L’istituto della perequazione nell’incidentato cammino verso la differenziazione / Tanja Cerruti
Numero 1 2025 • ANNO XLVI
Professoressa associata in Diritto costituzionale e pubblico, Università di Torino
Gli aspetti critici della differenziazione
Una delle disposizioni costituzionali introdotte dalla riforma del 2001 e risultate più controverse (Elia 18 s.) è notoriamente l’art. 116 c. 3 che, posto in calce alla previsione delle Regioni c.d. speciali, autorizza «altre Regioni» alla richiesta di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in talune materie (tre di competenza esclusiva statale e tutte quelle di competenza concorrente) e nel rispetto di determinate condizioni (l’iniziativa della Regione, la consultazione degli enti locali, il rispetto dell’art. 119, la stipula di un’intesa da approvare con legge del Parlamento a maggioranza assoluta).
Rimasta a lungo silente per la mancata concretizzazione dei timidi tentativi di attuazione avviati sino ad allora, a partire dal 2017 la previsione è entrata con una certa insistenza nell’agenda politica di alcune Regioni e quindi dello Stato, suscitando la preoccupazione degli altri enti e alimentando un vivace dibattito.
Molti erano (e in parte sono) infatti gli interrogativi che la prospettiva della differenziazione pone in campo. Sul fronte procedurale ci si interrogava preliminarmente sull’opportunità che il processo fosse governato da una fonte statale e poi sui singoli passaggi che potevano portare all’adozione della legge di differenziazione, andando dalle modalità di presentazione dell’iniziativa da parte della Regione, al momento e alle forme di consultazione degli enti locali, al tipo di intervento che il Parlamento avrebbe potuto esercitare sull’accordo siglato dagli esecutivi.
Sul fronte sostanziale le principali questioni problematiche si appuntavano sul timore che l’ottenimento di più ampie prerogative da parte di alcune Regioni avrebbe comportato il drenaggio di maggiori risorse in capo a queste e a scapito delle altre, spesso già di per sé caratterizzate da un quadro socio-economico più svantaggiato.
Su questi aspetti, così come su altri ritenuti basilari per l’avvio del processo, è intervenuta la l. 86/2024, le cui disposizioni verranno qui prese in esame limitatamente ai profili di carattere finanziario, con particolare riferimento a quelli inerenti la perequazione, anche alla luce della pronuncia della Corte costituzionale (sent. 192/2024), al cui vaglio la legge è stata ben presto sottoposta con la speranza forse di inibire la stessa operatività della disposizione costituzionale cui dà attuazione (delinea l’ipotesi Ruggeri 866).
I profili finanziari del regionalismo differenziato fra legislatore e Corte costituzionale
I profili di carattere finanziario costituiscono il nervo scoperto di tutto il processo della c.d. differenziazione, rappresentando, al contempo, uno dei motori che alimentano le richieste di attivazione dell’art. 116 c. 3, da un lato, e la fonte delle maggiori resistenze alla sua implementazione, dall’altro lato.
Lo stretto legame fra i due ambiti emerge dallo stesso dettato costituzionale. Fra le condizioni imposte all’ottenimento di forme più ampie di autonomia si annoverano infatti i principi di cui all’art. 119 Cost., che dovrebbero operare su due versanti: l’idoneità finanziaria della Regione a sostenere le competenze aggiuntive che richiede; il rispetto del principio di corrispondenza fra funzioni e risorse nei confronti sia delle Regioni differenziate, sia dello Stato (Rivosecchi 2021, 819).
Sui profili di carattere finanziario la l. 86/2024 denota un intento di tendenziale rassicurazione rispetto alle preoccupazioni manifestate da più parti, che si potrebbe ricondurre a quattro punti.
Il primo consiste nella separazione delle sorti delle materie legate all’attuazione dei LEP dagli altri ambiti oggetto di devoluzione, per i quali si sancisce la clausola dell’invarianza finanziaria. Oggetto di impugnazione, tale disposizione ha superato il vaglio di legittimità costituzionale sulla base del fatto che nelle materie “no-LEP” non impone l’adozione del criterio della spesa storica, ma sottintende il perseguimento di una gestione efficiente, oltre a non pregiudicare il finanziamento nelle materie “LEP-condizionate” (art. 4 c. 2; Cons. dir. 27).
Il secondo tassello riguarda l’individuazione della compartecipazione ai tributi erariali come principale fonte di sostegno delle funzioni aggiuntive. Rispondendo a una tendenza degli ultimi anni (Ceriani 3), ricordando altresì il modello delle Regioni speciali, questa scelta ha riscosso i rilievi critici di chi avrebbe preferito il canale dell’imposta diretta (Gardini), ravvisandovi un indebolimento dell’autonomia finanziaria e della responsabilizzazione delle Regioni nei confronti dei propri cittadini (Ceriani 3), oltre all’attitudine a confermare con la sua rigidità (Calamo Specchia 13; Bordignon-Rizzo-Turati 312) i divari tra i territori, dovuti alla disomogeneità della loro capacità fiscale (Manganaro 5 s.).
Anche in questo caso la Consulta respinge le questioni di legittimità costituzionale, fra le altre cose ascrivendo alla discrezionalità del legislatore la scelta dello strumento finanziario più adatto (art. 5 c. 2; Cons. dir. 23), con una motivazione ritenuta complessivamente coerente con il principio di sussidiarietà (De Minico 144).
Il terzo punto tocca il controverso tema dell’extragettito, che le Regioni differenziate non possono trattenere. Pur rimproverata di «depotenzia[re] e sfuma[re] (almeno in apparenza) la questione» (Cerniglia 293), la legge prevede infatti che ogni anno le commissioni paritetiche valutino il rapporto fra le risorse e i fabbisogni di spesa regionale e il Ministro possa rideterminare le aliquote. Su questo aspetto, criticato da chi ritiene che il sistema di finanziamento dovrebbe essere regolato a priori da una disciplina comune, vincolante per le intese (Spadacini-Podetta 5), la Corte accoglie la questione in riferimento ad alcuni dei profili di legittimità costituzionale addotti, affermando che la differenziazione deve risultare conforme al principio di responsabilità del decisore pubblico e tradursi in maggiore efficienza (art. 8.2; Cons. dir. 22).
Il quarto snodo concerne la perequazione, sulla quale la l. 86/2024 interviene a più riprese. In primo luogo, a salvaguardia dell’unitarietà (Poggi 2024, XII), stabilisce che per le Regioni non coinvolte nella stipula delle intese sono garantite l’invarianza finanziaria e l’attuazione dei c. 3, 5 e 6 dell’art. 119 (art. 9 c. 3, benché il procedimento previsto dalla legge venga ritenuto non coerente con queste previsioni, Astrid paper 38) e precisa che anche le Regioni che hanno sottoscritto le intese possono contribuire agli obiettivi della finanza pubblica (art. 9 c. 4); in secondo luogo individua gli strumenti con cui attuarla (art. 10 c. 1 e 2). Sarebbe proprio la necessarietà della perequazione a mettere in dubbio un altro tassello fissato dalla legge, cioè quello della invarianza finanziaria (art. 9 c. 1, Pallante 11).
La seconda e, in parte, la terza disposizione sono state sottoposte al giudizio di legittimità costituzionale.
L’art. 9 c. 4 è stato impugnato in quanto, affermando che le Regioni differenziate possono ma non che devono contribuire agli obiettivi di finanza pubblica, si porrebbe in contrasto con una serie di parametri, alcuni dei quali risultano secondo la Corte effettivamente violati. La mera possibilità del contributo agli obiettivi della finanza pubblica implicherebbe un regime più favorevole per le Regioni differenziate rispetto a quelle ordinarie tout court, che «non può trovare ragionevole giustificazione nell’assunzione delle funzioni richieste e trasferite» (art. 3 c. 1); «oltre a indebolire i vincoli di solidarietà e unità della Repubblica», si porrebbe in contrasto «con i principi dell’equilibrio di bilancio e di sostenibilità del debito pubblico», cui devono concorrere tutte le pubbliche amministrazioni (art. 97 c. 1) e con quello di contribuire «ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea», imposto a tutte le Regioni (art. 119 c. 1, Cons. dir. 28).
La doverosità della partecipazione di ogni ente richiama il regime delle Regioni speciali che, pur essendo da considerare incluse, sia secondo il legislatore, intervenuto dopo la riforma con la l. 42/2009, sia secondo il giudice costituzionale (non senza alcuni distinguo) nel sistema della finanza pubblica, anche per quanto concerne la partecipazione alla perequazione e alla solidarietà nazionale, trovano nella tendenziale prevalenza del principio pattizio delle possibilità di deroga.
Gli strumenti perequativi previsti dalla l. 86/2024
Alla previsione degli strumenti perequativi è dedicato l’art. 10 del testo in esame, il cui c. 1 prevede che lo Stato, nel perseguimento di alcune finalità e in attuazione dell’art. 119 c. 3 e 5 della Costituzione, promuove «l’esercizio effettivo dei diritti civili e sociali che devono essere garantiti dallo Stato e dalle amministrazioni regionali e locali nell’esercizio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni o alle funzioni fondamentali di cui all’art. 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione, previa ricognizione delle risorse allo scopo destinabili».
Le finalità poste a monte degli interventi statali riprendono, in parte alla lettera e in parte mediante il rinvio, il dettato dell’art. 119 Cost.
I principali strumenti attraverso cui fare fronte a tale impegno vengono individuati attraverso un’opera di razionalizzazione delle risorse, che prevede, in particolare, «l’unificazione delle diverse fonti aggiuntive o straordinarie di finanziamento statale di conto capitale, destinate alla promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale, alla rimozione degli squilibri economici e sociali, all’eliminazione del deficit infrastrutturale tra le diverse aree del territorio nazionale, ivi compreso quello riguardante il trasporto pubblico locale e i collegamenti con le isole, e al perseguimento delle ulteriori finalità di cui all’articolo 119, quinto comma, della Costituzione…» (lett. a); «l’unificazione delle risorse di parte corrente…» (lett. b); «l’effettuazione di interventi speciali di conto capitale…, ivi compresi quelli finalizzati ad eliminare il deficit infrastrutturale tra le diverse aree del territorio nazionale e a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità» (lett. c, da ricavare con gli strumenti tradizionali di finanza pubblica, Caterini Jorio 10 s.); «l’individuazione delle misure che concorrano a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità, promuovendo il diritto alla mobilità e alla continuità territoriale per tutte le isole, le forme di fiscalità di sviluppo, la perequazione infrastrutturale e la tutela degli ecosistemi nell’ambito delle risorse compatibili con i saldi di finanza pubblica» (lett. d), tenendo conto di alcune condizioni.
Dalla descrizione delle risorse emerge l’attenzione verso il tema dei divari territoriali, soprattutto dal punto di vista infrastrutturale, che, allineata agli intenti del PNRR, è stata accentuata durante la fase della discussione parlamentare. A commento del testo del ddl era peraltro stata rilevata la necessità che gli interventi perequativi ivi previsti fossero coordinati con quelli di carattere infrastrutturale (Piperno 2023).
Il dettato normativo fornisce poi alcune indicazioni sulle modalità di utilizzo delle risorse previste, che sembrano rivolte verso gli stessi obiettivi di semplificazione e accelerazione delle procedure che l’art. 1 annovera fra le finalità della legge.
Ponendosi in continuità con il restante articolato, la disposizione ha sollevato sin dalla prima formulazione alcune perplessità, soprattutto di carattere esegetico, che non hanno portato però alla sua impugnazione in sede di legittimità costituzionale.
La prima concerne la scarsa linearità con cui sono enunciate le ipotesi in cui lo Stato è chiamato a promuovere «l’esercizio effettivo dei diritti civili e sociali», per quanto in particolare concerne la distinzione fra attuazione dei LEP ed esercizio delle funzioni fondamentali di cui alle lett. m) e p) e sugli enti chiamati a intervenire in loro attuazione.
Un secondo rilievo concerne l’inciso «anche nei territori delle Regioni che non concludono le intese», che, preoccupandosi di includere tali enti nell’ambito di operatività della disposizione, sembrerebbe designare come principali destinatari degli interventi perequativi statali le Regioni differenziate, le quali dovrebbero invece presentare una situazione più solida (come la stessa Corte ha poi affermato, Cons. dir. 22) anche dal punto di vista dell’attitudine a dare soddisfazione ai diritti, lasciando intravvedere la possibilità di sovrapposizioni fra l’erogazione di sostegni di tipo perequativo ed eventuali azioni in esercizio del potere sostitutivo.
Da ultimo, nell’indicazione delle fonti la norma pare considerare in modo unitario gli strumenti della perequazione previsti dall’art. 119, non operando quelle distinzioni che il testo costituzionale suggerisce fra risorse aggiuntive e interventi speciali, previsti dall’art. 119 c. 5 Cost. (a chiarire tale distinzione non avrebbe peraltro contribuito neanche l’art. 16 della l. 42/2009, Salerno 143), né per quelle che chiaramente delinea fra tali misure e il fondo perequativo di cui all’art. 119 c. 3.
A questo proposito, all’indomani della riforma costituzionale del 2001 era prevalsa la tendenza a considerare in modo unitario le logiche perequative previste dai due commi, ma la differenza delle finalità perseguite, unita alla consolidata prassi di interventi speciali che si era radicata nel Paese (Macciotta 304), avevano facilitato l’acquisizione della consapevolezza del fatto che il fondo perequativo di cui al c. 3 era destinato a sopperire a eventuali carenze nella copertura del normale esercizio delle funzioni, rimuovendo gli effetti degli squilibri, mentre gli strumenti di cui al c. 5 sarebbero stati impiegati al di fuori di tale ambito (Lofaro 657), colpendo gli stessi fattori di squilibrio (Benvenuti 183 s.).
In relazione alle differenze fra i due canali si ricorda ancora che se il dettato del c. 5 non lascia dubbi sulla natura verticale dei relativi strumenti, quello del c. 3 si rivela potenzialmente aperto a una soluzione di tipo orizzontale (Bergo 406).
Lo stesso legislatore in alcuni atti ha quindi recepito la distinzione, venendo invece sollecitato dalla Corte costituzionale a rispettarla nei casi in cui non ne ha tenuto conto (sent. 71/2023, in cui è richiamato a «intervenire tempestivamente per superare, in particolare, una soluzione perequativa ibrida che non è coerente con il disegno costituzionale dell’autonomia finanziaria di cui all’art. 119 Cost.»).
Più in generale, sull’entità delle misure previste si è rilevato come, nel complesso, la disposizione in esame risulti molto restrittiva, subordinando la garanzia della pari dignità sociale alle esigenze dell’equilibrio di bilancio (Masci 200).
L’art. 10 si compone poi di un c. 2, aggiunto all’originario ddl, secondo il quale «In attuazione dell’articolo 119, terzo comma, della Costituzione, trova comunque applicazione l’articolo 15 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, in conformità con le disposizioni di cui all’articolo 2 della legge 9 agosto 2023, n. 111, e nel quadro dell’attuazione della milestone del Piano nazionale di ripresa e resilienza relativa alla Riforma del quadro fiscale subnazionale (Missione 1, Componente 1, Riforma 1.14)».
Questa disposizione non è scampata allo scrutinio delle Regioni, che la hanno impugnata proprio in quanto, rinviando al fondo perequativo previsto dall’art. 15 del d.lgs. 68/2011, la cui entrata in funzione è stata posticipata da successive modifiche, impedirebbe “l’operatività della perequazione”, in violazione degli artt. 3, 116 c. 3 e 119 c. 3 Cost.
Le questioni vengono dichiarate inammissibili in quanto l’art. 10 c. 2 non nova l’art. 15 del d.lgs. 68/2011 ma ne chiarisce la permanente applicabilità. La Corte non manca però di rimproverare espressamente il rinvio dell’attuazione delle norme sulla perequazione (Cons. dir. 26, 23.3), facendo eco a richiami formulati più volte anche dagli studiosi (ex plurimis Jorio, 5).
Perequazione e Mezzogiorno
Le considerazioni sulla perequazione s’intessono sull’aspettativa che alcune parti del territorio nazionale ne siano tendenzialmente destinatarie in misura superiore ad altre. Ne era ben consapevole il Costituente, che nella versione originaria dell’art. 119, pur non menzionando espressamente l’istituto (Guella 4), volle inserire il riferimento alla possibilità di valorizzare con l’assegnazione di contributi speciali il Mezzogiorno e le Isole, poi eliminato dalla riforma del 2001 e ripreso, solo in riferimento alle seconde, nel 2022, con l’introduzione del c. 6.
La prevalente concentrazione dei bisogni perequativi in una parte del territorio nazionale pare aver di recente incoraggiato il legislatore a prendere in considerazione tale ambito in modo unitario, secondo una direzione suggerita indirettamente anche dal PNRR che, nell’ottica della riduzione dei divari territoriali, restituisce una visione funzionale alla gestione delle politiche e aderente a un approccio di tipo aggregativo (Cerruti 218 ss.). Questa tendenza troverebbe conferma nelle modifiche legislative che, con esiti salutati non sempre con favore, hanno interessato le zone economiche speciali e la perequazione infrastrutturale.
Quanto alle prime, l’innovazione è consistita nell’istituzione, a partire dal 1° gennaio 2024, della Zona economica speciale per il Mezzogiorno – “ZES unica”, che comprende i territori delle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia, Sardegna, sostituendo le previgenti otto zone economiche speciali che vi erano dislocate (d.l. 124/2023, convertito in l. 162/2023, c.d. “decreto Sud”, artt. 9-16bis).
Com’è noto, l’istituzione delle zone economiche speciali mira a sostenere lo sviluppo economico e la crescita degli ambiti territoriali in cui insistono grazie alla previsione di condizioni speciali, relative anche agli investimenti, per l’esercizio delle attività economiche e imprenditoriali che vi abbiano sede.
La legge ha previsto che la ZES unica disponga di un Piano strategico, documento di programmazione triennale che, in sintonia con gli altri strumenti europei e nazionali, ne definisca la politica di sviluppo. Approvato nel 2024 (d.P.C.M. 31.10.2024), il Piano fa riferimento alla posizione strategica del Mezzogiorno, al centro del Mediterraneo, che lo rende potenzialmente in grado di assurgere ad «hub energetico e commerciale», con un ruolo fondamentale per la politica industriale europea e delinea un programma di potenziamento delle misure già previste e di creazione di nuove opportunità per le imprese.
Quanto all’ambito di azione, vengono individuate nove filiere da rafforzare (agroalimentare e agroindustria, turismo, elettronica e ICT, automotive, made in Italy di qualità, chimica e farmaceutica, navale e cantieristica, aerospazio, ferroviario) e gli strumenti attraverso cui intervenire, che consistono principalmente in un regime autorizzatorio semplificato e accelerato e in misure agevolative (di carattere fiscale e non) rivolte agli operatori economici. Sono poi previsti gli organi preposti all’attuazione del processo.
Il secondo intervento sintomatico della volontà di concentrare gli sforzi perequativi nella parte meridionale del Paese, considerata come realtà unitaria, concerne invece la dimensione infrastrutturale.
Rispondendo alla presenza di significativi divari, questo aspetto della perequazione era stato contemplato in modo indiretto dalla revisione costituzionale del 2001 e, più concretamente, dalla l. 42/2009, che vi aveva dedicato un’apposita disposizione, l’art. 22. Questa prevedeva che si procedesse a una ricognizione delle strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche, della rete stradale, autostradale e ferroviaria, fognaria, idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, delle strutture portuali e aeroportuali, sulla base di dati criteri e che nel frattempo fossero posti in essere interventi attuativi dell’art. 119 c. 5 Cost. In attuazione della disposizione era stato approvato il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 26 novembre 2010, che ne aveva definito alcuni aspetti.
Per diverse ragioni, fra cui le difficoltà tecniche di valutazione delle carenze e i vincoli imposti alla finanza pubblica, il procedimento è rimasto di fatto inattuato (Bianchi 82 s.). Con la proposta delle istanze di differenziazione regionale e la successiva fase di attuazione del PNRR il legislatore è invece tornato a intervenire sulla perequazione infrastrutturale, modificando in modo consistente il testo dell’art. 22 (l.178/2020, art. 1 c. 815; d.l. 77/2021, convertito con modificazioni nella l. 108/2021, art. 59 c. 1; d.l. 121/2021, convertito con modificazioni dalla l. 156/2021, art. 15) con la previsione di una effettiva ricognizione delle dotazioni esistenti in diversi ambiti e di un Fondo perequativo infrastrutturale, destinato al finanziamento degli interventi da realizzare a esito della ricognizione.
Anche in questo caso alle innovazioni legislative non si è dato pieno compimento. La perequazione infrastrutturale avrebbe dovuto procedere in parallelo con la determinazione dei livelli essenziali, per la cui garanzia le infrastrutture sono spesso necessarie; se su questi si è registrato qualche progresso, sul fronte della perequazione infrastrutturale non si sono compiuti significativi passi in avanti. Nel frattempo la legge di bilancio per il 2024 (l. 213/2023) ha ridotto il finanziamento del Fondo perequativo infrastrutturale (Bianchi 78 e 84, che riprende i principali contenuti della memoria presentata dalla Svimez nell’aprile 2024 alla Commissione parlamentare sull’attuazione del federalismo fiscale).
Ancor più di recente è intervenuto però il d.l. 60/2024 (art. 11) che, innovando diversi aspetti inerenti le politiche di coesione e con il fine di promuovere lo sviluppo economico e la competitività del Paese, favorire il superamento del divario economico e sociale delle Regioni del Mezzogiorno e definire misure volte a garantire l’attuazione del PNRR (Sprovieri 239), ha abrogato la maggior parte delle disposizioni dell’art. 22, determinando la sostanziale scomparsa della perequazione infrastrutturale e trasformando il Fondo perequativo infrastrutturale nel Fondo perequativo infrastrutturale per il mezzogiorno, di cui definisce la dotazione finanziaria (secondo la scheda di lettura inserita nel dossier parlamentare, la dotazione risulta modesta, Gallia 719, 728). Tale fondo è destinato alla realizzazione di interventi localizzati nelle otto Regioni del Mezzogiorno «relativi a infrastrutture stradali, autostradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali e idriche, nonché a strutture sanitarie, assistenziali, per la cura dell’infanzia e scolastiche, coerenti con le priorità indicate nel Piano strategico della Zes unica, […] [che] possono consistere nella realizzazione di nuove strutture o nel recupero del patrimonio pubblico esistente, anche mediante la sua riqualificazione funzionale» (art. 11). Il riferimento al Piano Strategico della ZES unica compensa l’assenza della ricognizione del deficit infrastrutturale.
L’introduzione della ZES unica – con le misure di agevolazione che prevede – e l’espressa caratterizzazione geografica della perequazione infrastrutturale confermano la volontà, già palesata da alcuni interventi legislativi precedenti, di considerare unitariamente le Regioni meridionali e insulari del Paese, al fine di agevolare il superamento o l’attenuazione di quei divari che in diversi ambiti le dividono da altre parti del territorio nazionale.
L’opportunità di una perequazione mirata
Le politiche degli ultimi anni sembrano aver abbracciato quindi la tendenza a trattare come una realtà unica le Regioni meridionali e insulari, identificandole come più bisognose di interventi perequativi rispetto alle restanti aree del territorio nazionale, in una sorta di rinnovata attuazione del dettato originario dell’art. 119 della Costituzione di cui taluni auspicano «una nuova, effettiva valenza» (Sbrescia 146 s.).
Questo modus operandi presenta senz’altro dei profili di criticità. Si pensi emblematicamente al fatto che la vasta area del Paese a cui sono destinate le misure non è al proprio interno del tutto omogenea, per cui in taluni casi potrebbe beneficiare maggiormente di interventi mirati per singole zone o al fatto che la concentrazione dell’interesse nella parte meridionale e insulare dello Stato rischia di trascurare altri territori eventualmente deficitari, situati nelle Regioni dell’Italia centrale o settentrionale.
Dall’altro lato, tale linea d’azione presenta il pregio di rivolgersi a un’area accomunata sì da elementi problematici, ma anche da risorse e refoli di resilienza che possono fungere da assist (se si consente la metafora calcistica) alle misure dello Stato. Questo è stato ben colto da chi ha ricordato la reazione a tratti positiva di cui il Sud Italia ha dato prova sia di fronte alla crisi economica successiva al 2008, grazie al rafforzamento di alcuni settori come quello turistico e agricolo (Mangiameli-Filippetti-Tuzi-Cipolloni 281 s.), sia di fronte a quella innescata dalla pandemia, reazione a cui pur ha contribuito il supporto dello Stato.
Occorre quindi che, anche se mossi da finalità di carattere perequativo, gli interventi statali proseguano nel senso di incoraggiare le potenzialità e valorizzare le prerogative che derivano al Mezzogiorno sia dalla collocazione geografica, che lo favorisce dal punto di vista geopolitico e della produzione e smistamento delle energie rinnovabili, sia dalla disponibilità di risorse finanziarie, a partire da quelle della politica di coesione europea (Manzella 755 s.), nonché da altri fattori endogeni.
È bene altresì mantenere vigile l’attenzione sulla perequazione, intesa più come forma di stimolo ad agire e a migliorare che come mera assegnazione di fondi “a cascata”, attuandone gli istituti, necessari per superare i rallentamenti dei territori con maggiori difficoltà, non solo nel quadro di un’eventuale “emancipazione” delle Regioni che anelano a maggiore autonomia, ma anche rebus sic stantibus.
Radicandosi nei principi fondamentali di solidarietà (Rossi 57; Rivosecchi 2024, 281) ed eguaglianza previsti dagli artt. 2 e 3 Cost., la perequazione è infatti funzionale alla realizzazione del principio autonomistico di cui all’art. 5, rappresentando un elemento intangibile (Filippetti Tuzi 446), «complementare» (così Bernabei 10, in riferimento al decentramento fiscale) a quella sfera di autonomia finanziaria – costituita dalla disponibilità di risorse e dalla possibilità di compiere con una certa discrezionalità le scelte ad esse relative – che vi dà inveramento.
Quanto al nesso con il regionalismo differenziato, pur nella consapevolezza del fatto che la declaratoria di incostituzionalità di molte disposizioni della l. 86/2024 si ripercuoterà sulle stesse probabilità della sua attuazione (come la Corte stessa ha precisato nel giudizio sull’ammissibilità del referendum abrogativo, sent. 10/2025; sugli effetti netti della sentenza 192, tra gli altri, Cheli 2; Poggi 2025, VIII) e, a cascata, sui profili di carattere finanziario, nel caso della sua implementazione la perequazione costituirà un elemento determinante, consentendo alle Regioni in condizioni più incerte di non temere le conseguenze dell’eventuale assunzione di maggiori competenze e risorse in capo a quelle apparentemente più floride.
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Abstract: Il contributo ripercorre i passaggi della legge 86/2024 (sull’autonomia differenziata) relativi ai profili di carattere finanziario, con particolare riferimento a quelli inerenti la perequazione, anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 192/2024; prende poi in esame due recenti interventi normativi relativi alle Regioni meridionali e insulari del Paese, che concorrono a dimostrare la tendenza a considerare questa parte del territorio nazionale come una realtà unitaria, per spendere infine alcune considerazioni sull’opportunità che gli istituti della perequazione ricevano attuazione indipendentemente dalla concretizzazione delle prospettive delineate nell’art. 116 c. 3 Cost.
Parole chiave: regionalismo differenziato, finanza territoriale, perequazione
The institution of equalisation on the bumpy road to differentiation by Tanja Cerruti
Abstract: The paper retraces the passages of Law 86/2024 (on differentiated autonomy) relating to the financial profiles, with particular reference to those concerning equalisation, also in light of Constitutional Court sentence n. 192/2024; it then examines two recent regulatory interventions concerning the Country’s southern and island Regions, which contribute to demonstrating the tendency to consider this part of the national territory as a unitary reality, and finally makes some reflections on the opportunity for the equalisation institutes to be implemented regardless of the concretisation of the prospects outlined in Article 116, paragraph 3 of the Constitution.
Keywords: differentiated regionalism, territorial finance, equalisation