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Antibiotico-resistenza: una sfida per il modello One-Health

L’antibiotico resistenza è un rischio emergente che coinvolge gli animali allevati e gli umani. Per affrontarla non servono più medicinali. Serve al contrario un cambio di strategia secondo l’approccio “One Health”, un’unica salute. Autore: Prof. Gabriele Costantino, Università degli Studi Parma, 25/02/2022

1f021998-c02d-4f92-8157-1ff84e3b92e6.jpegApprofondimento a cura del Prof. Gabriele Costantino, Direttore di Dipartimento Scienze degli Alimenti e del Farmaco dell'Università di Parma (nella foto)

L’identificazione degli antibiotici, la comprensione del loro meccanismo d’azione e poi la capacità della loro produzione industriale e dei loro derivati di sintesi ha avuto, nell’ultimo secolo, un impatto enorme sulla durata e -soprattutto- sulla qualità della vita di una buona parte (non tutti, e non in tutte le parti) dei Sapiens che popolano il pianeta Terra. Tuttavia, gli scricchiolii sono sempre piu’ frequenti, seppur non sempre distintamente recepiti, e alcuni di noi sono familiari con le fosche previsioni che molti organismi sanitari, dalla OMS in poi, fanno sulle conseguenze della ‘resistenza antibatterica

Chi si occupa di farmaci e di medicine, purtroppo, non puo’ far altro che assecondare queste fosche previsioni e anticipare – con serenità e disincanto- che se i Sapiens intendono vincere la guerra contro i batteri patogeni dando una prova di forza, attraverso un uso sempre piu’ abbondante di farmaci sempre piu’ sofisticati, ebbene, si tratta di una battaglia persa in partenza.

Proviamo a vedere perché, e come invece si potrebbe disegnare una strategia con (qualche) probabilità in più di successo. 

Il motivo fondamentale per cui la battaglia - così come la stiamo giocando - è persa in partenza è che i batteri patogeni vivono in una scala temporale diversa da quella dei Sapiens (e dei mammiferi e dei vertebrati, in generale). Una cellula di Escherichia coli si divide (e genera quindi due cellule ‘figlie’) circa ogni 30 minuti. Questo vuol dire che in 24 ore, teoricamente, si generano da un’unica cellula madre 281.474.976.710.656 cellule figlie (le cose non stanno esattamente cosi’, ma il conto combinatoriale dà il senso delle dimensioni del problema). Ora, durante la pandemia Covid molti di noi hanno acquisito familiarità con il concetto di mutazioni e di ‘varianti’. Durante ogni ciclo di replicazione, nel materiale genetico di un organismo si presentano delle mutazioni. Puo’ accadere che alcune di queste mutazioni rendano meno efficace un antibiotico contro quel patogeno. Se somministriamo quel dato antibiotico, tutti le cellule batteriche che non presentano la mutazione vengono uccise o non si riproducono, mentre quei pochi esemplari che presentano la mutazione riescono a sopravvivere al trattamento. Naturalmente, in pochissimo tempo le cellule batteriche sensibili all’antibiotico spariranno, mentre il ceppo mutato (resistente) diventerà predominante e trasmetterà alla progenie la mutazione. Ecco che – come si dice- è emersa la resistenza.

C’e’ un ulteriore elemento di complessità, che rende addirittura piu’ grave il fenomeno della resistenza dal punto di vista farmacologico-clinico, che è legato al fatto che batteri (anche di specie diverse) possono scambiarsi il materiale genetico (i geni di resistenza) per via ‘orizzontale’, e non solo per replicazione. I geni di resistenza, quindi possono trasmettersi da un batterio ad un altro, accelerando la futilità dei trattamenti antibatterici. 

Si comprende bene quindi come, una volta emersa la resistenza di un patogeno di interesse clinico verso l’antibiotico X, è senz’altro possibile provare a progettare l’antibiotico Y contro cui il gene di resistenza nulla può, ma la velocità con cui i patogeni si adattano al nuovo pericolo (dal loro punto di vista) è infinitamente superiore alla nostra velocità di sviluppo di nuovi farmaci. Ecco, quindi, che siamo di fronte ad una corsa persa in partenza. 

Naturalmente, siamo ancora in grado di gestire con grande efficacia clinica la gran parte delle infezioni batteriche, ed il fatto che un batterio sia resistente ad uno o piu’ antibiotici non vuol dire che non possa esser trattato – ad esempio impiegando combinazioni o adiuvanti. Tuttavia, il problema della costante riduzione di efficacia dei trattamenti esistenti, e la costante emersione di ceppi patogeni ‘ultra drug-resistant) è un problema reale le cui conseguenze saranno sempre più visibili nei prossimi anni.

La battaglia contro la resistenza antibatterica, quindi, deve prevedere un cambio di strategia. E una strategia funzionale deve basarsi sulla comprensione del ‘perche’ i batteri (alcuni, molto pochi) costituiscono una sfida per gli umani ed altri animali. L’emersione di infezioni batteriche sfidanti la salute degli uomini, degli animali e delle comunità tra uomini e animali è un evento relativamente recente, ed ha accompagnato la crescita delle civiltà basate sull’agricoltura e sulle città altamente popolate. La contiguità improvvisa tra molti uomini e molti animali ha spinto le zoonosi (pensiamo alle epidemie di peste dell’antichità) e poi la trasmissione di patogeni tra stesse specie (uomini, animali da allevamento) ‘forzate’ ad una vita comunitaria. Gli stessi meccanismi che nei secoli scorsi hanno portato alle prime zoonosi batteriche, e poi alle ricorrenti epidemie (dal colera alle meningiti, dalle infezioni da streptococco alle infezioni della pelle) stanno ora favorendo la diffusione dei geni di resistenza.

L’uso massivo, inappropriato, mal dosato di antibiotici ed antibatterici , e la loro diffusione nell’ambiente, attraverso gli scarichi fognari, gli alimenti, gli ospedali, ha generato negli ultimi decenni un ambiente diffuso di pressione evolutiva che favorisce la comparsa di ceppi via via sempre piu’ resistenti. L’esposizione degli uomini e degli animali a basse ma costanti quantità di antibiotici rappresenta il meccanismo piu’ efficace attraverso cui vengono selezionati ceppi resistenti a quegli antibiotici. E, attenzione, la selezione del ceppo resistente è -classicamente- un problema di comunità e non di individuo! La scarsa aderenza ad una terapia, un uso inappropriato o inopportuno di un certo antibiotico raramente costituisce un problema serio (almeno nel mondo occidentale) per l’individuo che segue la pratica inappropriata, ma costituirà un grave problema per la comunità che ospita quell’individuo. E cosi come il Tevere della Roma imperiale, o il Tamigi della Londra proto-industriale sono stati i veicoli delle grandi epidemie batteriche, ora è l’ambiente -e più precisamente il rapporto che gli umani ed i loro animali strumentali hanno con l’ambiente- il principale veicolo della circolazione dei geni di resistenza.

E’ da questa consapevolezza che è stato coniata l’espressione ‘One Health’, un’unica salute. Purtroppo in tante circostanze siamo abituati ad ascoltare e usare espressioni come ‘parole chiave’, perdendone il senso profondo. L’approccio One Health, oltre ad una serie di pratiche, di linee guide basate sull’evidenza scientifiche relative all’impiego, allo smaltimento, al controllo dei farmaci antimicrobici, rappresenta un invito ad un cambio di paradigma, alla riflessone sul fatto che le comunità non sono solo insiemi di singoli individui ma veri e propri ecosistemi che si influenzano a vicenda, e le cui dinamiche attuali influenzeranno le generazioni di domani. Gli antibiotici e gli antibatterici di sintesi hanno reso quattro generazioni di Sapiens sani e prosperi. Questa è una ricchezza che abbiamo il dovere di trasmettere alle prossime generazioni.

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ultima modifica 2023-09-14T13:04:46+02:00
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