Trascrizione

Trascrizione

Jacopo Frenquellucci:

Non è quello che è stato perso, ma è quel che cresce. “Il primo castagno” è un podcast della Regione Emilia-Romagna con lo scrittore casolano Cristiano Cavina che a partire dal suo ultimo libro “Tropico del fango” ci racconta i due anni dopo l'alluvione di maggio 2023. Perché essere tristi e spietati è troppo normale.

Dialogo tra Jacopo Frenquellucci – Regione Emilia-Romagna (JF) e lo scrittore Cristiano Cavina (CC)

JF:

Tu ci avevi spoilerato clamorosamente “Tropico del fango” quando eravamo venuti a casa tua, a occuparti casa, sotto Natale, per farci raccontare del Natale dell'Alluvione. Tu ci avevi detto tutto, dalle “mortaline”* alle ancore. È stato anche molto particolare, devo dirti, leggerlo, perché insomma era un déjà vu molto piacevole. Ma tu, quando ti hanno proposto di pubblicare, quanti capitoli hai aggiunto dopo? Quanti ne avevi già scritti prima?

CC:

Io ho iniziato a scrivere in realtà i testi cinque o sei giorni dopo l'alluvione. Il primo testo era su un signore che aveva perso la mamma da poco, che aveva salvato solo una “mortalina”* di sua mamma che era rimasta appiccicata a un vetro. Poi ho scritto “Cannucce di plastica”, poi quello sulle ancore. Poi ho scritto “Casola mostro grano”** e poi, bene o male, erano finiti più o meno lì i testi che avevo scritto. Avevo continuato a scrivere, non proprio racconti interi, ma mezze pagine. Io andavo a dare una mano, facevo quello che dovevo fare. Poi, nel frattempo tutti abbiamo continuato a lavorare, quindi avevo comunque anche altre cose da fare. Poi, a volte, tornavo a casa e mi veniva in mente una sequenza di parole che riusciva a rendere l'idea di quello che vedevo, sentivo riguardo a questa cosa che ci era successa. Dopo ho scritto quello su Figliolo, ho scritto molto dopo quello sul bomber Picchetti, perché mi si è alluvionata la casa, la casa di mia mamma è franata e poi mi si è anche alluvionata la pizzeria dove davo una mano a Solarolo, anche quello sul bomber Picchetti “Bomber solarolesì, dove trovarli”, l'incipit l’ho scritto lì, pochi giorni dopo l'alluvione, però poi non mi veniva tutto il resto del racconto, è stato così anche con “Galline profughe” su mia mamma. Per “Galline profughe” addirittura avevo due o tre testi lunghi ma non riuscivo ad andare avanti. Quando mi sono messo a riordinare i raccanti ché la casa editrice “Laterza” voleva provare a pubblicare quelli e anche altri perché sennò erano pochi, ho capito perché non ci riuscivo, eh perché spesso non riesci a scrivere quando non sei onesto con te stesso quando racconti. Per esempio, riguardo al capitolo su mia mamma, partivo da un punto che mi consentiva di essere un po’ freddo, perché tenevo lontane certe cose. Poi da uno spunto, niente di che no… tipo sono riuscito a scrivere “Galline profughe” su mia mamma perché ho detto questa cosa, che abbiamo io e mia mamma, che lei quando mi spiega le cose si perde in 27 discorsi diversi. E una volta che ho detto quella piccola verità, che non è niente di che, è venuto fuori tutto il racconto. Però quello l'ho scritto, letteralmente, un anno e mezzo dopo l'alluvione, anche se lo avevo bene in mente perché avevo degli appunti, avevo queste cose qui.

JF:

Ma è stato strano pubblicarlo dopo una nuova alluvione, quella che è andata da Bologna a Traversara, per intenderci, come i due punti più colpiti.

CC:

Sì, quando abbiamo parlato di questa cosa, io ho detto che volevo dare il titolo “Tropico del fango”. I testi erano riferiti all’alluvione del 2023, per me era quella l’alluvione, solo che nel frattempo, dalla firma del contratto alla fine dei lavori, gli eventi si sono ripetuti e quindi è stato particolare. Perché non vorrei neanche dire di averla rivissuta, perché non è esattamente così, anche se certe cose, in effetti, le ho rivissute, come le ho vissute nel 2023. Infatti, quando sono andato a Bagnacavallo e mi sono trovato lì a dover parlare, due giorni dopo che l’alluvione si era portata via Traversara e quindi lì per lì non avevo scritto di questo avvenimento. Però dopo mi è venuto in mente, mi sono rivisto su quel palco, alla festa a Bagnacavallo, davanti a una platea, ricordo che era una giornata piovigginosa. La gente voleva che io spendessi due parole su questo evento appena successo. Questo episodio era rimasto dentro di me. C'era in programma un concerto, in realtà, quindi io ho parlato in mezzo a queste sedie vuote, con gli strumenti appoggiati sopra. Sembrava davvero che il mondo attorno volesse dirmi molto di più di quello che c'era in scena. C'erano un sacco di significati in più, è stato particolare. Perché poi io non ho vissuto in realtà l'alluvione di Traversara, ho rischiato, anche in questa occasione che mi si alluvionasse di nuovo casa, mi sono salvato di mezza spanna. Però quando m'han raccontato la storia di una figlia e il suo babbo che il giorno prima avevano finito di rimettere a posto la casa, che avevano fatto l'inaugurazione, avevano ancora il mutuo che avevano fatto per comprare la casa, e il giorno dopo, l’alluvione gliel'ha spazzata via e di questa casa non è rimasto niente. Anche se non era casa mia, ancora adesso se ne parlo mi viene il magone. Non so perché… perché immagino sia umano. Quando ti trovi a scrivere, mentre scrivi, ti colleghi a tante altre cose perché, forse anche giustamente, non comprendi fino a fondo, non capisci fino in fondo qual è la situazione, soprattutto lì, in collina. Io pensando a Traversava l'ho collegata a Casola e a molti altri paesi in collina, perché per loro lassù, per noi lassù, voi non avete idea, c’è stata un'accelerazione di un di un destino infausto, che già ci gravava sopra. Lassù si sta spopolando tutto. Stanno andando via tutti, stanno andando via. Io poi mi sento un po’ in colpa perché mi sono trasferito, portando con me i miei tre figli, da Casola a Faenza. Infatti, questo è uno dei sottotemi del libro. Di questo passo fra trent'anni, lassù ci sarà solo la foresta amazzonica. Dopo? Auguri! Vedrai cosa porteranno via i fiumi, con l’alluvione verranno giù boschi interi. Mentre scrivevo, quando mi veniva in mente tutto questo, mi faceva un male cane. Quando scrivi, scrivi per te stesso, non scrivi per qualcun altro. Cioè, io mi dico che, se sono sincero con me stesso e scrivo dicendomi le cose, funziona. È utile, però è sempre come darsi delle botte in testa. A volte mi dico: “Che cosa scrivi? ma buttati sul fantasy”, però è quello che sento di dover fare, in questo è stato molto doloroso. Non so neanche se “doloroso” sia la parola giusta, non so se doloroso sia una parola da sitcom. È diverso da doloroso, è malinconicamente inevitabile

JF:

Però, c'è proprio in questo passaggio che fai tra Traversara e Silver City, la Ghost Town che avevi incontrato in un tuo viaggio nell'America rurale. Fai una riflessione molto politica, nel senso migliore del termine. E tra l'altro la fai con dei numeri abbastanza agghiaccianti, perché prima erano 400 nel paesino, poi sono 20, le citi tutte: Borgo Rivo e le diverse località e, appunto parlavi di questa figlia e babbo che avevano ristrutturato la casa. Ma tu conosci qualcuno che è tornato in Appennino dopo l'alluvione? Perché è una roba da matti romagnoli! Sicuramente se ce n'è uno, tu lo conosci, tanto tu sei la “Edo” dell'epica dell'Appennino romagnolo, quindi…

CC:

No, c'è sempre qualcuno che torna, c'è una sorta di piccola onda di riflusso non proprio di gente che ha lasciato l'appennino per poi tornarci, ma di gente che non ci ha mai abitato, che stanca della città va ad abitare lì. C'è un numero di casolani, io parlo di Casola, perché è quella la realtà che conosco, ma immagino sia lo stesso per Palazzuolo, Marradi. Brisighella è già più vicina a Faenza, è diverso. Ma per quei paesi dell'Appennino un po’ più remoti, c'è sempre un certo numero di abitanti che siano famiglie, o single, alcuni casi sono famiglie che a un certo punto fanno la scelta di mollare la città per andare a vivere quella cosa lì, no? E c'è, perché in effetti se ti svegli, apri la finestra e vedi chilometri quadrati di bosco non è male. Però devi fare anche i doppi conti sul fatto che tutto il resto è complicatissimo. Molti paesi lassù non hanno più l'ospedale, da tanto. Se hai una figlia, un figlio che vuole fare certi sport, devi fare dei viaggi in più. Lasciamo stare il lavoro, lascia stare il lavoro... E quindi… C'è chi lo fa. Io mi auguro che si inverta la tendenza e ce ne siano sempre di più. Ma il dato anagrafico è quasi terrorizzante. Conta che poi, sai, a sistemare gli argini magari costa dei soldi, ma li sistemi. Il problema è che i versanti dei monti neanche l'esercito li ricostruisce. Una volta che viene giù mezzo monte, non c'è più. E lascia stare - poi, nel libro un po’ ne parlo - l’impatto emotivo di aver perso letteralmente un luogo fisico in cui hai passato dei giorni molto belli, che è legato alla tua vita. Lascia stare quello. Il fatto è che, se viene giù mezzo versante, non si tratta di ricostruire la strada, sarebbe proprio letteralmente da ristudiare tutta la mappatura di quella zona, che è una cosa che non si fa quasi mai, solo che lì magari c'è un allevamento, qualcuno a qualcos’altro e dice: “Che senso ha stare qui? piuttosto che aspettare che ripristinino la strada trovo qualcosa a Faenza o trovo qualcosa a Castel Bolognese. Non lo so. E questa è un po’ la mia kryptonite in questo momento. Io, infatti, ho questo sogno eroico, ho questo desiderio eroico di tornare a Casola, solo che non è così facile, ci sono altre persone che vivono da me. Poi, ormai sono troppo vecchio per ripopolarla da solo, però… Questa alluvione andrebbe studiata meglio, anche capita meglio dai politici, perché non so se ha senso lasciare che le cose vadano così o se è giusto che finisca così.

JF:

Avete ascoltato un dialogo libero tra lo scrittore Cristiano Cavina e il giornalista Jacopo Frenquellucci

“Il primo castagno” è un podcast dell'Agenzia di informazione e comunicazione della Regione Emilia-Romagna.

*“Mortalina”: ricordino lutto

**"Casola mostro grano" si riferisce al pane tipico di Casola in Lunigiana, la "marocca di Casola", che ha una consistenza spugnosa data dall'aggiunta di patate nell'impasto, oltre alla farina di grano e castagne. Il termine "mostro" può essere usato in modo metaforico per descrivere la complessità genetica del grano, che ha un numero di cromosomi triplo rispetto alle specie selvatiche da cui deriva.