Episodio 1 - Ma viene l'alluvione stasera?
Trascrizione
Trascrizione
Jacopo Frenquellucci:
Non è quello che è stato perso, ma è quel che cresce. “Il primo castagno” è un podcast della Regione Emilia-Romagna con lo scrittore casolano Cristiano Cavina che a partire dal suo ultimo libro “Tropico del fango” ci racconta i due anni dopo l'alluvione di maggio 2023. Perché essere tristi e spietati è troppo normale.
Dialogo tra Jacopo Frenquellucci – Regione Emilia-Romagna (JF) e lo scrittore Cristiano Cavina (CC)
JF:
Com’è nato questo libro?
CC:
In realtà è nato da dei testi che avevo scritto su Facebook. Perché, dopo una settimana mi ero reso conto nella pratica che l'acqua non resiste bene, che la carta non prende bene l'acqua e quindi mi son detto, devo scrivere delle storie in supporto digitale, così quelle rimangono. Ed era nato solo con questo piccolo trucchetto che mi raccontava a me per mettermi a scrivere su Facebook. Io di solito non scrivo mai testi su Facebook così, era un mio modo di raccontare, soprattutto a me. Mi piaceva mettermi lì e non so, mi teneva compagnia e mi consolava e mi ingasava in quei momenti particolari. E dei testi sono usciti lì su Facebook. Poi tempo dopo Laterza li ha letti, han detto, ci piacerebbe fare una raccolta dei tuoi testi su questi dell’alluvione e poi man mano che pensavamo al libro succedeva un'altra alluvione. Quindi io magari mi dicevo, ma hai scritto anche qualcosa su queste? E quindi ho continuato a scrivere ed è venuto fuori questo libro. L'idea di scrivere qualcosa che si chiamasse “Tropico del fango”, ma è venuta prima di scrivere molti dei testi, perché la linea del meridiano del fango nei muri e nei recinti è qualcosa che continuiamo a portarci dentro da allora.
JF:
Ma scriveresti mai un romanzo, perché queste sono testimonianze e verità. Scriveresti mai un romanzo sull’alluvione?
CC:
M'era venuto in mente, un film animato sul surfista. Su tutto non so se riuscirei perché dovrei non scriverlo direttamente, ma dovrebbe essere di contorno a un'altra storia. Oppure se dovessi scrivere quello farei una cosa alla Truman Capote “A sangue freddo”, ma non sarebbe neanche quasi più romanzo, sarebbe un giornalismo romanzato. Però non penso che ci riuscirei. No, perché lì dovrei tirar fuori la mia voce narrante, che ha bisogno di altre cose. Adesso non ci riuscirei, forse fra vent'anni, forse. Probabilmente ci riuscirò.
JF:
Si inizia già a vedere un po’ di granoturco alto 2 m, cresciuto con il limo delle nostre colline?
CC:
Ma io nel mio piccolo, nel mio giardino, ho una striscia di terra, però fa molta più roba, non so che semi abbia portato. Infatti, prima o poi mi immagino di avere il primo castagno, che è impossibile che venga sotto una quota, che però magari un seme che viene da Casola, oh, a me sembra di vedere dei posti che mi sembra più alta, eh però in effetti funziona così, cioè, funzionava così. E poi è un modo che ti dici per consolarti e dici, almeno per quello sarà utile, poi è un disastro per tutto il resto, ma chissà per quello?
JF:
È una morale molto romagnola, lasciami essere un po’ retorico sulla Romagna, ma è una morale molto romagnola
CC:
Devi infilarci qualcosa di buono, puoi essere, tristi e spietati, cioè, è troppo normale; invece, se ci metti quel po’ di pataccaggine in più che ti fiorisce, ha un sapore diverso, ha un sapore più accettabile.
JF:
Vado un attimo indietro, due anni fa avevi scritto, per noi, per la Regione, la letterina di un bambino. Nel primo Natale dopo l'alluvione, siamo un po’ fuori stagione, per carità rispetto al Natale ma, secondo te, nelle letterine dei bambini del Natale 2025 ci sarà ancora alluvione o non c'è più.
CC:
Ma guarda nelle letterine non lo so. Delia, Olivia di meno, ma Delia la mia piccola, ogni tanto salta fuori, anche ieri ancora, che c'è stato un acquazzone mentre la portavo a casa. Poi adesso ha imparato ad andare bici senza rotelle, quindi la porto all'asilo in bici, lei con la sua, io con la mia. Quando siamo tornati, è arrivato l'acquazzone, ma non in modo triste, ma proprio normalmente, parlando come parla di solito una figlia di cinque anni, con il suo babbo più grande, m'ha detto mentre pedalava, ma viene l’alluvione stasera? Ho detto no, no, guarda, è un acquazzone normale. Ha detto ah ok, ma l'ha detto proprio normalmente, anche Olivia ogni tanto gli salta fuori questa roba, perché poi noi ne abbiamo vissute comunque delle allerte rosse, quindi le bambine lo sanno. Anche l'ultima volta, è passata la macchina, non sto lì a dire di andare via di casa e di salire ai piani alti, l’ultima alluvione che abbiamo avuto a settembre, abbiamo ricevuto la telefonata che eravamo in casa sono riuscito anche a registrarla perché volevo farla sentire ai miei amici che non sono lì, che non abitano lì, gliel'ho mandata di come suona la telefonata, quando ti arriva la comunicazione di abbandonare la casa e di salire sui piani alti, con questa voce che è un po’ Star Trek da intelligenza artificiale, da astronave, no? Andate ai piani alti o abbandonate la casa.. Per loro è una cosa che fa parte della loro vita, sai? Poi Delia quattro, Olivia, otto anni e buona parte della loro vita l'hanno vissuta con un'epidemia, con le doppie alluvioni; quindi, è una cosa che fa parte. Ma ne parlano, ne parlano con una sorta di normalità, non so come dire, te lo chiedono come si chiede: pensi che domani è bel tempo, no? Ti dicono ma piove, è brutto tempo, viene l'alluvione? Tu dice no, no, guarda, è tranquillo, insomma a questo giro niente di che non so poi, ovvio che le mie bambine sono state più fortunate di altri bambini che hanno perso tutti i giochi, loro in realtà hanno perso due ceste di giochi, ma non erano i giochi di pregio. Quando poi riesci sempre a salvarli, che li porti al piano di sopra, però non lo so, forse sai poi per i bambini tutto è scordone, cioè lo sotterri, poi magari quando hai venticinque anni, trentuno, una cosa particolare che vivrai, che vivranno quando avranno quegli anni, cavano un po’ di sabbia e spunta una costola di quella roba che han sotterrato quando avevano 8 anni e gli danno un altro significato e lo leggono nella loro vita. Adesso non lo so, loro fanno molto presto comunque a dimenticare questa roba.
JF:
Lo scordone, il male scordone sono due cose diverse o è sempre la stessa cosa?
CC:
No. È quella roba lì. Loro fan presto a scordarsi, poi quando succede qualcosa dopo torna fuori, ma gli vorrà un po’ di tempo
Vedo i bambini che a volte entrano nei giochi, no? Tipo senti, ogni tanto qualcuno “facciamo che è l'alluvione”, no? E io sono il pompiere che vengo con il coso. Quindi i bambini saltano tutto, Eh? Lo vedi nel mondo noi siamo fortunati, ma buona parte del mondo vive l'emergenza che noi abbiamo avuto con l'alluvione e le vive ogni giorno.
Cioè, tutto il mondo, non sto parlando di zone specifiche ti dico in vari contesti, in tutto il mondo, a ogni latitudine, i bambini continuano a nascere, a giocare a fare le loro cose, a portarsi dentro magari anche grandi traumi, ma io capisco cos'è, perché io mi ricordo, se tu chiedi a quelli che avevano sei anni durante la guerra, otto anni quindi non hanno combattuto, ti assicuro che quasi tutti ti dicono sì, era la paura delle bombe, della morte così. Però sono stati due anni che non siamo andati a scuola. E hanno vissuto dei momenti leggendari, cioè non andavano a scuola, giocavamo sempre. Poi ovvio che arrivavano gli aerei e scappavi ti nascondevi, ma ti rimane questa cosa. Sono anni che. Non so come dire, ferocemente, tristemente, ma anche belli, pieni, particolari.
Avete ascoltato un dialogo libero tra lo scrittore Cristiano Cavina e il giornalista Jacopo Frenquellucci
“Il primo castagno” è un podcast dell'Agenzia di informazione e comunicazione della Regione Emilia-Romagna.