma al tempo stesso dovrà garantire la salvaguardia della biodiversità e della salubrità dei suoli e dell’ambiente", spiega Andrea Monti, professore al Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Università di Bologna e coordinatore del progetto CARINA. "C’è grande fame di biomasse, ma occorre procedere in maniera razionale ed equilibrata, senza rischiare di incorrere negli errori passati".

Proprio i biocarburanti, in questo senso, sono un caso esemplare. Nel 2009 una direttiva europea aveva lanciato l'olio di palma come materia prima per la loro produzione, con conseguenze però paradossali in termini di disboscamento e produzione di gas serra. È arrivata quindi una nuova direttiva, nel 2015, che ha messo l'accento sulle emissioni indirette causate dall’aumento delle superfici dedicate alle coltivazioni agro-energetiche (un parametro chiamato ILUC - Indirect Land Use Change). I biocarburanti prodotti con coltivazioni ad uso alimentare o ad alto rischio ILUC, come la soia o la palma da olio, non saranno quindi più considerati una fonte di energia rinnovabile, come dimostra il regolamento approvato in questi giorni dal Parlamento Europeo sulla decarbonizzazione dell’aviazione.

"In seguito a queste novità l'Italia è diventata una grande promotrice dei biocarburanti, mentre la Germania sta puntando sugli e-Fuels, i carburanti sintetici: in ogni caso è fondamentale che un biocarburante sia riconosciuto tale per legge", precisa Monti. "In tal senso, è importante sottolineare che i sistemi agricoli a cui stiamo lavorando all’interno del progetto CARINA rientrano nella categoria dei 'biocarburanti avanzati' e dunque a zero rischio ILUC".

Carinata e camelina sono infatti colture non alimentari, che si inseriscono facilmente nelle rotazioni con colture alimentari tradizionali. Comunemente, ad esempio nella coltivazione di mais e frumento, sono previste lunghe pause fra due colture principali: tra giugno e marzo il terreno resta libero, e questa pausa può essere sfruttata per colture come carinata e camelina. Una pratica, questa, che oltre offrire nuove risorse per la produzione sostenibile, favorisce la biodiversità, mantiene i terreni più facilmente lavorabili e li protegge dall'erosione.

"Con il progetto CARINA studiamo e sperimentiamo come inserire queste nuove colture nel modo più efficace possibile", dice ancora Monti. "E ci rivolgiamo non solo ai grossi gruppi, ma anche e soprattutto ai piccoli agricoltori del bacino del Mediterraneo, che in questo modo possono acquisire conoscenze sull’agrotecnica e decidere come avvicendare o consociare le nuove colture con cereali, piante leguminose o anche colture arboree".

Il progetto coinvolge otto paesi europei (Italia, Francia, Spagna, Germania, Slovacchia, Grecia, Polonia, Bulgaria), oltre al Libano e alla Tunisia, con università, centri di ricerca e imprese. Ci sono aziende del settore dei carburanti, del mondo della moda, aziende farmaceutiche e cosmetiche, tutte accomunate dalla ricerca di nuove materie prime con caratteristiche chimico-fisiche specifiche da selezionare a seconda dei diversi interessi merceologici.

Accade ad esempio per il nylon che si realizza con il ricino, proveniente dall’India e dal Brasile: chi lavora nella produzione di questo materiale è preoccupato dall’instabilità di questi mercati e cerca materie prime alternative prodotte in Europa. Ma sono interessate anche aziende che producono bioplastiche o che lavorano nell’ambito del biologico per la produzione di nuovi biostimolanti e bioerbicidi, in sostituzione a quelli sintetici come il glifosato. Sono coinvolte inoltre imprese che producono solventi o stabilizzanti non chimici per i prodotti cosmetici e farmaceutici, e anche industrie interessate ai resti dell’estrazione dell’olio, ricchi di proteine, che possono essere utilizzati per l’alimentazione zootecnica.