Episodio 4 - I giovani son sempre giovani
Trascrizione
Trascrizione
Jacopo Frenquellucci:
Non è quello che è stato perso, ma è quel che cresce. “Il primo castagno” è un podcast della Regione Emilia-Romagna con lo scrittore casolano Cristiano Cavina che a partire dal suo ultimo libro “Tropico del fango” ci racconta i due anni dopo l'alluvione di maggio 2023. Perché essere tristi e spietati è troppo normale.
Dialogo tra Jacopo Frenquellucci – Regione Emilia-Romagna (JF) e lo scrittore Cristiano Cavina (CC)
JF:
Vado un attimo alla conclusione del libro, che è una poesia, posso chiamarla poesia quella parte sugli schizzi di fango? E lì versa questa figura del fotografo con gli stivali e ancora col cartellino. Ma quanti altri sciacalli hai visto? E non dico gli sciacalli, quelli che abbiamo visto, insomma, nei primissimi giorni che provavano a rubare nelle abitazioni. Ci sono ancora, a distanza di due anni?
CC:
No, io so che molti andarono al Conad, a svuotare il Conad City di via Garibaldi appena alluvionato, la notte, perché erano venute via le porte e qualcuno lì ha fatto la spesa.
In realtà, guarda, la poesia “Schizzi di fango sul curriculum” è nata solo perché mi è venuta in testa il protagonista che non è un fotografo, ma fa un altro mestiere. E io anche in questo caso non dirò nome e cognome, ma io quando l’ho scritta mi riferivo esattamente a una persona. So che nome e cognome ha e ho anche una foto di quel momento lì che io terrò con me e, posso tranquillizzare, morirà con me perché non la farò mai vedere. Ma se c'è una cosa che non sopporto non è tanto il fatto che non uno è venuto da fuori, non è quello. Il 70% di Faenza non si è alluvionata. La maggior parte dei fantini non ha avuto niente in casa e ci sta che venissero a vedere la situazione nelle zone alluvionate, ci sta benissimo anche che scattassero le foto. Non è quello. È quando ti trasformi in qualcos'altro e infanghi il tuo “curriculum”. Va benissimo tutto, va bene anche che l’abbiano fatto per i like, l'abbiamo fatto tutti. Va bene. Ma è quando provi a fare anche il fenomeno su questa roba qui che proprio non va bene. In realtà non l'ho visto fare in molti. Tutti, anche i volontari - amatissimi - che sono venuti ad aiutare, hanno fatto il video, giustamente o la foto. Ma va benissimo, va bene, anzi dovevano farne di più. Va benissimo. E quando non c'è tutto il resto dietro, quando proprio parti già con l'idea che tutto quello che ti serve sono gli schizzi di fango sua roba. Che servono solo essere schizzi di fango sulla roba. E lì diciamo che non è tanto lo sciacallaggio dei like, ma quello va bene, è proprio lo sciacallaggio della disperazione che è inaccettabile.
JF:
Passo un po’ di palo in frasca, ma nemmeno troppo. Comunque abbiamo parlato di like, di social, abbiamo parlato di volontari, di fango o meno sul curriculum.
A partire da tuo figlio Joe e poi tanti altri ragazzi che avevi paragonato a Sandokan. Se non mi ricordo male, sono tanti, tantissimi i giovani nel tuo libro. Giovani che appunto, al di là dei dialettismi vari, abbiamo trattato benissimo per qualche settimana e poi dopo sono tornati a essere i giovani di sempre: quelli delle baby gang e tutto il resto. Hai visto qualcosa cambiare in tuo figlio dopo le alluvioni? Nei suoi amici, nei giovani che hai modo di frequentare? Non bambini, adolescenti…
CC
Ah, ma sai, gli adolescenti… Siamo stati tutti adolescenti: la tua vita può sembrare un inferno orribile, poi conosci un ragazzo o una ragazza che ti piace e tutto il mondo diventa bellissimo, si aggiusta. Quindi guarda che in realtà, m'han confermato una cosa: i giovani sono da sempre e saranno per sempre i giovani e da sempre per sempre saranno esseri giudicati incomprensibili da chi è, nel frattempo, non più giovane, perché è diventato vecchio. Anche quando io ero adolescente, tutti noi eravamo satanisti, gente spregevole che avrebbe rovinato l'Italia. Come era mia mamma per mio nonno. “Dove andremo a finire che non ballano il liscio e ascoltano Claudio Villa o Lucio Battisti?” E lo stesso succedeva con mio nonno che si lamentava di mia mamma che ascoltava Lucio Battisti. Mia mamma se l'è dimenticato crescendo e si lamentava che io ascoltavo l'heavy metal, non ascoltavo Lucio Battisti. Lo stesso faccio io, che mi lamento con figlio che non ascolta l'heavy metal e gli piace l'hip hop o un altro tipo di musica. I giovani sono sempre giovani, come erano giovani quelli che, quando c’è stato il terremoto in Friuli, sono andati lì a tirar fuori dalle macerie, i giovani che erano a Firenze per l'alluvione e che anche lì dopo han detto: “Eh… è la meglio gioventù…” e qualche giorno dopo, sono diventati tutti fecce. Sono tutti ragazzi e fanno le cose che fanno i ragazzi. I ragazzi fanno una cosa che è molto diversa da quella che facciamo noi vecchi. Noi viviamo pensando tanto a quello che abbiamo vissuto, i giovani vivono e pensano a quello che vivranno e quindi del passato non gliene frega ancora niente, perché sono, appunto, giovani. Quando avranno molto passato da tirarsi dietro, diventeranno tutti come noi. Si lamenteranno dei loro giovani e guarderanno al loro passato. E questo, il mondo è così, è una cosa bella. È stata una conferma: giovani han fatto quello che avevano fatto i loro coetanei, in tutti i disastri che ha avuto questa nazione: si sono precipitati a dare una mano. E hanno dato anche una lezione a me personalmente che ho scoperto che a cinquant'anni, nonostante quello che pensavo, la mia schiena non è più come quella di mio figlio, che ne ha 16, che ne aveva 16 all'epoca.
JF:
Parlavamo di volontari nella storia, ma conosci qualcuno che dopo essere stato alluvionato magari è andato a Campi Bisenzio? Penso all’alluvione che è arrivata subito dopo in Italia, qualcuno che un po’, insomma.
CC:
Sì, sì. Adesso non so dirti il nome, ma so che sono partiti molti da Marradi, sono andati da Casola, penso, qualcuno ci è andato di sicuro. Anche da Faenza sì, sì, penso siano andati. È normale. È sempre stato così ed è giusto che sia così. Anche se poi sono alluvioni diverse, perché a differenza nostra, lì fa prima ad arrivare al mare. Noi abbiamo questo fatto che la nostra pianura è più bassa del mare e quindi si infogna un po’ di più. Però hanno avuto una bella sleppa anche lì. Beh, a Prato, che si è alluvionata poco dopo di noi, fece un disastro anche lì. No, no, ma… si parte e si va.
JF:
A proposito di dolore, uno dei passaggi che almeno io ho sentito come più doloroso è il racconto di quella vittima che tu avevi conosciuto, incrociato al supermercato, però lui passava da una via, tu passavi dall'altra, quindi vi vedevate, boh, immagino al banco della gastronomia. È cambiato qualcosa dopo l'alluvione? Adesso ti viene da fare una chiacchiera in più quando sei a prendere le pizzette e l'estathé al forno o è già tornato come prima?
CC:
Sono diventato molto più amico dei fratelli Servadei, i fornai … che poi erano finiti anche come pescatori dell'ananas. Perché è nata l'amicizia con loro con quello. La notte orribile, quella fra 16 e 17, loro fecero il pane per tutta la via e lo diedero via gratis.: “Tenete, prendete.”
E dopo ci ritrovavamo sempre, visto che ci eravamo alluvionati 1, 2, 3, 4 volte, ci ritrovavamo tutti allo stesso punto a vedere il livello del fiume, no? E quindi non so diventi come compagni di pesca o compagni di avventure o non so come dire. Sì. E quindi? E quindi qualcosa è cambiato… Sì. In quello sì, continuo a non salutare tutti, vorrei salutare più persone. C'è un punto nel libro in cui dico che bisogna farci caso alle cose che hai vicino finché ci sono e non aspettare che si perdano. Però così è umano. Sto più attento, faccio un sorriso in più, un saluto in più, una battuta in più.
JF:
La tengo alla fine perché tanto è stata la star, dalle televisioni, agli analisti del post, il nostro documentario: tua mamma, che cosa ti ha detto di questo libro?
CC:
Mia mamma non dice mai niente dei libri, perché mia mamma ha una regola ferrea che penso mi abbia aiutato a diventare, alla fine, una persona, spero, decente. Mia mamma a me non fa mai complimenti, qualsiasi cosa che posso farmi sentire più patacca di quello che non sono già e quindi non dice niente. So che è contenta come immagino, siano contenta tutte le mamme quando hanno un figlio che comunque ha il suo lavoro, ha il suo mestiere. Non ha detto niente, penso che non me lo dirà mai. Io le cose di mia mamma le capisco dagli occhi e il fatto che ci sia un capitolo che parla delle sue galline, anche se poi io infierisco perché lei si commuove per le galline e poi però, comunque, dopo ci fa il brodo. Perché ha questa cosa molto Sioux: uccidiamo i bisonti, preghiamo per i bisonti, però poi alla fine li mangiamo. Nel nostro caso non abbiamo bisonti ma polli. Le scintillano gli occhi, penso sia contenta ed è anche contenta perché questa cosa dell'alluvione gli ha dato almeno altri 888.000 anni di chiacchiere e cose che potrà raccontare ogni volta che va, si sposta da Casola e potrà fare una testa così alla gente, raccontando di quando le è franato mezzo mondo e lei è rimasta con le sue galline.
JF
Cristiano, ma prima di salutarci, ci leggi un pezzo del tuo libro, per favore?
CC:
Ok, proviamo, poi se non va bene ne leggo un altro.
Via Montefortino, al momento non esiste: il versante della collina è franato sulla strada. L’unico modo che hanno per andare in paese è tagliare per il giardino dietro casa di Luisella. Abita proprio appena sotto a mia mamma. Parcheggio la macchina lì. Via Cenni. Quante volte ci abbiamo giocato a calcio, con Isola, Bomba, Rigo, Riccardino? Usavamo come porta al garage o la ringhiera della Villa del professor Pittano, (sì, quel Pittano, dei dizionari, sinonimi e contrari, Italiano-Latino: proprio lui casolano doc: siamo tutti di noi una confraternita, non un paese).
Suono il campanello per chiedere se posso passare, ma non c'è nessuno. Mi prendo la libertà di passare lo stesso. Qualche gradino, il cancellino tra cespuglio di more e il corbezzolo; la stradina privata che scende a casa di mamma: i tetti umidi di Casola dietro le chiome dei dieci ulivi di Nati. Boschi e frane a perdita d'occhio, tra le volute di nebbia. Quella mostruosa sotto val Bianchino, verso la Toscana: come può una montagna spostarsi?
Ho le scarpe infangate e sono bagnato dalla testa ai piedi. È l’una, di solito mangiano tutti insieme da zia. Prima di entrare vado a sbirciare dal balcone dietro. Il Rio ancora in piena, il pollaio di Ilario sommerso, travolto anche da due frane. Resterà in piena per due settimane ancora.
La porta è socchiusa.
Entro.
Sono tutti a tavola. Mia cugina Cristina, Mauro, zio, zia, Cesare e Nico che non sarebbero esattamente nipoti ma lo sono lo stesso.
E Nicoletta Cavina, mia mamma.
Tavola imbandita come al cenone di Capodanno.
Avevo dubbi? Zero.
Mi dice che potevo anche togliermi gli scarponi prima di entrare.
Figurati se non trovo qualcosa per sgridarmi. Ci restavo male, se non lo faceva. Siamo ancora noi. Poi mi dice di sedermi, che forse ce n'è anche per me.
Mi raccontano del disastro, poi dicono che probabilmente sbarrano la strada dopo Borgo Rivola perché la frana che ha travolto mezza corsia sta venendo giù di nuovo: e anche il ponte dei Monteroni è messo male, c'è una voragine da una parte. Se chiudono non avrò modo di tornare a Faenza: non esistono più strade alternative, nessuna: distrutte tutte quante. E pure i monti per ricostruircele sopra. Mi sedio lo stesso, mangio al volo prima di scappare; sì, alla fine ce n'è anche per me.
Tutto questo ci è accaduto a Casola, il 18 maggio del 2023.
JF:
Avete ascoltato un dialogo libero tra lo scrittore Cristiano Cavina e il giornalista Jacopo Frenquellucci.
“Il primo castagno” è un podcast dell'Agenzia di informazione e comunicazione della Regione Emilia-Romagna.