Stato, Regioni e Unione europea tra unitarietà ordinamentale e autonomia differenziata nello sguardo della Corte costituzionale (sent. 192/2024) / Marina Caporale
Numero 1 2025 • ANNO XLVI
Professoressa associata di Diritto amministrativo, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
Premessa
La sentenza della Corte costituzionale 192/2024, secondo unanime opinione, costituisce un arresto di portata storica, per la natura e i contenuti affrontati e anche per la ricostruzione che offre dei principi e anche dei valori che definiscono il nostro ordinamento, a tratti rappresentati con un approccio quasi pedagogico. La Corte si fa carico infatti di dipanare alcuni aspetti essenziali del sistema costituzionale messi alla prova dalla “legge Calderoli”, e probabilmente non evasi pienamente dalla riforma del Titolo V della Costituzione, nel 2001, indicando, in primis, l’obiettivo di un punto di equilibrio tra principi costituzionali che tutti devono comporsi nel quadro dell’unità della Repubblica e dei suoi valori costituenti.
L’afflato che emerge dalle argomentazioni della Corte è tale da superare i semplici – e non lo sono affatto – richiami e le incostituzionalità o le infondatezze delle questioni poste in termini giuridico-costituzionali, e sembra caratterizzato dall’intento di fare emergere lo spirito che permea la Costituzione, a contestare gli elementi di potenziale disparità, se non proprio disgregazione, di territori e “popoli”, cui la l.n. 86/2024 sembrava potere condurre.
Questa unità nella Repubblica, più volte e strenuamente richiamata, corrisponde a una prospettiva ordinamentale che, nella sentenza in commento, è tutt’uno con quella che deriva dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea e questo è un altro aspetto della sentenza che merita attenzione, soprattutto considerando la sostanziale assenza della dimensione europea dai contenuti della legge 86/2024, che non pare possa essere casuale, ma piuttosto frutto di una cultura giuridica e di una considerazione dell’Unione europea di cui si fa portatore e interprete questo Legislatore. E davvero non può che essere una scelta deliberata, espressione di una visione politica, quella di disancorare una riforma così significativa da ogni riferimento all’ordinamento europeo, che è il presupposto di legittimità alla base del riparto di competenze a noma del primo comma dell’art. 117 Cost.
A questa assenza di riferimenti nella legge la Corte risponde richiamando, in modo pregnante e diffuso, il necessario rispetto dell’ordinamento comunitario che deriva, fondamentalmente, dall’art. 117, c. 1, Cost. Si tratta di un contrappunto costante e anche una nota di fondo con cui la Corte ricorda e sottolinea il significato costituzionale dell’art. 117 ma anche, sembra, il contesto geopolitico del tempo corrente che impone una lettura adeguata dei principi costituzionali in gioco.
In questo quadro non sembra casuale nemmeno che la Corte colpisca con una serafica declaratoria di illegittimità costituzionale l’unico punto della legge 86/2024 in cui il riferimento all’ordinamento europeo è esplicitato, l’art. 9, c. 4[1], che prevedeva la facoltatività del concorso delle regioni “differenziate” agli obiettivi di finanza pubblica. La Corte ritiene che l’unico, e blando, riferimento esplicito contenuto nella legge ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario (“tenendo conto delle vigenti regole di bilancio e delle relative procedure, nonché di quelle conseguenti al processo di riforma del quadro della governance economica avviato dalle istituzioni dell’Unione europea”), come si illustrerà meglio di seguito, e il regime di facoltatività previsto per le regioni “differenziate” ivi previsto siano in contrasto con il principio di equilibrio di bilancio e con l’obbligo per tutte le regioni di contribuire ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea. Questa declaratoria di incostituzionalità, nella parte qui evidenziata, sembra sottolineare ulteriormente l’insufficiente considerazione delle effettive implicazioni derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’UE nella l. 86/2024, in quell’art. 9 in cui la legge le ha richiamate.
La sentenza 192/2024, tra i molti riferimenti al necessario rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, ne affronta in particolare alcuni aspetti su cui si concentra questo scritto. Oltre al diffuso richiamo dell’art. 117, c. 1, Cost., emerge la generale declinazione del principio di sussidiarietà con riferimento alla valenza di tale principio rispetto all’ordinamento comunitario e l’individuazione di come la differenziazione crei i presupposti di un potenziale contrasto costituzionale per violazione degli obblighi derivanti dall’ordinamento comunitario rispetto ad alcune materie. In ultimo si considererà la declaratoria di incostituzionalità dell’art. 9, c. 4, l. 86/2024.
L’art. 117 c. 1, Cost. e l’unitarietà ordinamentale tra Regioni ed Europa
Nella sent. 192/2024 le osservazioni della Corte in chiave europea costituiscono trama e presupposto argomentativo nelle valutazioni di costituzionalità, o meno, delle parti della legge oggetto del sindacato costituzionale. La Corte non entra però troppo nel merito della estensione e natura dell’art. 117, c. 1, Cost., sul rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, pure richiamandolo esplicitamente in più passaggi, e non si sofferma neanche troppo sul quadro unitario rappresentato dall’ordinamento dell’UE rispetto all’ordinamento interno e al suo assetto di competenze, sempre secondo il disposto dell’art. 117, c. 1, Cost.
Qualche argomentazione più puntuale avrebbe, in effetti, giovato a rimarcare l’innegabile unitarietà ordinamentale che questo articolo ha introdotto a seguito della riforma costituzionale del 2001 e, complessivamente, la sua valenza a fronte delle pretese di differenziazione espresse dalla “legge Calderoli”, ma la Corte fornisce comunque una serie di riflessioni preziose. Appare quindi utile contestualizzare l’art. 117, c. 1, Cost. e richiamare le principali riflessioni con cui dottrina e giurisprudenza hanno accompagnato la sua applicazione dal 2001.
Nella prospettiva europea e in particolare della Corte di Giustizia, si può qui solo brevemente richiamare l’affermazione del principio del “monismo istituzionale” fin dagli anni ’60 del secolo scorso, secondo cui l’ordinamento giuridico comunitario è integrato in quello degli Stati membri, principio ulteriormente rafforzato dal cd. Spazio Giuridico Europeo e delle sue specificità, dal Trattato di Maastricht in poi.
In questo percorso l’art. 117, c. 1, a seguito della riforma del 2001, introduce, come noto, il rispetto degli obblighi internazionali e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, e ha avuto una portata che è stata pesata dalla giurisprudenza costituzionale e dalla dottrina prima con una certa cautela ma poi in chiave sempre più a favore della piena integrazione degli ordinamenti. D’altra parte il cambiamento, rispetto al testo previgente, è stato effettivamente rivoluzionario, se si pensa che in precedenza si invocava, quale limite della competenza legislativa regionale, il contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni e l’orizzonte europeo era, dunque, ben lontano.
La specificità del richiamo ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, anche rispetto a quello degli obblighi internazionali, è apparso subito avere delle caratteristiche del tutto originali, anche se non ha dato piena soddisfazione a chi auspicava l’inserimento, in Costituzione, di un “articolo comunitario” (Chiti, 2002), che avrebbe più limpidamente dato riconoscimento costituzionale all’adesione del nostro Paese alla Comunità e quindi all’Unione europea, superando le perplessità scaturenti dal richiamo al solo art. 11 Cost.
Tuttavia, fin da subito, la formulazione utilizzata è valsa a sottolineare la consapevolezza del legislatore costituzionale delle caratteristiche del tutto originali e peculiari dell’ordinamento comunitario e la volontà del Legislatore di accettarne tutte le implicazioni, visto il riferimento al rispetto dei vincoli derivanti non da eventuali obblighi comunitari, ma dall’ordinamento comunitario nel suo complesso (Pajno, 2003 e 2004; Sorrentino, 2002).
Si rilevò in primis che il nuovo testo pone un vincolo espresso e del tutto paritario alla potestà legislativa, tanto del legislatore statale che di quello regionale, e così l’art. 117, c. 1, nel nuovo testo, assume le caratteristiche di una vera e propria disposizione sulla funzione legislativa in generale, ed anzi, su di una unica funzione legislativa, perché unici sono, i limiti che ad essa sono posti, a prescindere che sia esercitata dallo Stato o dalle Regioni (Pajno, 2003 cit.). Questa unicità della funzione legislativa e la ri-definizione del riparto della potestà legislativa dello Stato e delle Regioni nel nuovo testo dell’art. 117, c. 1, appaiono ripensate anche in ragione dell’attrazione nella competenza normativa europea di molte materie oggetto, appunto, del riparto.
In questo che sarà meglio definito, infra, come un “medesimo spazio giuridico”, inoltre, lo Stato mantiene il ruolo di responsabile unico ed esclusivo nei confronti dell’Unione europea per l’eventuale inadempimento degli obblighi comunitari, anche se determinati da erronea o mancata attività delle regioni. A fronte di questa specifica responsabilità e ruolo, è opportuno ricordare che l’art. 120, c. 2, Cost. contempla il potere sostitutivo del Governo nei confronti di organi delle regioni (e degli enti locali) nel caso di mancato rispetto della normativa comunitaria. La prefigurazione di questo specifico ruolo, da un lato, risolve alcuni dubbi interpretativi sull’attuazione da parte delle regioni del diritto dell’Unione; dall’altro non contribuisce ad affrontare pienamente il tema della possibile, diversa attuazione del diritto comunitario da parte delle regioni, secondo le rispettive competenze: a fronte dell’obbligo di rispettare i vincoli dell’ordinamento comunitario da parte di tutte le regioni non sarebbe, in premessa, infatti possibile escluderne un’attuazione diversa, anzi “differenziata” da parte di ogni regione. Sullo sfondo rimane anche il tema della asserita “indifferenza” o “cecità” della Comunità-Unione Europea rispetto all’assetto e al riparto di competenze interno agli stati membri e alla partecipazione “limitata e simbolica” di cui le regioni avrebbero goduto in ambito europeo (Savino, 2007).
Il vincolo al rispetto dell’ordinamento comunitario ha anche un’altra importante conseguenza: il nuovo testo consente di integrare pienamente il rispetto di tale vincolo tra i principi e gli obblighi costituzionali (Torchia 2001), e l’art. 117, c. 1, diventa parametro del giudizio di costituzionalità, configurando “l’esistenza di un ordinamento nel suo complesso unitario, nel quale occorre procedere al bilanciamento di principi fra di loro diversi ma ormai, posti sostanzialmente all’interno del medesimo spazio giuridico” (Pajno 2003, cit.; nello stesso senso Torchia, 2001 cit.)[2].
Il giudizio di costituzionalità reso accessibile dall’art. 117 Cost., c. 1, può essere espresso su disposizioni effettivamente lesive dei vincoli di cui all’art. 117, c. 1. Tale lesività non è, tuttavia, rilevata nella grandissima parte delle contestazioni sollevate dalle regioni avanti la Corte in relazione a specifiche disposizioni della legge Calderoli, ma avrebbe potuto, se mai, essere riconosciuta a seguito della sua effettiva applicazione.
Per questo motivo l’intervento più significativo e penetrante che la sentenza 192/2024 può spingersi ad affermare in relazione alla violazione dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’UE, punta al cuore della legge Calderoli, in realtà alla sua futura attuazione, ed è riferito alla possibilità che, nel caso in cui alcune funzioni concernenti una determinata materia venissero spostate alla competenza legislativa piena delle Regioni in attuazione della legge Calderoli, resterebbero comunque fermi i limiti generali di cui all’art. 117, c. 1, Cost. (nonché le competenze legislative trasversali dello Stato come la tutela della concorrenza, l’ordinamento civile e i LEP).
La sussidiarietà e il perimetro delle materie e delle funzioni nella prospettiva dell’Unione europea
Nella sentenza 192/2024 la sussidiarietà è richiamata e affermata ampiamente con riferimento al riparto interno di competenze tra Stato e Regioni, con un approccio in parte inedito e anche piuttosto discusso (Gardini 2025; Morrone 2025; Pinelli 2025) e, ai fini che qui rilevano, ne viene chiaramente asserita la natura di “principio fondamentale dello spazio costituzionale europeo” oltre che principio riconosciuto negli art. 118, c. 1 e anche 120, c. 2, Cost.
Principio fondamentale, dunque, da riferirsi a quello spazio giuridico unico di cui all’art. 117, c. 1, caratterizzato da quella particolare valenza appena tratteggiata. La sentenza rafforza dunque quella “primazia” e unitarietà del diritto dell’UE anche attraverso l’affermazione dello stesso principio di sussidiarietà, che deve operare appunto come principio fondamentale dello spazio costituzionale europeo anche nel sistema di allocazione delle funzioni secondo gli artt. 117 e 118 Cost. Secondo la Corte, infatti, l’allocazione delle funzioni tra i diversi livelli territoriali di governo dovrà realizzarsi “in modo tale da assicurare il pieno rispetto degli obblighi internazionali ed europei, che vincolano parimenti lo Stato e le regioni (art. 117, primo comma, Cost.)”.
Il principio di sussidiarietà richiede altresì, sempre per la Corte, che la distribuzione delle funzioni tra i diversi livelli territoriali realizzi la soluzione più “efficiente”, con una commistione di concetti e principi, tra sussidiarietà, appunto, e adeguatezza non proprio felice. L’efficienza è da riferire, per la Corte, non solamente alle modalità di svolgimento della “specifica funzione”, ma altresì alle conseguenze che derivano dall’allocazione della funzione sulla dimensione e sulla dinamica dei costi sopportati dai bilanci pubblici. Una sussidiarietà da intendersi come principio conformante “euro-nazionale” anche nella prospettiva dell’efficienza economica, quindi, da cui si desume che si tratta in fondo, ancora una volta, di un richiamo ad altro tipo di vincoli europei, a quegli equilibri di bilancio presenti in Costituzione in virtù del bisogno di corrispondere al diritto e alle regole imposte dall’appartenenza all’UE.
Il principio di sussidiarietà viene declinato come principio autonomo, che integra pienamente e direttamente anche il rapporto con l’ordinamento dell’UE e che soggiace, nella sua interpretazione applicativa, per l’allocazione delle “specifiche funzioni”, ai principi idonei a garantire l’equilibrio di bilancio, e quindi anche all’art. 119, c. 1, Cost.
In un altro passaggio, inoltre, la Corte prosegue definendo la sussidiarietà come principio dotato di “intrinseca flessibilità”, che ritiene particolarmente valorizzata dall’istituto della “chiamata in sussidiarietà”, che permette di attrarre verso l’alto, insieme alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, nel rispetto del principio di leale collaborazione. La Corte ritiene che anche lo stesso art. 116 sia espressione di tale flessibilità, che però dovrà essere oggetto di particolare valutazione, in ordine alla sua applicazione ai fini della differenziazione.
Seguendo questo approccio la Corte, se si vuole anche ipotecando la tenuta stessa dell’art. 116 Cost., sottolinea come ad una serie di materie, cui pure si riferisce l’art. 116, c. 3, Cost., afferiscono funzioni il cui trasferimento è, in linea di massima, difficilmente giustificabile secondo il principio di sussidiarietà, perché alcune materie di cui all’art. 117, c. 3 Cost., non possono esaurirsi nella sola competenza regionale e in alcuni casi neanche in quella statale, ma, anche proprio in attuazione del principio di sussidiarietà, sono assorbite dalla competenza del legislatore europeo, e questo, ieri, per le sfide della globalizzazione, oggi – verrebbe da dire, a maggior ragione – per la ri-definizione dei mercati e degli equilibri geopolitici globali. Secondo la Corte, infatti, “…Quanto detto non preclude, a priori, anche in queste materie la possibilità del trasferimento di alcune funzioni, ma questo deve trovare una più stringente giustificazione in relazione al contesto, alle esigenze di differenziazione, alla possibilità da parte delle regioni di dare attuazione al diritto unionale”.
Una sorta di approfondimento di istruttoria, quindi, anche nella prospettiva della interpretazione della sussidiarietà ai fini del rispetto degli obblighi derivanti dall’appartenenza all’UE, sulla effettiva possibilità del trasferimento delle “materie”. Ma anche un richiamo alla realtà, si potrebbe dire, per quanto riguarda i criteri di interpretazione giuridico-costituzionale dei principi limpidamente affermati, “in punto di diritto”, e, altresì, un invito ad una adeguata valutazione delle esigenze dettate dal contesto, dal momento storico, ad alzare lo sguardo a una prospettiva più ampia. La Corte, in modo in parte inusuale, richiama il contesto geopolitico e geoeconomico e, indirettamente, le sfide che, come Paese e come Unione europea, dovremo affrontare e quindi sembra invitare il legislatore di domani, quello che dovrebbe attuare la parte rimasta in vigore della legge 86/2024, a contestualizzare le esigenze autonomistiche rivendicate con la legge 86/2024, superando la spinta post-secessionistica di cui la legge sembra essere ancora portatrice.
Stante questo presupposto lo spazio a una differenziazione nel rispetto del principio di sussidiarietà “europea” sembra già piuttosto compromesso, ma la Corte chiude ancora di più questa possibilità laddove ricorda i vincoli “euro-unitari” ma anche, con un altro termine peculiare, quelli “euronazionali” (critico sull’uso di questi termini Morrone, 2025) che sostanzialmente riguardano buona parte delle materie in teoria devolvibili, di cui all’art. 3, l. 86/2024. La sentenza si sofferma dunque ad analizzarne l’estensione dell’attrazione nel diritto unionale ed “euronazionale” che, nell’interpretazione della Corte, scoraggia in realtà l’effettiva devoluzione di tali “materie”. Solo per le “norme generali sull’istruzione”, la Corte esclude fin da subito e in radice l’eventuale futura devoluzione e quindi la differenziazione regionale, considerato che devono sempre essere stabilite dal legislatore statale in quanto “delineano le basi del sistema nazionale di istruzione”, e in quanto funzionali ad assicurare “la previsione di una offerta formativa sostanzialmente uniforme sull’intero territorio nazionale, l’identità culturale del Paese, nel rispetto della libertà di insegnamento di cui all’art. 33, primo comma, Cost.”. Per altre “materie” (il commercio con l’estero, la tutela dell’ambiente, la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, porti e aeroporti civili e grandi reti di trasporto e di navigazione, professioni, ordinamento della comunicazione), viene evidenziato invece il possibile futuro conflitto, in nuce, di violazione dei vincoli dell’ordinamento comunitario e la configurabilità di un giudizio di costituzionalità per la violazione di tali vincoli qualora la legge venisse effettivamente attuata.
In altro passaggio la Corte ricorda inoltre che anche qualora alcune funzioni concernenti una determinata materia vengano spostate alla competenza legislativa piena della regione, restano comunque fermi i limiti generali di cui all’art. 117, primo comma, Cost. e le competenze legislative trasversali dello Stato come la tutela della concorrenza, l’ordinamento civile e i LEP, così come resta sempre possibile il ricorso al potere sostitutivo di cui all’art. 120, secondo comma, Cost. D’altra parte, soprattutto dalla riforma del Titolo V in poi, la realizzazione dell’unificazione complessiva dell’ordinamento è effettuata, oltre che con la previsione di limiti comuni alla potestà legislativa tra Stato e regioni e il possibile ricorso ai poteri sostitutivi, anche con la previsione di clausole di competenza legislativa statale anche di tipo trasversale (art. 117, comma 2, lett. g), m), n), s), come attenta dottrina aveva già rilevato (Pajno 2003 cit.).
La sussidiarietà, intesa come principio dello spazio costituzionale europeo, è usata dalla Corte per non escludere in teoria ma, si desume, per precludere, in casi limitati, e molto scoraggiare, in pratica, in molti altri casi, la differenziazione regionale nella prospettiva di applicazione della legge Calderoli per una parte significativa delle materie oggetto della legge.
La declaratoria di incostituzionalità dell’art. 9, c. 4 l. 86/2024 e i vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea
All’art. 117, c. 1, Cost. e all’affermazione in chiave europea del principio di sussidiarietà occorre aggiungere le disposizioni che, con successive riforme costituzionali, hanno integrato il parametro comunitario nella Costituzione, in particolare con riferimento al principio di equilibrio di bilancio di cui all’art. 97, c. 1, Cost., secondo cui le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico; all’art. 119, c. 1, Cost., in base al quale le Regioni (e gli enti locali) hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’UE. E sono proprio queste disposizioni a fondare l’unica declaratoria di incostituzionalità, in senso lato, “comunitaria”, che incide l’art. 9, c. 4, l. 86/2024 nella parte in cui prevede, in tema di attuazione dell’autonomia differenziata, la facoltatività del concorso delle regioni differenziate agli obiettivi di finanza pubblica, anziché la doverosità su un piano di parità rispetto alle altre regioni ordinarie. Come anticipato in premessa, infatti, secondo la Corte tale facoltatività implica la possibilità di un regime più favorevole per queste regioni rispetto a quelle non destinatarie di forme particolari di autonomia, così indebolendo i vincoli di solidarietà e unità della Repubblica, e in contrasto con il principio di equilibrio di bilancio e con l’obbligo per tutte le regioni di contribuire ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’UE.
In generale la dottrina si era soffermata sulla sostenibilità finanziaria della legge e la clausola di invarianza finanziaria di cui all’art. 9, dedicato, appunto, alle “clausole finanziarie”, punto focale per l’attuazione “efficace” della legge (Cerniglia 2024; Mone 2024, Rivosecchi 2024). Non è possibile in questa sede, evidentemente, riprendere queste argomentazioni, ma pare utile segnalare che, pure in queste analisi, i vincoli economici-finanziari derivanti dall’ordinamento dell’UE non sono stati oggetto delle valutazioni critiche principali (con qualche eccezione: Furlan 2018; Morrone 2024; Piraino 2023).
L’incostituzionalità viene rilevata in questo caso per contrasto con gli artt.: 3, c. 1, e quindi al principio di eguaglianza dei cittadini oltre che con il principio di equilibrio di bilancio di cui all’art. 97, c. 1, Cost., e con l’art. 119, c. 1, Cost.
Nei limiti delle proprie competenze (Caporale, 2017) anche la Commissione europea aveva additato questi medesimi rischi (Commissione europea 2023 e 2024) affermando che la devoluzione di competenze supplementari alle regioni italiane avrebbe rischiato di compromettere la capacità delle amministrazioni pubbliche di gestire la spesa pubblica, con un conseguente possibile impatto negativo sulla qualità delle finanze pubbliche dell’Italia e sulle disparità regionali (Commissione Europea 2023), nonché rischi per la coesione e le finanze pubbliche (Commissione Europea 2024). In particolare con riferimento alla coesione, per la Commissione, era prevedibile che l’attuazione della legge avrebbe determinato un aumento delle disuguaglianze a livello regionale; sotto il profilo delle finanze pubbliche la Commissione rileva che un aggravio di costi sarebbe scaturito, tanto per i soggetti pubblici quanto per i soggetti privati, dall’aumento della complessità istituzionale, prevedibile esito della legge.
Non stupisce in ogni caso la declaratoria di incostituzionalità di questa parte dell’art. 9 della legge, che appare coerente con la generale, limitata attenzione del legislatore ai temi europei in più passaggi evidenziata dalla Corte.
Appunti europei per la futura attuazione della legge 86/2024
Gli occhiali “europei” con cui la Corte costituzionale guarda alla legge Calderoli usano le lenti dell’unità della Repubblica ma anche dell’unitarietà ordinamentale con l’UE, secondo l’art. 117, c. 1, rinsaldata da una interpretazione del principio di sussidiarietà nella prospettiva del diritto interno e come principio che caratterizza il rapporto con l’UE stessa, e dai vincoli di bilancio. La Corte usa queste prospettive attraverso una valutazione di coerenza della normativa sottoposta a giudizio di costituzionalità con l’ordinamento europeo, per fondare le proprie argomentazioni che porteranno ad alcune delle declaratorie di incostituzionalità di cui, appunto solo una colpisce direttamente la legge Calderoli su presupposti (in senso ampio) europei.
Si tratta di argomentazioni che restano sullo sfondo delle riflessioni della Corte anche se non possono portare a una declaratoria diretta di incostituzionalità delle disposizioni della legge per contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento europeo - salvo l caso dell’art. 9, c. 4, nei termini esposti - ma ne ipotecano senz’altro la futura attuazione.
Questo percorso sembra volere ricordare al Legislatore, che nella legge 86/2024 aveva trasceso quasi completamente da riferimenti all’ordinamento dell’UE, che non può in realtà prescindere da questo, a partire dal primo comma dell’art. 117 Cost., vero e proprio presupposto del riparto di competenze legislative e delle funzioni amministrative e che, se vorrà realizzare la differenziazione regionale, ripensando la legge ma soprattutto nell’attuazione della legge stessa, dovrà farlo ri-considerandone integralmente il ruolo e la portata.
Un’altra lezione di diritto e di metodo giuridico al Legislatore, se si vuole aderire a chi ha definito pedagogica la sentenza della Corte. Il controcanto in chiave europea della Corte sembra togliere quindi, anche se non in modo diretto e frontale, altra terra sotto i piedi della riforma.
Note
[1] L. 86/2024, Art. 9, c. 4: “Al fine di garantire il coordinamento della finanza pubblica, resta ferma la possibilità di prevedere anche per le Regioni che hanno sottoscritto le intese, ai sensi dell’articolo 2, il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, tenendo conto delle vigenti regole di bilancio e delle relative procedure, nonché di quelle conseguenti al processo di riforma del quadro della governance economica avviato dalle istituzioni dell’Unione europea”.
[2] Per l’A. “La possibilità di agire del vincolo comunitario sulla potestà legislativa (statale o regionale) non deriva, infatti dalla sua natura di limite esterno, ma dal suo carattere di ordinamento che coinvolge, tra l’altro, proprio l’esercizio di tale potestà…La norma di esame riconosce, così, al rispetto dell’ordinamento comunitario un’attitudine a conformare e definire la potestà legislativa proprio perché tale ordinamento non si presenta come un semplice elemento esterno, di resistenza, ma perché la potestà legislativa del cui esercizio si discute evidenzia già una relazione di speciale coerenza con quell’ordinamento comunitario che in qualche modo già la implica e la contiene…”.
Riferimenti bibliografici
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Abstract: Il contributo mette in luce le argomentazioni che, nella sentenza 192/2024, la Corte costituzionale profonde sulla compatibilità della legge 86/2024 con l’ordinamento comunitario, espressamente richiamato dall’art. 117, c. 1 della Costituzione. A fronte del fatto che la legge trascura i richiami all’ordinamento dell’Unione Europea, e solo una declaratoria di incostituzionalità è direttamente riconducibile alla violazione dei vincoli dell’ordinamento dell’UE (e non sub art. 117 Cost.), la Corte tesse una fitta serie di riflessioni che ipotecano, più che la legge in sé, la sua futura attuazione e soprattutto propongono l’unità della Repubblica ma anche con l’UE come elemento imprescindibile in ogni percorso per una legittima differenziazione regionale.
Parole chiave: Unione Europea; Differenziazione; Unità ordinamentale; Regioni; Sussidiarietà.
State, Regions and European Union between statutory unity and differentiated autonomy in the eyes of the Constitutional Court (Sentence 192/2024)
Marina Caporale
Abstract: The contribution highlights the arguments that, in the sentence 192/2024, the Constitutional Court puts forward on the compatibility of law 86/2024 with the European Union legal system, expressly referred to in art. 117, c. 1 of the Constitution. Given the fact that the law almost completely ignores the reference to the EU legal system, and therefore only a declaration of unconstitutionality is directly attributable to the violation of the constraints of the EU legal system (and not under art. 117 of the Constitution), the Court weaves a dense series of reflections that question, more than the law itself, its future implementation and above all propose the unity of the Republic and most of all with the EU as an essential element in any path for a legitimate regional differentiation.
Keywords: European Union; Differentiation; Legal System Unity; Regions; Subsidiariety.