La disciplina del verde urbano nei regolamenti comunali: una ricognizione empirica / Giulio Profeta
Numero 2 2025 • ANNO XLVI
Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Architettura dell’Università Vanvitelli
Lo studio è stato finanziato dall’Unione europea- Next Generation EU, Missione 4 Componente 1 CUP B5323016700006; CODICE PROGETTO 20228H7WF3.
Il presente contributo si inserisce nelle attività relative al Prin 2022 “Reloading city un nuovo approccio sistemico alla rigenerazione della città e del territorio”.
1. Il verde urbano nella dimensione comunale
Allo stato attuale, non è presente nell’ordinamento italiano una nozione di verde urbano pienamente soddisfacente; l’unica fonte, infatti, che ha provato a fornire una definizione è stato il d.l. 2 aprile 1968, n. 1444 coniugandola con la pianificazione territoriale, ma detto tentativo non ha comportato risultati proficui ed efficaci[1].
Come noto, il decreto ha introdotto un’accezione meramente quantitativa del concetto di verde urbano, declinandolo all’art. 3, comma 2, lett. c) in chiave negativa quale sottrazione di aree verdi dall’edificazione in territori urbani per una superficie pari a 9,00 mq da dedicare ad «aree per spazi pubblici attrezzati a parco e per il gioco e lo sport, effettivamente utilizzabili per tali impianti con esclusione di fasce verdi lungo le strade».
Di fatto, quindi, l’unica ricostruzione possibile del verde si esauriva in un parametro quantitativo rigido consistente nella superficie di 9,00 mq da adibire ad aree per spazi pubblici attrezzati a parco.
Negli ultimi decenni, tuttavia, si è affermata, pur in assenza di una elaborazione legislativa, una concezione prestazionale del verde, con la quale si tende a conferire rilevanza “in positivo” al verde urbano, indirizzando l’attività edificatoria verso finalità specifiche e, contemporaneamente, distinguendo le varie tipologie di verdi esistenti[2].
Questo processo si è affermato gradualmente a partire dalla legge 29 gennaio 1992, n. 113, identificabile quale antesignana e primo incubatoio di una logica prestazionale del verde urbano, per poi acquisire effettiva consistenza con la legge 14 gennaio 2013, n. 10[3].
Contestualmente, anche sul livello regionale si è verificato uno sviluppo dell’accezione prestazionale del verde urbano, probabilmente in modo più marcato e incisivo rispetto al piano nazionale; molte Regioni, difatti, hanno promulgato leggi nelle quali è stata fornita una definizione di verde urbano, così come sono state implementate misure in forza delle quali orientare l’attività edificatoria coniugandola con obiettivi di tutela e valorizzazione delle aree verdi[4].
La specificità delle singole situazioni regionali ha, tuttavia, creato un contesto articolato e fortemente eterogeneo privo di linee di tendenza univoche, molto influenzato da ciascun indirizzo politico regionale e dalle culture burocratiche locali.
La medesima propensione “caleidoscopica” a proposito della regolazione del verde urbano, forse anche con intensità maggiore, si può ritrovare nella dimensione comunale, contraddistinta dalla totale peculiarità di ogni singolo Comune, pure se appartenente al medesimo ambito territoriale regionale.
In particolare, vista la carenza di una potestà normativa comunale, il verde urbano al livello comunale trova una propria disciplina all’interno di due atti regolamentari tipici, da un lato il regolamento edilizio, dall’altro il regolamento del verde.
Nella trattazione si procederà ad un’analisi di questa tipologia di atti, allo scopo di identificare elementi ricorrenti; da ultimo, si proverà a ipotizzare misure concrete con le quali valorizzare ulteriormente la nozione di verde urbano esistente[5].
2. Il verde pubblico nei regolamenti edilizi[6]
Le attribuzioni comunali in materia di governo del territorio sono risalenti, essendo previste addirittura fin dalla legge 20 marzo 1865, n. 2248 all’allegato A, il quale stabiliva all’art. 87, comma 6 che appartenessero ai Comuni le competenze inerenti ai regolamenti in materia di “edilità”[7]. Tale prerogativa è stata sempre confermata negli atti normativi successivi, tanto che la dottrina al riguardo ha avuto modo di affermare che «materie come la polizia locale, l’igiene e l’edilità sono tradizionalmente riservate alla potestà normativa dei comuni, che solo incidentalmente e per eccezione vengono toccate dalla legislazione statale, sino al punto di ritenere il potere regolamentare dei comuni una «specie di potestà legislativa secondaria, che in quella dello Stato, quando esiste, trova certo un suo limite insuperabile, ma che quando questo limite espressamente non incontra, si esplica in tutta la sua pienezza ed efficacia»[8].
I regolamenti edilizi, assolvendo alla funzione di regolare l’attività edificatoria, hanno preso in esame indirettamente la tutela del verde urbano, dapprima in simmetria con la declinazione quantitativa tracciata dal d.l. n. 1444/1968; attualmente, tuttavia, grazie alla diffusione di una logica prestazionale, si possono riscontrare diverse funzioni correlate al verde.
Volendo adottare una classificazione del tutto convenzionale, queste sono rappresentate:
- un limite esterno all’attività edilizia, coerente con l’approccio quantitativo;
- una dimensione prettamente prestazionale, ossia una declinazione qualitativa, ricorrente soprattutto nei regolamenti maggiormente recenti;
- una finalità programmatica, che per quanto sia possibile inquadrare nei termini di una sub-specie della funzione prestazionale. se ne distingue nella misura in cui la tutela del verde passa da precisi meccanismi applicativi o elementi sanzionatori;
- di conformazione nei confronti degli interventi edilizi, in ciò differenziandosi rispetto alla n. 1 nella misura in cui il verde non rappresenta un limite esterno, ma un canone guida nell’edificazione, ed alla n. 2 dal momento che si indirizza esplicitamente all’attività edilizia;
- di raccordo tramite un meccanismo di rinvio ai regolamenti del verde, visto che, come anticipato, anche quest’ultimi regolano il tema[9].
Cominciando l’indagine e partendo dalle aree settentrionali, in Veneto si può notare uno scenario composito, nel quale solo a Verona, Padova, Treviso e Venezia, in cui il regolamento edilizio ha concluso il proprio iter di formazione tra il 2019 e il 2022, oltre all’approccio quantitativo si ha quello di raccordo, programmatico e qualitativo, ad esempio con esplicito rinvio ai criteri ambientali minimi prescritti in materia di contrattualistica pubblica[10].
In Lombardia, analogamente, il contesto appare estremamente disomogeneo, con capoluoghi di provincia contraddistinti da regolamenti edilizi non aggiornati ed altri caratterizzati da regolamenti edilizi di recentissima emanazione; non necessariamente quest’ultimi prendono in esame il verde urbano allo stesso modo dei primi. Ad esempio, Bergamo e Lodi, pur manifestando un approccio fondamentalmente quantitativo, presentano disposizioni espressive anche di un assetto qualitativo, programmatico, di rinvio al regolamento del verde e conformativo[11]. I Comuni di Brescia, Sondrio, Pavia e Milano possiedono regolamenti edilizi più recenti (entrati in vigore tra il 2014 e il 2023), anche se non tutti sono contrassegnati da un’identica attenzione al verde[12]; in particolare, spiccano quelli di Sondrio e Pavia, con quest’ultimo che agli articoli 86 e 87 prevede un’analitica e minuziosa disciplina delle aree verdi, tanto pubbliche quanto private, comprensiva ad esempio di un raccordo con altre fonti di tutela del verde, in specie regolamento del verde, conformazione dell’attività edilizia, programmatica e prestazionale[13].
In Piemonte si rinviene, invece, una tecnica amministrativa peculiare, rappresentata dal “regolamento-tipo”, ossia dalla predisposizione da parte della Regione di un modello tipo che, con alcuni adeguamenti, trova poi ricezione all’interno dei singoli Comuni, garantendo una certa uniformità di fondo[14]; il quadro risultante, per questa ragione, è, diversamente rispetto alla parte maggioritaria delle regioni italiane, relativamente omogeneo, pur essendo presenti alcune differenze. Di conseguenza, Verbania, Vercelli, Novara, Alessandria, Asti, Cuneo e Torino hanno adottato un regolamento edilizio in cui il verde assume diverse funzioni (in specie, quantitativa, di raccordo, programmatica e conformativa), anche se quella qualitativa non è sempre adeguatamente approfondita[15].
Per completare il quadro dell’area settentrionale, nella Regione Speciale della Valle D’Aosta è conferita importanza al verde in un’accezione quasi esclusivamente conformativa[16]; infine, i Comuni Capoluogo del Friuli-Venezia-Giulia e del Trentino, pur avendo in taluni casi regolamenti edilizi anche recenti, presentano una tutela del verde urbano prettamente quantitativa[17].
Scendendo verso le zone centrali, in Liguria, i regolamenti edilizi dei Capoluoghi di Provincia sono mediamente recenti (tutti introdotti tra il 2015 e il 2017, anche se per Imperia e Genova sono stati modificati nel 2020) e, fra questi, spicca in modo particolare quello del Comune capoluogo di Regione di Genova, in cui si rinvengono tutte le funzioni correlate al verde, tra cui un singolare meccanismo di contributi incentivanti per innalzare la qualità prestazionale del verde con interventi edificatori[18].
Specularmente a quanto ricostruito nell’ambito degli impianti normativi regionali, in Emilia-Romagna si ritrova mediamente un’accentuata sensibilità per la tutela del verde nei regolamenti edilizi, che si articola in plurime funzioni.
In particolare, i regolamenti edilizi sono stati tutti emanati tra il 2009 e il 2023 e le funzioni del verde urbano sono presenti in base ad un assetto variegato nei Comuni Capoluogo di Provincia di Rimini, Ravenna, Ferrara, Modena, Reggio-Emilia, Parma, Piacenza e Bologna; ad esempio, nel Comune Capoluogo di Regione di Bologna si nota una funzione di raccordo, conformativa e prestazionale[19].
Costituisce, invece, una parziale eccezione Forlì, in cui il regolamento edilizio manifesta un approccio essenzialmente conformativo[20].
In Toscana la maggior parte dei Comuni Capoluogo di Provincia, ossia Firenze, Prato, Arezzo, Siena, Grosseto, Massa e Pistoia, si è munita di nuovo regolamento edilizio tra il 2016 e il 2023, mentre solo Lucca, Pisa e Livorno hanno un regolamento edilizio anteriore.
Ad ogni modo, salvo Lucca, il cui regolamento edilizio, tuttavia, risale ben al 1996, Pisa e Prato, i regolamenti edilizi sono tutti comprensivi delle varie funzioni correlate al verde. In particolare, il Comune di Firenze presenta una situazione singolare, dal momento che prevede una regolazione del verde urbano tanto nel regolamento edilizio, quanto nelle norme tecniche di attuazione del regolamento urbanistico, “in attuazione degli indirizzi contenuti nel Piano Strutturale”[21]; peraltro, elemento del tutto originale, è la vera e propria definizione nel regolamento urbanistico del verde urbano, identificato ex art. 29, comma 1 quali aree a «diversa estensione e sistemazione, possono essere individuate come parchi o giardini, ma sono comunque connotate dalla presenza importante di vegetazione e dalla decisa prevalenza di suoli permeabili. Possono avere un carattere naturalistico, paesaggistico, ornamentale oppure ospitare attrezzature per lo svolgimento di attività ludiche e sportive leggere svolgendo pertanto funzioni ecosistemiche, paesaggistiche e sociali. In relazione ai tipi di utenza prevalenti, esse possono essere concepite come spazi disponibili per il gioco dei bambini e lo sport dei ragazzi o come spazi disponibili per lo svago e lo sport in forma libera degli adulti. Tali aree concorrono alla dotazione territoriale specifica (standard d.m. 1444/1968)»[22].
Per rimanere nelle zone centrali, nella Regione Marche, contrariamente alla Toscana e all’Emilia-Romagna, i Capoluoghi di Provincia possiedono regolamenti edilizi non aggiornati, che, conseguentemente, rivelano un’attitudine prettamente quantitativa in merito al verde urbano.
Difatti, Ascoli, Fermo, Pesaro e Ancona hanno tutti approvato il proprio regolamento edilizio tra il 1989 e il 2000; rappresenta, invece, una parziale eccezione Macerata, che ha approvato il regolamento edilizio nel 2000 (modificandolo poi in più occasioni, la cui ultima risale al 2010) che prevede un Titolo XVII-bis (“Tutela del verde pubblico”), all’interno del quale si coglie una logica conformativa degli interventi edilizi e, soprattutto, latu sensu qualitativa, con la elaborazione di una peculiare definizione all’art. 97-ter di verde “ornamentale”, consistente in «un insieme armonico di elementi vegetali, paesaggio, arredo e strutture ludiche» munito di alcuni attributi come la natura di «sistema organico di aree e siti composti fondamentalmente da elementi vegetali armonizzati con manufatti e arredi ed in stretta relazione, non solo fisica» e la funzione, che concorre a innalzare gli standard qualitativi della vita urbana[23].
Contesto molto simile alle Marche è quello dell’Umbria, con Perugia e Terni caratterizzate da un regolamento edilizio ispirato da una logica quantitativa, per quanto approvato nel primo caso nel 2005, nel secondo nel 2008, anche se ambedue modificati successivamente[24].
Ancora, in Abruzzo i regolamenti edilizi di Teramo, Chieti e L’Aquila sono stati varati tra il 1970 e il 1984, con il verde declinato su di un versante solo quantitativo, mentre a Pescara l’approvazione risale al 2019, ma, ciononostante, rispetto alla impostazione quantitativa ricorrente negli altri atti e a fronte del suo carattere maggiormente recente, si rinviene un’unica disposizione nella quale emerge la funzione di raccordo al regolamento del verde comunale[25].
Infine, per completare lo spaccato sulle Regioni centrali, nel Lazio, analogamente alle Marche, all’Umbria e all’Abruzzo, i regolamenti edilizi attualmente vigenti sono tutti, salvo il caso di Frosinone che lo ha approvato nel 2023, risalenti, addirittura nel caso di Roma il processo di formazione si è concluso nel 1934; non casualmente, Rieti, Roma, Viterbo e Latina richiamano il verde secondo un significato solo quantitativo, con Frosinone che affianca a questo assetto anche una funzione programmatica e latamente conformativa[26].
Passando, per concludere, alle Regioni meridionali, il quadro permane caratterizzato da una disomogeneità di fondo, dipendente in larga parte del momento risalente in cui è stato approvato il regolamento edilizio.
Ad esempio, in Campania si spazia da Comuni capoluogo con regolamenti edilizi del 1987, come nel caso di Caserta, ad altri più recenti quale Benevento, il cui regolamento edilizio è stato approvato nel 2016. Tale contesto, per l’appunto, vede i regolamenti edilizi dei Comuni di Napoli, Caserta ed Avellino non menzionare il verde urbano o declinarlo secondo un’impostazione quantitativa, mentre Salerno e Benevento richiamare anche le funzioni conformative, programmatiche e di raccordo, anche se non affiora una funzione propriamente qualitativa-prestazionale[27].
Analoga esiguità di funzioni si rinviene in Molise, sia ad Isernia che a Campobasso, per quanto nella prima il regolamento edilizio sia stato varato nel 2006, mentre nel secondo nel 1972 (anche se adeguato da ultimo nel 2008), dal momento che i regolamenti edilizi fanno trasparire solo una funzione conformativa nei confronti degli interventi edilizi[28].
Da ultimo, la Calabria presenta, analogamente al resto delle Regioni, un quadro marcatamente eterogeneo, in cui domina la varietà delle situazioni. Fra i Comuni in cui il regolamento del verde dispiega una dimensione non prettamente quantitativa vi è Crotone, il cui regolamento del 2018 declina il verde in una logica anche di raccordo e conformativa, Reggio Calabria, le cui norme tecniche di attuazione, le quali hanno sostituito dal 2024 il precedente regolamento edilizio, nominano il verde a scopo conformativo, e Catanzaro, dove curiosamente il regolamento edilizio contiene un’accezione quantitativa e soprattutto qualitativa[29].
In Puglia, pur essendo presente uno schema di regolamento edilizio-tipo formato a livello regionale, vi sono regolamenti edilizi non aggiornati accanto ad altri più recenti, in cui il verde si esplicita non solo in una dimensione quantitativa, ma anche nelle altre sopra individuate, come quelli di Lecce, Bari e Barletta[30]; spicca, in particolare, quello di Bari, che utilizza oltretutto una terminologia piuttosto avanzata, ricorrendo al concetto già introdotto della riduzione dell’effetto delle isole di calore o delle infrastrutture verdi[31].
Nelle isole, in Sicilia emerge una fotografia piuttosto datata, in cui il verde dispiega un significato anche prestazionale (pur sfumato), programmatico e/o di raccordo solo nei Comuni Capoluogo di Enna, Messina e Agrigento[32]; tuttavia, in taluni casi il verde urbano non è neppure menzionato[33].
Infine, in Sardegna i regolamenti edilizi sono stati tutti approvati tra il 2013 e il 2018, ma lo stato dell’arte è egualmente disomogeneo, contraddistinto dalla prevalenza della dimensione quantitativa e, al più, conformativa[34].
3. Il verde urbano nei regolamenti a tutela del verde e in atti analoghi[35]
Il regolamento edilizio non è l’unico atto a natura regolamentare che menziona fra i suoi contenuti il verde urbano; come visto, tra le funzioni individuate proprio nei regolamenti edilizi ve ne è una di raccordo con i regolamenti posti a tutela del verde, approvati dai Comuni e oramai diffusi su tutto il territorio[36].
Il fondamento di quest’ultima potestà normativa di rango secondario per la dottrina risiede nel combinato disposto degli artt. 117, comma 6 e 118, commi 1 e 2 della Costituzione. I Comuni, quindi, sono titolari della potestà regolamentare per lo svolgimento delle funzioni amministrative loro esercitate e, in particolare, il verde urbano rientrerebbe all’interno di quelle funzioni amministrative “proprie”, ossia naturalmente svolte dall’ente territoriale anche in assenza di un preciso conferimento tramite atto legislativo[37].
L’elemento che caratterizza detti regolamenti è, per parte della dottrina, la tutela di un “diritto di proprietà immobiliare”, dal momento che il verde pubblico, costituito da alberi, arbusti e piante, è “incorporato” al suolo e, in tal modo, lo pubblicizza, secondo lo schema classico dell’apposizione di un vincolo sociale al diritto di proprietà[38].
Questa tesi, tuttavia, è stata di recente sottoposta ad una revisione, atteso che l’ambiente in generale, e quindi anche il verde urbano che ne rappresenta un aspetto, ha acquisito autonomo valore e dignità in sé, con la conseguenza che si può parlare di un interesse pubblico emancipato rispetto a quello della finalità sociale del diritto di proprietà[39].
A prescindere dall’inquadramento dogmatico a cui si intenda aderire, è indubbia la natura pubblica del verde, desumibile anche solo dal fatto che esso è oggetto di protezione tramite atti come i regolamenti, per quanto sostanzialmente normativi[40].
Peraltro, non si può non puntualizzare che le linee-guida del 2017 menzionano esplicitamente il regolamento del verde tra gli strumenti di pianificazione urbanistica-territoriale, a verosimile conferma che detto potere regolamentare è considerato oramai “proprio” dell’ente comunale.
Ciò posto, si può procedere all’analisi dei contenuti dei regolamenti del verde dei Comuni capoluogo di Provincia, avvalendoci sempre del medesimo metodo espositivo già utilizzato fondato su di un criterio geografico e premettendo sempre che siamo di fronte ad una marcata eterogeneità di fondo[41].
In via preliminare, si può sottolineare come convenzionalmente sono state riscontrate le seguenti funzioni amministrative nei regolamenti del verde: 1) la compartecipazione nella gestione delle aree verdi tra pubblici poteri e cittadini (concezione espressiva plausibilmente del principio di sussidiarietà orizzontale), anche attraverso l’ausilio dell’organo della “Consulta per il verde”, formato da dipendenti comunali e rappresentanti di ordini professionali, associazioni ambientaliste e di categoria; 2) un’attività di vigilanza da parte del Comune sul rispetto delle prescrizioni poste a tutela del verde; 3) un’attività sanzionatoria espletata dal Comune; 4) l’attuazione dei contenuti posti dalla l. n. 10/2013; 5) per il verde pubblico, le modalità di intervento su di esso, nonché i procedimenti autorizzatori per lo svolgimento di attività da parte della cittadinanza; 6) a proposito del verde privato, le modalità di intervento e i limiti esterni all’attività edilizia[42].
Partendo dalle aree settentrionali, si può notare che la Regione del Friuli-Venezia-Giulia manifesta una particolarità, nella misura in cui sono presenti due atti regionali che regolano ambiti attigui al tema del verde urbano: da un lato, vi è un regolamento dedicato alla tutela della flora e della fauna, dall’altro un allegato concernente la disciplina rilevante per gli alberi monumentali della Regione[43].
Fra i Capoluoghi di Provincia, quello di Trieste approvato con deliberazione del Consiglio Comunale del 7 aprile 2014 risulta essere comprensivo di tutte e sei le funzioni sopra individuate[44]. Destano, inoltre, curiosità i casi di Gorizia e Pordenone, dal momento che la prima non ha approvato alcun regolamento sul verde, mentre Pordenone ha emanato l’ordinanza n. 2 del 2023 diretta, tuttavia, a regolare solo il verde privato[45].
In Veneto, i Comuni che possiedono un regolamento del verde contenente tutte e sei le funzioni correlate al verde sono Treviso, Venezia, Rovigo e Verona[46]. In più, a Verona è presente una specifica definizione di verde urbano, identificato nei termini di «insieme dei parchi, dei giardini, delle aree verdi in generale sia pubbliche che private. Esso non è solo vegetazione ma anche suolo, acqua, aria, luce, spazio, arte, cultura e tradizioni, elementi che per avere efficacia devono essere presenti in quantità e qualità adeguate e devono poter armonizzarsi tra loro e fare sistema. Ciò cambia inevitabilmente anche i termini di progettazione urbanistica: non aree verdi sparse a caso tra le costruzioni, ma edifici che sorgono tra i parchi e i giardini»[47].
In Trentino, solo la Provincia Autonoma di Bolzano ha un vero e proprio regolamento avente per oggetto la tutela del verde approvato nel 23 giugno 2020, in cui si rinvengono tutte le sei funzioni del verde urbano sopra elencate[48].
In Lombardia, vi sono Comuni Capoluogo come Mantova e Sondrio in cui il regolamento del verde è al momento assente ma è in vigore un Piano del Verde, altri come Cremona, Lodi, Pavia, Varese, Monza e Brianza e Milano in cui è presente un regolamento del verde[49].
In Piemonte, i Comuni Capoluogo in cui si riscontra un regolamento del verde onnicomprensivo delle sei funzioni sopra riportate sono Torino, Alessandria e Vercelli, mentre in alcuni come Asti è mancante qualsiasi tipo di atto, mentre a Verbania e a Novara il regolamento comprende solo alcune tra le finalità riscontrate e a Biella è presente una curiosa “Carta dei servizi gestione del verde pubblico”[50].
In Liguria tutti i Comuni Capoluogo hanno un regolamento del verde, anche se non particolarmente recente[51].
Passando alle Regioni centrali, in Emilia-Romagna, salvo per Rimini e Ravenna, gli altri Comuni Capoluogo presentano un regolamento del verde successivo alla l. n. 10/2013, talvolta posto come allegato al regolamento edilizio[52]. A Forlì, ad esempio, il regolamento del verde, oltre a racchiudere le varie funzioni del verde urbano sopra riportate, traccia anche una definizione del verde, in questo caso declinato quale “sistema del verde”, «costituito principalmente dal verde pubblico, dal verde territoriale e dal verde privato, è una componente fondamentale del paesaggio urbano e territoriale. La città ne conosce il rilievo, negli aspetti ambientali, igienico-sanitari, di risparmio energetico, culturali, estetici, sociali e ricreativi; e con il presente regolamento comunale per la gestione e tutela del verde pubblico e privato (in seguito abbreviato con il solo termine di “regolamento”) intende migliorare la gestione del sistema verde e tutelarne la le funzioni di interesse collettivo»[53].
In Toscana, il quadro si presenta maggiormente articolato, dal momento che, oltre a Comuni privi di atto specifico sul verde, vi sono anche contesti in cui è presente un altro atto con denominazione distinta, allegati al regolamento edilizio e atti pur regolamentari ma con oggetto parzialmente diverso rispetto al verde[54].
Rispetto ad altre realtà regionali centro-settentrionali, la situazione toscana è contraddistinta da regolamenti del verde piuttosto datati, anche se costituisce parziale eccezione il Comune di Pistoia, approvato nel 2021; il regolamento, oltre a includere una definizione di aree verdi ripartite in varie tipologie (aree verdi, verde storico, parchi urbani, verde attrezzato di quartiere, verde attrezzato di vicinato e verde pertinenziale), è tra i pochi nella Regione ad articolare tutte e sei le funzioni del verde[55].
Nelle Marche ritroviamo una modalità operativa già rinvenuta a proposito dei regolamenti edilizi, ovvero il regolamento-tipo del verde, adottato dalla Giunta Regionale ai sensi del comma 6 dell’art. 20 della l. reg. 3 gennaio 2005, n. 6. Questo regolamento, piuttosto snello per numero di articoli ma particolarmente corposo per i suoi allegati, fornisce una definizione di verde urbano e comprende diverse funzioni del verde, anche se, coerentemente alla data di approvazione anteriore, non attua del tutto i contenuti della legge n. 10/2013[56].
In Abruzzo, oltre al canonico regolamento del verde ad esempio presente a Pescara e a L’Aquila, troviamo anche situazioni connotate da fonti diverse, come Chieti e Teramo; in particolare, Teramo si caratterizza per la presenza di un “regolamento di tutela del territorio rurale”, avente per oggetto la tutela della “polizia rurale”[57].
Nel Lazio, il regolamento del verde maggiormente completo e che include tutte e sei le funzioni del verde urbano è quello di Roma Capitale, approvato nel 2021 e piuttosto articolato, includendo ben 67 articoli e 16 allegati; all’interno, trova una definizione lo stesso concetto di verde urbano, identificato quale «da componenti essenziali della Rete ecologica e del paesaggio, quali: aree naturali, macchie di vegetazione arborea e arbustiva, argini e scarpate di fossati non consorziali, sponde fluviali, “Agro Romano”, ville e giardini storici, aree archeologiche, parchi e giardini pubblici e privati, alberi e alberate di pregio, verde e alberature stradali, verde a completamento delle infrastrutture viarie, dei servizi pubblici, degli insediamenti residenziali pubblici e privati, verde architettonico, pensile, verticale e di pertinenza di edifici, aree di recupero ambientale e di nuova naturalizzazione, già bonificate, aree pubbliche non utilizzate o recuperabili come aree a verde e aree verdi attrezzate e verde di uso collettivo, vegetazione dunale presente lungo la costa di Roma Capitale»[58].
Infine, passando alle Regioni meridionali, si può notare come in Campania i regolamenti del verde urbano siano tutti mediamente più risalenti rispetto ad altre aree[59]. Il regolamento più completo è rappresentato da quello del Comune di Benevento che, pur entrato in vigore nel 2008, è stato modificato anche recentemente, da ultimo nel 2019; l’atto, come anche altri, presenta una definizione di verde urbano, declinato nella fattispecie quale “verde d’arredo urbano”[60].
In Puglia, il contesto si compone di atti tutti mediamente risalenti rispetto ad altre Regioni italiane, costituisce eccezione in quanto caratterizzata dalla presenza di un regolamento del verde relativamente recente il Comune di Barletta, che lo ha approvato nel 2017; detto regolamento, come altri, si avvale di una definizione di verde urbano, comprensiva tanto di aree pubbliche, quanto di quelle private, identificandolo secondo un approccio classificatorio[61].
In Calabria spicca il regolamento di Vibo Valentia, approvato nel 2023 e che contempla tutte le funzioni del verde sopra riportate, con anche una definizione di “aree verdi” fondata, come nel caso pugliese, su di una logica classificatoria[62].
Per concludere, nelle isole si può notare uno scenario lacunoso in riferimento alla diffusione del regolamento del verde, tanto che vi sono numerosi Capoluoghi di provincia che non hanno ancora approvato questo atto[63]; difatti, in Sardegna solo Sassari è caratterizzata dalla presenza di un regolamento posto a tutela del verde approvato nel 2017, mentre in Sicilia quello più recente è quello del Comune di Catania, approvato nel 2019[64].
4. Conclusioni
All’esito della nostra ricognizione, possiamo tracciare le fila delle considerazioni sopra riportate, sottolineando fin da questo momento come sia possibile rilevare alcuni punti fermi nel ragionamento.
La frammentazione “caleidoscopica” del livello comunale è probabilmente l’elemento maggiormente identitario, dal momento che la rappresentazione finale risulta ampiamente diversificata.
Tra i pochi indici presenti possiamo riscontrare una tendenziale correlazione nei regolamenti edilizi fra il procedimento di formazione e la tutela del verde, nel senso che è maggiormente ricorrente una funzione qualitativa del verde urbano nei regolamenti edilizi più recenti[65].
Nel caso del regolamento di tutela del verde questa correlazione risulta già meno marcata, verosimilmente in ragione del dato per cui quest’ultimi sono di per sé come strumento più recenti rispetto ai regolamenti edilizi.
Sempre nei regolamenti del verde si può notare una maggiore presenza di definizioni del verde, spesso ispirate da un approccio classificatorio e/o per sommatoria di elementi.
Dalla molteplicità degli atti esaminati sembra, quindi, essere confermata la chiave di lettura già articolata nelle premesse, ovvero che il singolo indirizzo politico comunale, oltreché la tradizione burocratica locale, è l’elemento decisivo e determinante ai fini del livello e della qualità di tutela del verde urbano nel territorio comunale.
Spostandoci verso le misure che possono essere implementate, sicuramente una delle prime azioni che potrebbe essere attuata è il rafforzamento della Consulta del verde, organo spesso richiamato nei singoli regolamenti locali e dotato di poteri consultivi, oltreché espressivo della sussidiarietà orizzontale prevista dall’art. 118, comma 4 della Costituzione. Ad oggi, ove contemplata (e non sempre), la Consulta esercita poteri abbastanza generici, mentre potrebbe essere fissato in modo più puntuale quando è richiesto il suo coinvolgimento, anche qualificando in termini espressi il proprio operato quale parere. La Consulta, inoltre, potrebbe essere composta anche da singoli cittadini, dal momento che talvolta è formata da esponenti da associazioni, dipendenti pubblici e organi professionali, mentre proprio la sussidiarietà orizzontale valorizza l’apporto pure del cittadino in quanto tale.
In più, sotto il versante più prettamente edilizio, potrebbero essere introdotte previsioni tese a favorire l’impiego di modalità edilizie più ecocompatibili, magari sotto forma di incentivazione e non di penalizzazione, al fine di rispettare comunque la libertà di attività economica.
Qualunque proposta, tuttavia, non può prescindere dal dato di realtà costituito dall’estrema frammentazione del quadro municipale, anche se questo non è necessariamente un male; un consono regime giuridico composito potrebbe permettere di tutelare meglio il verde urbano e, quindi, la vivibilità delle nostre città in base alle specificità di ogni contesto, purché sia collocabile all’interno di una prospettiva comune (nel nostro caso, la valorizzazione in senso qualitativa del verde urbano).
Note
[1] L’importanza del d.l. n. 1444/1968 è conclamata in dottrina, vedesi, A. Giusti, La rigenerazione urbana, temi, questioni e approcci nell’urbanistica di nuova generazione, Napoli, Editoriale Scientifica, 2018, pp. 146 e ss., M. Calabrò e C. De Biase, Il verde pubblico nel nuovo contesto urbano post-pandemico, in Contesti. Città, Territori, Progetti, 1, 2021, pp. 119 e ss., V. Giomi, Il verde urbano come paradigma giuridico valoriale. Riflessioni sull’evoluzione di una funzione, in Riv. Giur. Amb., 3, 2024., pp. 789 e ss., G. Mari, Il verde urbano pubblico e la pubblicizzazione del verde privato, in Riv. Giur. dell’edilizia, 1, 2018, pp. 39 e ss., M. Brocca, Note in tema di verde urbano, in Riv. Giur. Ambientediritto, 1, 2021, pp. 2 ss. e F. Gallarati, Dal verde urbano all’ecosistema urbano: linee di tendenza nella disciplina giuridica della biodiversità in ambito urbano, in Riv. Giur. Ambiente, 1, 2023, p. 100. Emblematica sul punto è la considerazione espressa in C. De Biase e M. Calabrò, Il governo del territorio nel confronto tra saperi: note su una prospettiva funzionale della pianificazione del verde urbano, in Riv. Quadr. di Dir. Amb., 1, 2024, p. 190, per il quale «secondo l’approccio tradizionale, come noto, gli spazi verdi rientrano nella categoria degli standard urbanistici introdotti dal d.m. n. 1444/1968, laddove regola, in una prospettiva meramente quantitativa, la dotazione minima per abitante da riservare a verde pubblico. Non si intende certo negare il ruolo essenziale che l’introduzione dell’obbligo del rispetto di standard predeterminati ha giocato nella evoluzione del modello di sviluppo delle nostre città».
[2] M. Calabrò, C. De Biase, Il verde pubblico nel nuovo contesto urbano post-pandemico, cit., pp. 119 e ss.
[3] F. Gallarati, Dal verde urbano all’ecosistema urbano: linee di tendenza nella disciplina giuridica della biodiversità in ambito urbano, cit., p. 100 e M. Brocca, Note in tema di verde urbano, cit., pp. 3 ss.
[4] La tutela del verde urbano dal punto di vista della tecnica di produzione legislativa è avvenuta per lo più o per mezzo di modifiche alla legge-quadro di governo del territorio (10 Regioni), o con la promulgazione di specifici atti dedicati alla rigenerazione urbana, nei cui confronti il verde urbano costituisce un elemento imprescindibile (7 Regioni); di conseguenza, solo in taluni circoscritti casi il verde urbano è confluito in atti normativi a contenuto eterogeneo (3).
[5] Si intende premettere che si è concentrata l’indagine ai Comuni capoluogo in ragione del loro relativo status giuridico e relativa grandezza; l’estensione dell’analisi, infatti, anche ad altri Comuni avrebbe dilatato eccessivamente l’oggetto dello studio, oltre a complicare la stessa ricerca, ad esempio sui criteri di selezione dei Comuni non capoluogo.
[6] Come emerge dal grafico, la maggioranza dei regolamenti edilizi comunali non contiene una valenza propriamente prestazionale, anche se neppure monoquantitativa, a riprova che la logica quantitativa correlata al verde urbano è quella più risalente. Dal punto di vista geografico, i regolamenti edilizi monoquantitativi (così come la carenza vera e propria del regolamento) si trovano soprattutto nelle aree centrali e meridionali del Paese, quelli prestazionali sono diffusi ovunque senza elementi caratteristici, analogamente quelli privi della componente prestazionale ma non ridotti ad una dimensione unicamente quantitativa.
[7] Come ricordano N. Assini, P. Mantini, Il regolamento edilizio comunale. Profili giuridici e amministrativi, Maggioli, Rimini, 1991, ripresi più recentemente da S. Tuccillo, Il regolamento edilizio-tipo tra esigenze di uniformità e di salvaguardia delle identità territoriali, in Riv. Giur. dell’edilizia, 3, 2017, pp. 132 e ss., la potestà regolamentare in materia è stata esercitata in Italia fin dal Medio Evo dai Comuni, a causa della particolare frammentazione politica del nostro Paese; nell’Ottocento detta attribuzione ha subito una sorta di “istituzionalizzazione”, nella misura in cui l’edilizia è stata ricompresa nei vari regolamenti comunali “del decoro, dell’igiene e della sicurezza” e, a seguito della l. 23 ottobre 1859, n. 3702, nei regolamenti di “ornato e polizia locale” (art. 84, comma 1, n. 10), per poi acquisire dignità autonoma proprio con il sopra riportato allegato A alla l. n. 2248/1865.
[8] R. Cavallo Perin, Il diritto amministrativo dell’emergenza per fattori esterni all’amministrazione pubblica, in Dir. Amm., 4, 2005, p. 787. Cavallo Perin a sua volta cita Santi Romano. Gli atti successivi che hanno sempre confermato la potestà regolamentare comunale sono il r.d. 10 febbraio 1889, n. 5921, “Testo unico della legge comunale e provinciale”, il r.d. 21 maggio 1908, n. 269, “Testo unico della legge comunale e provinciale”, il r.d. 3 marzo 1934, n. 383, “Testo unico della legge comunale e provinciale”, il r.d.l. 25 marzo 1935, n. 640, come convertito dalla l. 23 dicembre 1935, n. 2471, “Nuovo testo delle norme tecniche di edilizia con speciali prescrizioni per le località colpite dai terremoti”, il r.d.l. 22 novembre 1937, n. 2105, come convertito dalla l. 25 aprile 1938, n. 710, “Norme tecniche di edilizia con speciali prescrizioni per le località colpite dai terremoti”, la legge 17 agosto 1942, n. 1150“Legge urbanistica”, la legge 6 agosto 1967, n. 765 “Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150”, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” ed, infine, il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, così come convertito con modificazioni nella l. 30 luglio 2010, n. 122, “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”. In particolare, queste ultime due fonti da un lato costituiscono la base legale per l’esercizio della potestà regolamentare dei Comuni in materia di edilizia (art. 2, comma 4 del d.P.R. n. 380 del 2001, in forza del quale “I comuni, nell’ambito della propria autonomia statutaria e normativa di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, disciplinano l’attività edilizia”), dall’altro identificano detta potestà quale funzione fondamentale dei Comuni (art. 14, comma 27, lett. d), secondo cui «la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonché la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale»).
[9] Detta classificazione delle funzioni dei regolamenti edilizi è ovviamente arbitraria. La principale distinzione tra funzione quantitativa e di conformazione dell’attività edilizia risiede nella circostanza per la quale la prima tende a introdurre un elemento rigido in riferimento al verde urbano, con la conseguenza che esso diviene un limite esterno all’iniziativa edificatoria, mentre la seconda orienta quest’ultima allo scopo di tutelare e valorizzare il verde; la funzione, invece, programmatica si può porre, come detto, in un rapporto di genere a specie con quella prestazionale. A metà strada fra quella quantitativa e quella prestazionale si può, da ultimo, inserire quella conformativa, quasi in una sorta di confluenza fra le due.
[10] Con l’art. 57, comma 2 del Codice dei Contratti Pubblici del 2023, i criteri ambientali minimi (CAM) sono divenuti obbligatori; difatti, «2. Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti contribuiscono al conseguimento degli obiettivi ambientali previsti dal Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione attraverso l’inserimento, nella documentazione progettuale e di gara, almeno delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei criteri ambientali minimi, definiti per specifiche categorie di appalti e concessioni, differenziati, ove tecnicamente opportuno, anche in base al valore dell’appalto o della concessione, con decreto del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica e conformemente, in riferimento all’acquisto di prodotti e servizi nei settori della ristorazione collettiva e fornitura di derrate alimentari, anche a quanto specificamente previsto dall’articolo 130. Tali criteri, in particolare quelli premianti, sono tenuti in considerazione anche ai fini della stesura dei documenti di gara per l’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ai sensi dell’articolo 108, commi 4 e 5. Le stazioni appaltanti valorizzano economicamente le procedure di affidamento di appalti e concessioni conformi ai criteri ambientali minimi. Nel caso di contratti relativi alle categorie di appalto riferite agli interventi di ristrutturazione, inclusi quelli comportanti demolizione e ricostruzione, i criteri ambientali minimi sono tenuti in considerazione, per quanto possibile, in funzione della tipologia di intervento e della localizzazione delle opere da realizzare, sulla base di adeguati criteri definiti dal Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica». La previsione amplia quanto già previsto dall’art. 34 del precedente Codice dei Contratti del 2016 anche alla luce della recente pubblicazione del d.m. del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del Mare del 10 marzo 2020. L’approvazione dei CAM è vista come un ulteriore segno di rafforzamento della logica qualitativa-prestazionale del verde urbano secondo C. De Biase, M. Calabrò, Il governo del territorio nel confronto tra saperi: note su una prospettiva funzionale della pianificazione del verde urbano, cit., p. 207 e F. Gallarati, Dal verde urbano all’ecosistema urbano: linee di tendenza nella disciplina giuridica della biodiversità in ambito urbano, cit., pp. 102-103. Più specificatamente, sui CAM vedesi S. Vernile, Nuovo codice dei contratti pubblici e criteri ambientali minimi per l’economia circolare, in Riv. giur. dell’Amb., 3, 2023, pp. 979 e ss., F. Tigano, Riflessioni sparse in tema di appalti verdi e criteri ambientali minimi, in G. Corso, M. Immordino (a cura di), Studi in Onore di Filippo Salvia, Napoli, Editoriale Scientifica, 2022, pp. 713 e ss. e C. Coduti, Le iniziative a sostegno del verde urbano ed il ruolo delle pubbliche amministrazioni negli acquisti pubblici verdi, in Diritto e giurisprudenza agraria, 6, 2018, pp. 1 e ss. Belluno, Rovigo e Vicenza, invece, hanno regolamenti edilizi predisposti tra il 1994 e il 2000, nei quali la tutela del verde assume una dimensione prettamente quantitativa.
[11] Ad esempio, Varese, Monza, Como, Lecco, Mantova e Cremona racchiudono una dimensione solo quantitativa. A proposito dei regolamenti edilizi lombardi, occorre comunque puntualizzare che Bergamo, Cremona e Lodi sono muniti di un regolamento edilizio più moderno rispetto agli altri centri urbani di questo gruppo, essendo stato varato nei primi anni del Duemila contrariamente alle altre, in cui il regolamento risale addirittura anni Settanta o prima. Si veda in particolare il regolamento edilizio del Comune di Lodi, il cui Titolo III, capo III è dedicato alla tutela degli spazi verdi e racchiude tutte le funzioni correlate al verde urbano.
[12] Il regolamento edilizio del Comune di Milano presenta una fisionomia curiosa a proposito del verde urbano, dal momento che rivela una spiccata propensione alla valorizzazione della funzione quantitativa e conformativa, ma una pressoché assenza di quella di raccordo, programmatica (ricorrente solo all’art. 5, comma 2, in cui si menziona il proposito di favorire “la sistemazione delle aree verdi private”) e prestazionale. Ad esempio, gli interventi in materia di verde sono considerati ex art. 22 “interventi edilizi minori”, così come in forza dell’art. 91 è previsto che nel caso di installazione di apparati tecnici in copertura questi debbano essere celati anche mediante l’ausilio di verde pensile. Ancora, per l’accesso ad incentivi economici, ex art. 139 si prevede uno specifico assetto del verde urbano.
[13] Ad esempio, fra i casi espressivi di un approccio conformativo, cfr. l’art. 6 del Titolo III, Capo I (“Norme procedimentali sull’esecuzione dei lavori”) punto 1.8, comma 2, in base al quale «nel caso di installazione di apparati tecnici in copertura, gli stessi non dovranno essere visibili dalle pubbliche vie oppure essere celati alla vista anche con verde pensile e colorati in armonia con il colore della copertura o con superfici semiriflettenti e colore grigio-azzurro che vadano a confondersi con il colore del cielo”. Manifestazione di una logica programmatica è l’art. 1, comma 1 del Capo III (“Tutela degli spazi verdi e dell’ambiente”) del Titolo III (“Disposizioni per la qualità urbana, prescrizioni costruttive e funzionali”), in base al quale “1. L’Amministrazione Comunale riconosce il verde come elemento ambientale indispensabile e necessario del contesto urbano. Il verde favorisce il miglioramento della qualità urbana, attraverso i benefici che le specie vegetali arboree apportano al microclima, alla qualità dell’aria, al ciclo delle acque, e contribuisce alla salvaguardia della biodiversità”; sintomatica di un raccordo con altre fonti è sempre l’art. 1, comma 4 del Capo III del Titolo III, in forza del quale “fatti salvi le prescrizioni e i vincoli della programmazione urbanistica, per la regolamentazione specifica degli interventi sulle aree verdi si rinvia a specifica regolamentazione d’uso del verde urbano, facente parte integrale e sostanziale del presente regolamento». Da ultimo, sempre l’art. 1, comma 3 del Capo III del Titolo III, dispone in coerenza con una ottica prestazionale che «la tutela si realizza definendo le modalità di intervento sulle aree verdi e le trasformazioni del territorio più consone al mantenimento della vegetazione esistente e all’ulteriore sviluppo complessivo delle aree verdi, attraverso il loro ampliamento o nuove individuazioni, incrementando le presenze arboree, la fitomassa nel contesto urbano e le connessioni tra le aree verdi, allo scopo di realizzare un sistema di reti ecologiche urbane. Al fine di permetterne a tutti il godimento, vanno assicurati percorsi e/o sentieri che ne garantiscano la percorribilità anche a persone con disabilità».
[14] Sull’opzione del regolamento-edilizio tipo, si rinvia a S. Tuccillo, Il regolamento edilizio-tipo tra esigenze di uniformità e di salvaguardia delle identità territoriali, cit., pp. 134 e ss., che analizza proprio questo modello applicativo. La ratio, come sottolineato, è quella di (p. 135) «di provvedere, attraverso l’individuazione di un prototipo unico che funga da schema di riferimento, ad armonizzare e uniformare le discipline settoriali per restituire un paradigma chiaro e omogeneo che i diversi comuni devono seguire nel tracciare la disciplina degli interventi edilizi. Si è inteso introdurre, così, un riferimento unitario per professionisti e operatori costretti normalmente a confrontarsi con una regolamentazione frammentaria e disorganica». Sulla specificità della Regione Piemonte, S. Ballari, Regolamento edilizio unico: rapporti con la disciplina regionale e locale, in Il Piemonte delle Autonomie, 3, 2016, p. 1, ha affermato che «questa ultima via è stata perseguita dalla Regione Piemonte, che, con la legge regionale n. 19 dell’8 luglio 1999, ha introdotto il regolamento edilizio tipo a livello regionale, in un’ottica di semplificazione e chiarezza delle procedure edilizie nei comuni, di uniformità dei regolamenti edilizi comunali, di innalzamento del livello di qualità del prodotto edilizio in rapporto all’ambiente e la fruibilità degli edifici da parte di tutti, nonché di trasparenza nei rapporti fra i cittadini e pubblica amministrazione. Il Consiglio regionale, con deliberazione n. 548 - 9691 del 29 luglio 1999, ha, quindi, approvato il regolamento edilizio tipo, in cui sono stati definiti i parametri ed indici edilizi ed urbanistici che devono essere integralmente e obbligatoriamente inseriti nel regolamento edilizio del comune. In particolare, nel regolamento regionale tipo sono riportate le definizioni, definiti i criteri di identificazione, le modalità di misurazione relative ai parametri ed agli indici edilizi ed urbanistici ritenuti indispensabili per individuare le caratteristiche dimensionali delle costruzioni e le loro relazioni con l’ambito territoriale nel quale sono inserite. In base al regolamento tipo, il comune, ove lo ritenga necessario, può introdurre definizioni relative ad ulteriori parametri ed indici o introdurre norme aggiuntive atte a disciplinare le relazioni tra le entità definite nel regolamento tipo o situazioni pertinenti alla conformazione fisica dei suoli o dei manufatti presenti sul territorio, purché non in contrasto con il regolamento tipo e valutando, in ogni caso, la pertinenza di inserire tali norme nel regolamento comunale o, piuttosto, di collocarle più idoneamente nelle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale».
[15] Ad esempio, prendendo come riferimento il regolamento edilizio del Comune capoluogo di Regione ossia Torino, si nota che la funzione quantitativa è sfumata e appena accennata, quella di raccordo si coglie nel capo III dedicato alla Tutela degli Spazi Verdi e dell’Ambiente, più precisamente nell’art. 91 destinato alle aree verdi, in cui il comma 1 dispone che «1. Presso la Città è vigente il “Regolamento del verde pubblico e privato della città di Torino” n. 317», quello conformativo nel comma successivo del medesimo articolo, secondo cui «2. Ai fini della salvaguardia e formazione del verde, per significativa variazione volumetrica si intendono gli interventi edilizi di ristrutturazione con riplasmazione, sostituzione edilizia, completamento e nuovo impianto, qualora si determinino entrambe le seguenti condizioni: 1) risultino interessare almeno metri cubi 120,00 di volume della costruzione - come definito in Appendice 1 all’articolo G -; 2) la porzione minima inderogabile da destinare a verde in piena terra risulti pari ad almeno metri quadrati 30,00. In assenza di tali condizioni sarà possibile adottare le soluzioni compensative con le medesime modalità definite nell’articolo 21, comma 11, del Regolamento del Verde Pubblico e Privato. Le superfici da destinarsi a verde in piena terra dovranno, comunque, essere realizzate con una larghezza minima di metri 3,00. Nella Zona Urbana Centrale Storica, ove si preveda la realizzazione di parcheggi o di locali costituenti SLP nell’intero sottosuolo dei cortili, in alternativa al reperimento delle aree da destinare a verde in piena terra è sempre possibile adottare le soluzioni compensative consistenti nella realizzazione di facciate verdi o maggiori superfici di verde pensile definite nell’articolo 21, comma 11, del Regolamento del Verde Pubblico e Privato», mentre non si registra un’attenzione specifica ad una logica prestazionale e alla funzione programmatica. Nella Città di Vercelli, invece, il regolamento edilizio si occupa anche di quest’ultimo, prevedendo all’art. 91, comma 1 che «1. La conservazione, la valorizzazione e la diffusione della vegetazione in genere, sia sulla proprietà pubblica sia su quella privata, sono riconosciute quali fattori di qualificazione ambientale». Similmente nel regolamento del Comune di Torino, non si rileva una esplicita funzione qualitativa-prestazionale. Rappresenta, invece, un’eccezione il Comune di Biella, il cui regolamento edilizio è preordinato solo e soltanto ad una tutela della logica quantitativa.
[16] Ad esempio, nell’art. 80 (“Elementi complementari degli immobili”), comma 2, lett. e) per i pergolati si prevede che «potranno essere realizzati con pali metallici tondi (5 cm di diametro) verniciati con tinte scure, posti ad interasse di metri 3,50 a sostegno di elementi orizzontali metallici a T ove potranno essere tesi cavi d’acciaio posti ad interasse di 30 cm sui quali dovranno obbligatoriamente essere piantumate essenze del tipo edera – vite e similari intese a formare modeste coperture verdi ombreggianti».
[17] L’unica parziale eccentricità in Friuli rispetto ai Comuni di Udine, Trieste e Gorizia è costituita dal Comune di Pordenone, il quale ha un regolamento edilizio recente del 2020 in cui, tuttavia, è presente anche una valenza latamente programmatica, in specie all’art. 68, nel quale si identifica il verde quale un possibile esempio di opera artistica, come nel caso del Bosco Verticale di Milano. In Trentino, pur in presenza di regolamenti edilizi entrati in vigore tra il 2019 e il 2021, le due Province Autonome hanno recepito un’impostazione essenzialmente quantitativa, se non più propriamente assente del verde, con la parziale eccezione di Bolzano, il cui regolamento rinvia espressamente al Regolamento per la tutela del verde urbano.
[18] Negli altri regolamenti edilizi dei capoluoghi di provincia si può constatare la presenza delle altre funzioni, anche se non tutte presenti (ad esempio, la funzione qualitativa a Imperia e Savona appare tratteggiata, quasi assorbita da quella programmatica). Nel regolamento edilizio del Comune di Genova, invece, si riscontra nei principi generali B1 il rimando agli standard quantitativi dettati dal D.I. n. 1444/1968 e per quella programmatica l’art. 74 (“Progettazione e salvaguardia degli spazi verdi”), inserito nel Capo III (“Tutela degli spazi verdi e dell’ambiente”), comma 1, in forza del quale «il Comune riconosce l’importanza del verde urbano pubblico e privato e degli spazi aperti in genere, quali elementi fondamentali del paesaggio e come componente strutturale per il miglioramento della qualità urbana e delle condizioni di benessere dei cittadini». La logica di raccordo si rinviene all’art. 75 (“Parchi urbani e giardini di interesse storico e documentale”), comma 2, in base al quale «2) La disciplina in materia di parchi urbani e giardini di interesse storico e documentale è contenuta nel “Regolamento comunale del verde” approvato con deliberazione Consiglio Comunale n. 85 del 19/10/2010 e successive modificazioni oltreché nel “Regolamento d’uso dei parchi storici comunali” adottato con deliberazione del Consiglio comunale n. 36 del 19/07/2016»; a metà, infine, fra quella prestazionale propriamente detta e quella conformativa si colloca la peculiare previsione di cui all’art. 56 sui “Requisiti volontari incentivanti”, la quale detta alcuni requisiti non obbligatori ma incentivanti ai fini della tutela del verde nell’ambito della disciplina del contributo di costruzione.
[19] Il regolamento edilizio del verde del Comune di Bologna è stato approvato nel novembre del 2020. La funzione di raccordo si può, ad esempio, cogliere all’art. 46 (“Aree verdi e alberature”), comma 1.1, collocato nel Capo III (“Tutela degli spazi verdi e dell’ambiente”) del Titolo III (“Disposizioni per la qualità urbana, prescrizioni costruttive e funzionali”) in base al quale «con il Piano urbanistico generale, con il presente Regolamento e con l’allegato Regolamento del verde pubblico e privato, il Comune intende tutelare il verde urbano, sia pubblico sia privato”. L’impostazione prestazionale è presente nel sottocomma successivo del medesimo art. 46, secondo cui “la tutela del verde pubblico e privato si realizza definendo le modalità di intervento sulle aree verdi nonché le trasformazioni del territorio più consone al mantenimento e allo sviluppo complessivo della vegetazione esistente incrementando le presenze arboree e la fitomassa nel contesto urbano e le connessioni tra le aree verdi, finalizzando gli interventi ad una più agevole accessibilità allo scopo di realizzare un sistema complesso e continuo di reti ecologiche urbane», mentre per quella conformativa ad esempio l’art. 46 punto 2 detta un’analitica disciplina per le aree verdi, con una minuziosa ricostruzione degli interventi eseguibili e delle modalità con cui svolgerli. Non si riscontra, invece, una esplicita funzione quantitativa né programmatica; a riguardo della prima, si può supporre che essa sia stata in qualche modo superata dalle funzioni più recenti, a proposito della seconda si può immaginare che la sua mancanza sia essenzialmente frutto di una scelta di formulazione del regolamento (molto concreta e puntuale) che non una indifferenza nei confronti del tema.
[20] Ad esempio, l’art. 2.1.6 comma 4 in tema di piste ciclabili stabilisce che «Le piste ciclabili di nuova realizzazione devono preferibilmente essere accompagnate da apposite sistemazioni a verde: siepi, siepi alberate, aiuole di piante tappezzanti, filari alberati. Tali percorsi vanno comunque di norma separati e protetti dalle sedi veicolari, fatti salvi impedimenti strutturali oggettivi e/o ubicazione particolare, es. centri storici. La progettazione delle piste ciclabili deve rispettare le linee guida approvate con Decreto Ministeriale n. 557 del 30/11/1999 ed essere valutata in relazione alle diverse tipologie di utenti: cicloamatori (non agonisti), cicloturisti, ciclopendolari, d’accesso locale».
[21] Il meccanismo impiegato è peculiare, nella misura in cui è lo stesso regolamento edilizio all’art. 59 (“verde pubblico”), collocato nel Capo III (“Tutela degli spazi verdi e dell’ambiente”) a rinviare al regolamento urbanistico. Fra le disposizioni riconducibili alla funzione prestazionale, si può citare l’art. 72 (“Miglioramento del comfort urbano e mantenimento/ sviluppo delle connessioni verdi”), secondo cui «1. Comfort urbano. Ogni intervento deve contribuire alla riduzione del fenomeno isola di calore, al miglioramento del comfort termico, allo sviluppo/ mantenimento delle connessioni verdi ed al miglioramento della permeabilità dei suoli e del drenaggio urbano. A tal fine, ogni intervento, fatto salvo comprovata impossibilità tecnica e compatibilmente con i vincoli esistenti, deve: - prevedere specifiche formazioni arboree di opportune dimensioni e forma al fine di massimizzare le superfici ombreggiate e limitare il fenomeno isola di calore; - privilegiare nella scelta delle specie vegetali piante autoctone e tipiche dei luoghi preferibilmente a bassa esigenza idrica; - mantenere nella misura massima possibile la vegetazione esistente, perché permanga la funzione di ombreggiatura e di mitigazione delle ondate di calore; - prevedere lungo il perimetro del lotto che confina con viabilità ad elevato flusso veicolare fasce verdi di spessore opportuno con lo scopo di mitigare rumore, vento, irraggiamento e qualità dell’aria; mantenere le componenti verdi e le superfici permeabili esistenti anche aumentandone la superficie o mediante interventi di riassetto, al fine di garantire un indice di permeabilità fondiaria pari ad almeno il 25%; - adottare soluzioni progettuali per ridurre le percentuali di suolo impermeabile realizzando parcheggi e/o pertinenze drenanti allo scopo di valorizzare l’effetto regolatore del suolo; - privilegiare soluzioni di continuità tra verde pubblico e verde privato sia in termini spaziali che di consistenza e tipologia, riducendo al minimo la frammentazione delle aree; - adottare pavimentazioni ad alto indice di albedo». Per la logica prestazionale, si rinvia all’art. 29, comma 4, in base al quale «Il Regolamento Urbanistico promuove la creazione di un diffuso, qualificato, attentamente progettato sistema di aree verdi all’interno del territorio urbano, che costituisca un efficace connettivo rispetto alla struttura complessiva della rete ecologica e al generale miglioramento del comfort urbano».
[22] Si potrebbe sostenere come il criterio impiegato per definire il verde nel regolamento urbanistico della Regione Toscana sia essenzialmente naturalistico, laddove si associa al verde urbano la «presenza importante di vegetazione» o la «decisa prevalenza di suoli permeabili».
[23] Art. 97-ter: «1. Il verde ornamentale è inteso come un insieme armonico di elementi vegetali, paesaggio, arredo e strutture ludiche con le seguenti caratteristiche: a) Natura del Verde ornamentale Il verde ornamentale nella sua accezione più ampia di urbano ed extraurbano, è porzione fondamentale del tessuto antropizzato e parte dell’ambiente in senso lato; il verde viene considerato come un sistema organico di aree e siti composti fondamentalmente da elementi vegetali armonizzati con manufatti e arredi ed in stretta relazione, non solo fisica, tra loro a rafforzare il concetto di sistema; b) Funzioni del verde ornamentale Il verde ornamentale, quale parte integrante dell’ambiente, riveste un ruolo fondamentale per la qualità della vita, concorrendo a migliorarla sia da un punto di vista fisico, morale e sociale; esso concorre inoltre a: - regolare il microclima e mitigare dalle alte temperature nei periodi estivi; - filtrare e purificare l’aria dalle polveri e dagli inquinanti; - mitigare l’inquinamento acustico; - creare un ambiente riposante dal punto di vista psicologico; - migliorare la funzione ricreativa e sociale. 2. Si considerano componenti del verde ornamentale: - L’elemento vegetale un essere vivente autotrofo che produce energia mediante la fotosintesi clorofilliana; - Le strutture di arredo tutte le attrezzature di materiale vario che rendono possibili e/o facilitano, da parte dell’utenza, le funzioni del passeggio, seduta, riparo dal sole ed intemperie e ristoro; - Attrezzature ludiche tutte le strutture adibite al gioco». Per l’accezione quantitativa, si riporta il particolare art. 97-quinquies, comma 1 che precisa gli standard dettati dal D.I. n. 1444/1968.
[24] Nel caso di Terni, il verde urbano è menzionato espressamente solo in un’occasione, all’art. 48, comma 7, in relazione alla sistemazione e al consolidamento dei terreni in pendio; vero che l’ambiente nel suo complesso riceve attenzione maggiore, ma, come già esposto, quest’ultimo concetto è più ampio e onnicomprensivo rispetto a quello di verde urbano. Nel caso del Comune di Perugia, vi è un costante rimando agli standard urbanistici, e quindi ad una dimensione quantitativa, con talune disposizioni rilevanti in materia di conformazione dell’attività edilizia, come per l’art. 18 concernente la documentazione da allegare al permesso di costruire.
[25] In specie, l’art. 89.
[26] In particolare, l’art. 5 (“Ambiente Urbano”), comma 2 dispone in un’ottica programmatica che «In attuazione della disciplina di legge, il Comune favorisce la realizzazione di interventi di recupero del patrimonio edilizio, anche con adeguate misure fiscali e tributarie. In particolare, vengono promossi il rifacimento di facciate, la sistemazione delle aree verdi private, l’inserimento di elementi di arredo urbano, ivi compresi elementi di illuminazione pubblica, l’adeguata integrazione di parcheggi pubblici e privati». Per la funzione conformativa, vedesi ad esempio l’art. 31, comma 2 in base al quale «Non rientrano nella definizione le attività indotte dal normale avvicendamento delle colture agricole e le sistemazioni del terreno a quest’ultimo strettamente connesse, nonché quei modesti lavori connessi alla sistemazione di spazi verdi».
[27] Prendendo come riferimento il regolamento urbanistico edilizio Comunale di Salerno, vigente dal 24 aprile 2024, si nota ad esempio la presenza di una funzione quantitativa all’art. 30 (“Standard urbanistici”), (…)«Standard residenziali locali. La dotazione minima, proporzionata al numero degli abitanti, di aree ed attrezzature pubbliche per verde, parcheggi, scuole, strutture sanitarie, ecc. è di mq 20/ab.”, di raccordo all’art. 125 (“Attrezzature per il verde e per gli spazi pubblici»), comma 1, in base al quale «Il Comune di Salerno gestisce e tutela il Verde Pubblico, prevenendo, per quanto possibile, ogni forma di degrado o danneggiamento del patrimonio verde. A tal fine è stato redatto dal Settore competente il”Regolamento per la tutela di aree verdi ed alberate” cui il presente Regolamento rimanda», programmatica all’art. 135 (“Spazi liberi di proprietà privata”), comma 2, secondo cui «Quando gli spazi inedificati abbandonati, ovvero edifici, strutture, o loro parti dismesse determinino o possano determinare gravi situazioni di degrado igienico-sanitario, i proprietari devono provvedere, a propria cura e spese, alla loro adeguata recinzione, nonché a periodici interventi di pulizia, di eventuale cura del verde e disinfestazione. Tanto sia nel caso di una loro sistemazione, sia in caso di demolizione» e conformativa all’art. 150 («Le nuove costruzioni»), comma 4 «Quando la nuova costruzione risulti arretrata rispetto ai preesistenti allineamenti, la sistemazione delle aree prospettanti sui suoli pubblici deve tendere a valorizzare la fruibilità degli adiacenti spazi urbani, utilizzando materiali e finiture in armonia con quelli preesistenti. Eventuali spazi liberi determinatisi a seguito di arretramento devono essere oggetto di attenta progettazione, che preveda la loro sistemazione a verde o pavimentata, funzionalmente coordinata con l’adiacente pavimentazione pubblica».
[28] Il regolamento edilizio del Comune di Campobasso è leggermente più articolato, atteso che è presente, comunque, una disposizione a valenza latamente programmatica all’art. 96 (“zone verdi e parchi”), in cui si legge che «le zone verdi. I parchi, i complessi alberati di valore ornamentale, devono essere conservati, curati, e mantenuti con l’obbligo della pulizia del terreno, potatura delle piante, sostituzione delle medesime in caso di deperimento».
[29] A Cosenza e a Vibo Valentia il regolamento edilizio, rispettivamente risalente al 1995 e al 2017, adopera il verde solo in un’accezione quantitativa. Il regolamento edilizio del Comune di Catanzaro, peraltro, contiene anche una definizione di aree verdi, identificate in una prospettiva naturalistica all’art. 54 (“Aree verdi”) quali “spazio complesso”, che «possono avere diversa estensione e sistemazione, essere individuate come parchi o giardini, ma sono comunque connotate dalla presenza importante di vegetazione e dalla prevalenza di suoli permeabili. Possono avere un carattere naturalistico, ornamentale ed ospitare attrezzature per lo svolgimento di attività ludiche e sportive leggere”. Per la dimensione prestazionale, vedesi l’art. 54, comma 5, nel quale è affermato che “5. Gli interventi riguardanti le aree verdi, sia pubbliche che private, devono uniformarsi in modo specifico e coordinato con tutte le altre norme vigenti di settore, finalizzate alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio vegetatale, in quanto componente fondamentale del paesaggio urbano con valenza positiva per l’ambiente e per le funzioni sociali, culturali, ricreative, didattiche ed estetiche». Per la funzione conformativa, si può vedere il comma 4 della medesima disposizione, nel quale si legge che «4. Il progetto di nuovi edifici o di ampliamento e ristrutturazione di quelli esistenti dovrà prestare particolare attenzione all’inserimento ambientale e paesaggistico. Le nuove costruzioni devono essere ubicate in modo da salvaguardare gli esemplari di piante più cospicui e caratteristici».
[30] I Comuni di Brindisi, Taranto e Foggia presentano un regolamento edilizio in cui il verde è declinato lungo una prospettiva quantitativa.
[31] A proposito della riduzione dell’effetto delle isole di calore, riportabile lato sensu all’accezione prestazionale del verde, vedesi l’art. 29.2.14 del regolamento edilizio di Bari, in cui è affermato che «Nella progettazione delle aree, circostanti gli edifici, il progettista deve utilizzare strategie che consentano la riduzione dell’effetto “isola di calore”, attuando un adeguato studio dell’albedo, ovvero un’opportuna scelta di colori, materiali e utilizzo del verde. Al fine dell’ottimizzazione del microclima è opportuno verificare la capacità di riflettere la radiazione solare delle superfici orizzontali dell’edificio e delle pavimentazioni esterne, privilegiando le superfici a scarsa attitudine al surriscaldamento e basso irraggiamento, nonché prevedere una idonea collocazione di specie vegetali». A proposito della logica conformativa, è possibile citare l’art. 29.2.16.1 sui tetti verdi «In tutti gli interventi di nuova costruzione e di demolizione e ricostruzione, dev’essere prevista la realizzazione di “Tetti Verdi” sul lastrico solare per una superficie minima del 50%, al fine di contribuire all’incremento della resilienza urbana ai cambiamenti climatici, di contribuire alla riduzione dell’“isola di calore” a livello urbano e di migliorare le proprietà termofisiche dell’isolamento delle coperture» (…).
[32] Nei Comuni Capoluogo di Trapani, Palermo e Caltanissetta il verde urbano è citato nei regolamenti edilizi esclusivamente a scopo conformativo e/o quantitativo; i Comuni, invece, di Enna, Messina e Agrigento condividono tutti il medesimo regolamento edilizio, che è quello tipo adottato a livello regionale. In Sicilia, quindi, emerge il dato caratteristico per cui, pur in presenza di un regolamento edilizio tipo, vi sono diversi Comuni capoluogo che non lo hanno adottato, preservando il proprio (e, indirettamente, mantenendo una disomogeneità nei contenuti dei regolamenti). Sulla valenza prestazionale, si sottolinea come essa in una qualche misura sia sovrapposta a quella programmatica in una serie di disposizioni che rimarcano il ruolo del verde urbano sotto il profilo qualitativo e, al tempo stesso, delineano obiettivi programmatici. Ad esempio, l’art. 58 (“Aree verdi”) del regolamento-tipo dispone che «1. L’Amministrazione Comunale favorisce le iniziative e gli interventi edilizi che nella progettazione, nella costruzione e nell’uso siano rivolti a migliorare il paesaggio e diminuire gli impatti sull’ambiente urbano, in termini di utilizzo e vivibilità. Sono perciò incentivati gli interventi innovativi in termini paesaggistici, architettonici, ambientali e culturali, che dimostrino particolare attenzione alla qualità della forma costruita intesa come insieme di manufatti e spazi aperti, gestione delle risorse e riduzione delle superfici impermeabili». Fra gli interventi conformativi più particolari, si può citare l’art. 89, comma 7 (“Corti e Cortili”), in base al quale «Nei cortili esistenti è favorito l’inserimento del verde anche tramite l’abbattimento di muri di confine di cortili adiacenti; in ogni caso, la progettazione e la realizzazione di tutti gli spazi, anche attrezzati, deve essere unitaria e in linea con norme che regolano la progettazione delle aree a verde».
[33] Catania e Ragusa; peraltro, in tali eventualità il dato temporale non acquisisce di per sé importanza: se per Ragusa il regolamento edilizio è del 1995, per Catania quest’ultimo è stato varato nel 2014.
[34] Nei Comuni Capoluogo di Carbonia, Oristano e Nuoro spicca solo la dimensione conformativa, a Cagliari e Sassari è presente anche un’accezione di raccordo e conformativa. Ad esempio, l’art. 84 (“Spazi di verde attrezzato”) del regolamento edilizio del Comune di Cagliari, oltre a contenere una definizione propria di verde, prescrive incidendo sull’attività edilizia in una logica conformativa che «Gli spazi di verde attrezzato sono costituiti da nuclei elementari di verde; le aree per il gioco dei bambini da 3 a 6 anni; le aree per il gioco dei bambini di età superiore a 6 anni, ragazzi ed adulti. I nuclei elementari di verde, con superficie complessiva tale da determinare una dotazione minima di 3 mq ad abitante, devono essere disposti in adiacenza alle abitazioni (raggio di influenza 100, numero minimo di abitanti serviti 100 e massimo 300) e comunque sempre in modo tale da poter essere visti dalla maggior parte degli alloggi di cui sono al servizio. Le aree per il gioco dei bambini di età compresa fra i 3 e i 6 anni, con superficie complessiva tale da determinare una dotazione di 0.40 mq ad abitante, possono essere disposte in prossimità delle abitazioni, con raggio di influenza di 300 metri ed un numero minimo di abitanti serviti pari a 1100 e massimo pari a 7500. Le aree per il gioco dei bambini di età superiore, dei ragazzi e degli adulti, devono essere disposti a conveniente distanza dalle residenze. Per il controllo di idoneità dei materiali impiegati nella costruzione si applica il regolamento di cui al d.P.R. 246/93».
[35] Il grafico prende in esame solo e soltanto gli atti denominati nei termini di un regolamento, dal momento che la casistica di altri atti è eterogenea e comprende meccanismi diversi per procedimento di formazione e contenuti.
[36] Sulla differenza tra le due tipologie di regolamenti, B. Graziosi, I nuovi Regolamenti Comunali per il verde urbano e la pubblicizzazione del “verde privato”, in Riv. Giur. dell’edilizia, 6, 2012, pp. 195 e ss. afferma che «Regolamento del verde e regolamento edilizio sono, insomma, per materia contigui, per natura omologhi. Ma cionondimeno si può affermare che i regolamenti del verde urbano, riconducibili ai poteri di polizia locale mantengono rispetto ai regolamenti edilizi un loro proprium specifico, e ciò avviene in primo luogo proprio ratione materiae. L’assimilazione delle operazioni di − lato sensu − manomissione del patrimonio arboreo o del verde in genere con la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio è giuridicamente improponibile, oggi come ieri per due concomitanti ragioni. La prima è che la definizione legale delle fattispecie degli interventi edilizi e il loro regime, tipizzato a livello legislativo statale dall’art. 3 del T.U. n. 380/01, eccede la stessa potestà regolamentare degli enti locali di cui all’art. 4. La seconda è che la riconfigurazione della potestà regolamentare degli enti locali venuta dalla riforma del titolo V e cioè dalle leggi costituzionali 18 ottobre 2001 n. 3 e 5 giugno 2003 n. 121, ne ha sì rafforzato il fondamento teorico generale, ma senza ampliarne, quanto al regolamento edilizio, l’oggetto che resta definito e puntuale, così che si è potuto sostenere che, oggi, il regolamento edilizio è venuto assumendo i caratteri di un regolamento di esecuzione». In sostanza, da un lato il Testo Unico dell’Edilizia comprime il margine di autonomia riconosciuto agli enti locali nell’ambito dell’edilizia, dall’altro la natura del regolamento sarebbe diversa; se il secondo aspetto può essere ancora persistente, non è da escludersi in riferimento al primo che la progressiva legiferazione in materia da parte del Legislatore nazionale restringa l’ambito di autonomia dei Comuni anche a proposito del verde urbano.
[37] Art. 117, comma 6 della Costituzione: «i Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”; art. 118, comma 1: “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza»; art. 118, comma 6: «i Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze«. Per il riferimento dottrinale, vedesi B. Graziosi, I nuovi Regolamenti Comunali per il verde urbano e la pubblicizzazione del “verde privato”, cit., in specie pp. 193 e ss. L’Autore si sofferma analiticamente questa attribuzione “propria”, sottolineando come essa possa essere individuata, in forza della giurisprudenza costituzionale, dalla “tradizione e dalla consuetudine”; inoltre, essi sarebbero sovrapponibili per molti aspetti ai regolamenti di polizia locale. In più, si sottolinea che il d.l. 31 maggio 2010, n. 78, così come convertito con modificazioni nella l. 30 luglio 2010, n. 122, ha elencato all’art. 14, comma 27 le funzioni fondamentali dei Comuni, pur se con una formulazione piuttosto ampia e generica. Ai nostri fini, la potestà regolatoria sul verde può essere ricondotta alla lettera b), ossia «organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito comunale, ivi compresi i servizi di trasporto pubblico comunale», d), ovvero «a pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonché la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale» o i), all’interno della «polizia municipale e polizia amministrativa locale».
[38] B. Graziosi, I nuovi Regolamenti Comunali per il verde urbano e la pubblicizzazione del “verde privato”, cit., pp. 195 e ss.
[39] Il passaggio è sviluppato in particolar modo da V. Giomi, Il verde urbano come paradigma giuridico valoriale. Riflessioni sull’evoluzione di una funzione, cit., pp. 794-795, secondo cui «L’idea che il verde urbanistico possa identificarsi nel peso imposto alla forza espansiva della proprietà, costretta da un limite esterno che trae origine dalla discrezionalità del pianificatore, cede progressivamente il passo all’impostazione del verde urbanistico come un fattore di accelerazione nella costruzione di sistemi urbani sostenibili e rispettosi degli ecosistemi in cui convivono multibenessere umano e biodiversità. Si passa, quindi, dall’idea di verde come limite imposto allo sviluppo del contesto urbano facendo leva sulla mera esistenza dell’oggetto, all’idea di verde come valore acquisito dall’area urbana per mezzo della naturale essenza dell’oggetto». L’evoluzione concettuale è tangibile, nella misura in cui la stessa Autrice solo qualche anno fa affermava che «senza dubbio l’analisi del complesso rapporto evidenziato ha dimostrato di non essere sufficiente a completare l’indagine sulla natura e sulla reale essenza del verde urbano, poiché, per quanto la dottrina e la giurisprudenza abbiano approfondito la questione del verde urbano come scelta pianificatoria contrapposta alla (presunta) naturale vocazione edificatoria del diritto di proprietà38, non sono giunti fino ad inquadrare il verde urbano come un istituto dotato di propria autonomia giuridica. Se, infatti, è innegabile che “il tema del verde urbano incroci per la sua stessa natura quello delle scelte di governo del territorio”, è auspicabile altresì che esso non si risolva in una mera articolazione del legittimo esercizio del potere pianificatorio, quanto piuttosto venga ad essere percepito, anche sul piano giuridico (e conformemente a quanto già accade sul piano sociale) in rapporto alla concreta utilità con la collettività di riferimento, non più soltanto in termini di strumentalità eventuale, quanto, piuttosto, in termini di strumentalità necessaria. Nello specifico, quindi, il verde urbano, nelle sue varie accezioni, non dovrebbe limitarsi a costituire un elemento funzionale alla collettività solamente nel momento e per il modo in cui è previsto in concreto dagli strumenti urbanistici, vale a dire quando (o, meglio, nel momento in cui) e per come le scelte di quell’amministrazione locale lo regolamentano, muovendosi fra le larghe maglie degli standard minimi imposti in via legislativa; dovrebbe, al contrario, rappresentare un elemento necessario della collettività urbana, un bisogno prioritario ed irrinunciabile di essa, che preesiste al concreto utilizzo del potere discrezionale dell’amministrazione che pianifica, ma che, tuttavia, con detto potere prende forma, indipendentemente dalla tecnica prescelta ed utilizzata dal soggetto pianificatore». Si veda V. Giomi, Il verde pubblico come risorsa comune da necessario strumento di soddisfacimento di bisogni collettivi a forma di tutela di beni vincolati, cit., pp. 18 e ss.
[40] La prima impostazione che connota il verde in una dimensione collegata al diritto di proprietà, probabilmente, risente di una visione di fondo privatistica che, tuttavia, mal si concilia con l’ambiente e rifletteva la tesi in forza della quale il verde urbano era pur sempre un limite esterno all’edificazione; il verde urbano, come hanno testimoniato gli studi e gli interventi degli ultimi anni, costituisce invece un bene tutelabile in sé, per quanto immateriale.
[41] B. Graziosi, I nuovi Regolamenti Comunali per il verde urbano e la pubblicizzazione del “verde privato”, cit., pp. 191 e ss.
[42] Tale classificazione trova integrazione in relazione alle funzioni del verde nei regolamenti del verde urbano, ma laddove quest’ultimo è oggetto di disciplina in altri atti detta tutela assume una fisionomia parzialmente diversa. Ad esempio, nell’eventualità cui il verde urbano ricevi attenzione in un apposito allegato nel regolamento edilizio sarà valorizzata soprattutto la sesta funzione, ossia il limite esterno all’attività edilizia; in questa ipotesi, l’allegato al regolamento edilizio rappresenta un atto fungibile rispetto al regolamento del verde, nel senso che quest’ultimo non necessariamente deve essere approvato. Ancora, nel caso dei Piani del Verde, vi sarà una riemersione delle finalità programmatiche tipiche dei regolamenti edilizi, dal momento che il Piano del Verde, di norma, si pone in un rapporto di complementarità rispetto ai Regolamenti del verde, non di assoluta sostituibilità, connotandosi per essere più simili ad atti pianificatori generali che di dettaglio.
[43] Si tratta del Regolamento per la tutela della flora e della fauna di importanza comunitaria e di interesse regionale, in esecuzione dell’articolo 96 della legge regionale 23 aprile 2007, n. 9 (“Norme in materia di risorse forestali”), modificato da ultimo dal DPReg. 4 luglio 2022, n. 80 e delle Norme Tecniche (allegato C) approvate con decreto di Decreto del Presidente della Regione 22 marzo 2024, n. 037.
[44] In particolare, troviamo un Titolo V rubricato “Coinvolgimento del cittadino, sensibilizzazione e promozione della cultura del verde pubblico affidamento e sponsorizzazione” in cui si regola la compartecipazione con la cittadinanza alla cura del verde urbano, un Titolo IX espressamente dedicato all’attività di vigilanza sanzionatoria, alcune disposizioni che attuano i contenuti della l. n. 10/2013 come l’art. 45 avente per oggetto il censimento delle alberature, i Titoli II e III destinati al verde pubblico e, infine, un Titolo VIII al verde privato; in relazione a quest’ultimo, i precetti si concentrano sulle modalità di abbattimento, di sostituzione, sulle potature, e sulle distanze tra i confini.
[45] Il Comune di Udine ha un proprio regolamento in cui, però, oggetto della disciplina è solo il verde pubblico.
[46] A Belluno il regolamento del verde è in corso di adozione, mentre a Padova e a Vicenza la tutela del verde urbano è racchiusa all’interno di un allegato del regolamento edilizio. I regolamenti posti a tutela del verde a Treviso Rovigo e Verona, invece, sono accomunati dal fatto che sono stati tutti implementati successivamente alla l. n. 10/2013, a riprova che l’elemento temporale tendenzialmente influisce sulle modalità di tutela del verde, anche se non può essere elevato a criterio assoluto e automatico (Venezia, ad esempio, ne ha uno antecedente al 2013).
[47] Volendo porre un raffronto con le definizioni di verde esaminate precedentemente, il profilo naturalistico è più sfumato in favore di una nozione maggiormente onnicomprensiva, al punto tale da risultare quasi generica e dai contorni indeterminati. Per le varie funzioni, il Titolo III della Parte I è indirizzato alla compartecipazione alla cura del verde urbano, il Titolo I della Parte VI all’attività di vigilanza e sanzionatoria, fornisce attuazione ai contenuti introdotti dalla l. n. 10/2013 e stabilisce regole nei confronti delle aree verdi pubbliche e private.
[48] In specie, la compartecipazione con i cittadini si estrinseca nel Titolo VI, l’attività di vigilanza nel Titolo VIII (in questo caso è scissa da quella sanzionatoria), quella sanzionatoria nel Titolo VII, vi sono alcune disposizioni che attuano la l. n. 10/2013, e il Titolo VI contiene la regolamentazione delle aree verdi pubbliche e private. A Trento, invece, è curiosamente presente un regolamento di polizia urbana, il cui oggetto è tuttavia più ampio rispetto a quelli del verde, conferendogli rilevanza solo nel Capo IV.
[49] A Lecco il regolamento è assente, mentre a Brescia, Bergamo e Como la tutela del verde è costituita da un allegato al regolamento edilizio. A Cremona, dove è presente il regolamento del verde più recente, la compartecipazione tra pubblico e privato si trova nel Titolo II, l’attività di vigilanza e sanzionatoria nel Titolo V, la gestione delle aree verdi pubbliche nel Titolo III e quella delle aree private mediante singole disposizioni tra il Titolo II e il Titolo III (analogamente, si trova in singole disposizioni l’attuazione della l. n. 10/2013). Il regolamento, inoltre, si connota per l’impiego di una terminologia particolarmente avanzata, come si desume dall’utilizzo di espressioni come “isola di calore” o “cinture verdi”.
[50] In Valle D’Aosta ad Aosta il regolamento del verde esamina solo ed unicamente il verde pubblico, non anche quello privato. Per il Piemonte, la Carta di Biella si caratterizza per essere un atto che combina previsioni generali con precetti a connotato puntuale, ad esempio basati sulla classificazione delle singole aree del Comune. Per quanto concerne gli altri Comuni, quello di Alessandria ha il regolamento del verde più recente, risalendo al 2017, mentre gli altri ne hanno uno anteriore; quest’ultimo contiene la compartecipazione tra Comune e cittadini nella gestione delle aree verdi al Titolo VI, l’attività di vigilanza e sanzionatoria al Titolo VII, l’attuazione dei contenuti della l. n. 10/2013 in alcune singole disposizioni e la disciplina delle aree a verde pubblico nel Titolo II, quella per il verde privato nel Titolo IV.
[51] Quelli di Savona e La Spezia sono maggiormente completi, anche poiché successivi alla l. n. 10/2013; quelli di Genova e Imperia sono stati approvati antecedentemente, pur essendo comprensivi di tutte le altre cinque funzioni del verde sopra richiamate.
[52] Ad esempio, a Modena e a Bologna; tra l’altro, in ambedue i casi gli strumenti urbanistici sono piuttosto recenti, essendo stati approvati nel 2023 e nel 2021. In talune realtà, inoltre, come a Piacenza esso ricomprende unicamente il verde pubblico.
[53] In realtà la definizione diverge dalle altre nella misura in cui non inquadra esattamente il sistema del verde, ma si limita a sottolineare come esso sia composto dal verde privato, territoriale e pubblico; in sostanza, la definizione è quasi data per presupposta, con una modalità simile per certi aspetti alla logica quantitativa tipica del D.I. n. 1444/1968 e per sommatoria dei singoli elementi. Peraltro, l’art. 1, comma 5 fornisce anche un raccordo tra regolamento del verde e altre fonti, disponendo che “Il presente Regolamento costituisce uno degli strumenti di carattere normativo da collegarsi alla disciplina vigente ed agli altri documenti integrativi di tipo progettuale e gestionale del Regolamento Urbanistico ed Edilizio (RUE). Il Regolamento del Verde Pubblico e Privato, deve poi intendersi sinergico ad altri strumenti comunali, sempre di carattere regolamentare, quali il Regolamento edilizio comunale, il Piano del Verde, il Regolamento delle Aree di Sgambatura Cani”. Per le altre funzioni, il regolamento prevede all’art. 30 le procedure di compartecipazione con la cittadinanza per l’affidamento del verde pubblico, il Capo II dedicato al verde pubblico e privato, l’art. 4 funzionale all’attività di vigilanza, l’art. 34 dedicato all’attività sanzionatoria e in varie disposizioni l’attuazione dei contenuti della l. n. 10/2013.
[54] A Siena è in corso l’iter per l’adozione di un regolamento, a Firenze è presente un regolamento sul patrimonio arboreo, a Lucca un disciplinare per la tutela, la cura e la valorizzazione del verde urbano e a Prato un allegato al regolamento edilizio.
[55] Le aree verdi “includono spazi verdi a prevalente valenza ricreativa e funzionale destinati a migliorare la vivibilità nei contesti urbani o utilizzati per creare spazi di socializzazione o di servizi”. Vi sono, poi, altre tipologie di verde, che rientrano nel verde “funzionale”, “destinato alla qualità delle pertinenze dei relativi servizi” e ambientale. La definizione di aree verdi nel regolamento del Comune di Pistoia rispetto ad altre fattispecie si contraddistingue per una valorizzazione dell’elemento finalistico rispetto a quello naturalistico, dato che è conferita rilevanza allo scopo del verde e non ai suoi elementi. Per le funzioni, il titolo 7 è dedicato alla compartecipazione con i cittadini, diverse disposizioni al verde pubblico, il titolo 6 agli interventi sul verde privato, il titolo 8 alla vigilanza e alle sanzioni mentre numerosi richiami vi sono all’attuazione della l. n. 10/2013, specialmente nel titolo 2.
[56] Il verde è definito “per sommatoria” di singoli elementi, ossia ex comma 2 dell’art. 2 dall’«insieme dei parchi e dei giardini pubblici e privati, dei boschi urbani e periurbani, dei parcheggi alberati e delle aiuole stradali sistemate a verde, delle alberature stradali; sono parte del verde urbano anche altre aree verdi ricadenti nel territorio urbanizzato costituenti elementi areali, lineari o puntiformi di connessione con il territorio extraurbano quali gli orti urbani, gli incolti urbani, le scarpate, i filari, le siepi, ecc.». Rispetto ad altri casi, come Forlì, i singoli elementi costitutivi del verde urbano però sono definiti, tra l’altro secondo una logica naturalistica, nell’allegato A; ad esempio, il parco pubblico è qualificato sulla base di caratteristiche topografiche minime, una “funzione prevalente” ed altre caratteristiche di contorno. Tra tutti i capoluoghi, si registra come solo Ascoli abbia un regolamento di tutela del verde distinto rispetto a quello tipo elaborato a livello regionale.
[57] Il regolamento probabilmente riprende il concetto di polizia urbana già introdotto nella trattazione, da cui sono derivati in progresso di tempo quelli edilizi e del verde; più precisamente, all’interno del regolamento di polizia urbana di Teramo il verde riceve tutela agli artt. 20 e seguenti in una sezione chiamata “piante”.
[58] La definizione declina il verde secondo un’impostazione “per sommatoria”, ma ogni componente, come già verificatosi con il regolamento-tipo della Regione Marche, presenta una propria classificazione sulla base dell’allegato 3; inoltre, il Regolamento di Roma Capitale presenta un’esplicita adesione ad una logica qualitativa, come si evince dall’art. 1, comma 6, in forza del quale “Il presente Regolamento indica, altresì, le linee guida nella formazione di nuove aree verdi e nell’arricchimento del patrimonio floristico, sia in senso qualitativo che quantitativo”. Il Titolo III del Capitolo I si fonda sulla compartecipazione tra autorità pubblica e cittadini alla cura del verde, i controlli e la vigilanza nel Capitolo V e la tutela del verde pubblico e privato nel Capitolo II (l’attuazione dei contenuti della l. n. 10/2013 è racchiusa in diverse disposizioni). Peraltro, l’unico altro Capoluogo in cui è presente un regolamento posto a tutela del verde è Frosinone, dal momento che a Viterbo vi è un’ordinanza, a Latina manca qualsiasi atto e a Rieti vi è solo un regolamento per l’affidamento delle aree verdi pubbliche.
[59] Per esaurire il novero delle Regioni, si sottolinea come in Molise il regolamento del verde è presente unicamente a Campobasso, mentre è assente a Isernia.
[60] L’art. 16 del regolamento definisce il verde d’arredo urbano nei termini di “Aree Verdi di piccola dimensione di pertinenza d’edifici comunali il cui utilizzo è limitato all’utenza di tali edifici, e quelle a manutenzione intensiva, provviste d’aiuole fiorite e siepi, le cui finalità sono soprattutto di carattere estetico ornamentale, quali ad esempio aiuole, verde spartitraffico, fioriere. Sono altresì definite verde d’arredo urbano le Aree Verdi attrezzate e non, che per caratteristiche, posizione e dimensioni risultano d’uso locale e vicinale”. Per il resto, il Titolo V del regolamento è dedicato alle sanzioni amministrative, il Titolo VI alla funzione di vigilanza e di controllo, il Titolo III alla cura del verde (pubblico e privato) e diverse disposizioni all’attuazione della l. n. 10/2013 (la compartecipazione con i cittadini, si segnala, è presente in forma embrionale, non essendo adeguatamente sviluppata). Peraltro, il regolamento del Comune di Benevento non è l’ultimo tra i regolamenti del verde ad essere stato approvato fra i vari Capoluoghi, a conferma del dato già sottolineato per il quale non vi è una correlazione assoluta tra un momento di approvazione recente e tutela articolata del verde urbano; infine, per avere una panoramica sugli altri Capoluoghi, a Napoli manca uno specifico regolamento del verde urbano, ve ne è uno però destinato alla fruizione dei parchi urbani, ad Avellino c’è unicamente il piano del verde mentre a Salerno e a Caserta vi è un regolamento del verde.
[61] Vedesi art. 2, in forza del quale «1. Il presente regolamento attiene al verde di proprietà pubblica e privata sul territorio comunale. Le linee guida devono pertanto essere applicate a: a) verde pubblico di proprietà dell’Amministrazione comunale o di altri enti pubblici, gestiti dagli stessi enti pubblici o da loro affidatari/concessionari. Si definiscono componenti del verde pubblico tutti gli spazi aperti, i parchi, i giardini, i boschi urbani e relative attrezzature, così articolati: - manti erbosi e piante erbacee; - arbusti; - alberi; - arredi (panchine, ecc.); - giochi; - segnaletica; - viabilità. b) verde privato costituito da parchi e giardini privati, da aree urbane non edificate, da alberature di pregio e/o monumentale o storico di cui alla Legge Regionale 14/2007 e da piante di pregio e come tali censite nel Piano del Verde Urbano. 2. Le linee guida del presente regolamento non si applicano invece a vivai, orti botanici, impianti sperimentali, e a tutto quanto ad essi assimilabili». La criticità più evidente è che manca una puntuale definizione delle singole componenti richiamate dall’art. 2. Per le altre funzioni del verde, il verde pubblico, così come la compartecipazione dei cittadini, è oggetto di disciplina nel Titolo II, il verde privato nel Titolo III, le funzioni di vigilanza e sanzionatoria nel Titolo VI, mentre l’attuazione dei contenuti della l. n. 10/2013 si ricava in singole disposizioni all’interno del regolamento. Per completezza, si soggiunge che a Lecce è presente un piano del verde, a Brindisi un disciplinare tecnico e a Taranto, Bari e a Foggia un regolamento del verde, seppur più datato rispetto a quello del Comune di Barletta.
[62] Vedesi articolo 3, comma 2, secondo cui «2. Ai sensi e per gli effetti del presente Regolamento, si definiscono “aree verdi”: Parchi e giardini urbani; Filari alberati; Arbusti e siepi; Verde a corredo di strade e strutture viarie in genere quali aiuole, spartitraffico, barriere verdi; Alberi di pregio e monumentali pubblici e privati, come definiti dalla Legge n.10/2013 all’art.7 per come modificato dall’art.16, comma 1, del d.lgs. n.34/2018 e nell’Articolo 20 del presente Regolamento, in cui sono indicati i criteri per la loro individuazione; Percorsi ciclopedonali nel verde, aree di sguinzagliamento cani, aiuole, fioriere, vasi posizionati su suolo pubblico; Spazi verdi a corredo di servizi pubblici; Aree verdi all’interno dei cimiteri; Spazi di proprietà pubblica, con destinazione a verde e a servizi nello strumento urbanistico vigente affidati in concessione ad associazioni, enti o privati per un utilizzo sociale; Spazi verdi affidati a privati e associazioni tramite convenzione di sponsorizzazione e/o collaborazione; Orti urbani; Giardini condivisi (di comunità); Tutti i giardini e le aree verdi private; Aree verdi accessorie all’interno degli impianti sportivi». La compartecipazione con la cittadinanza nella cura del verde urbano si trova nel Capitolo I, Titolo III, la funzione di vigilanza e sanzionatoria nel Capitolo VI, l’attuazione dei contenuti della l. n. 10/2013 nel Titolo I del Capitolo I e le disposizioni poste a tutela del verde pubblico e privato nel Capitolo III. Per completare il quadro calabrese, si sottolinea che Catanzaro, Crotone e Reggio Calabria possiedono un regolamento posto a tutela del verde, mentre Cosenza ne ha uno dedicato alla figura del “Garante del verde, del suolo e degli alberi”, approvato nel 2024, ma piuttosto snello e sintetico, non paragonabile a quelli di tutela del verde. Inoltre, per esaurire tutte le Regioni della penisola, in Basilicata i regolamenti dei Capoluoghi di provincia sono ambedue piuttosto risalenti, a Potenza è stato approvato nel 2004, mentre a Matera addirittura nel 1996, indirizzandosi unicamente alla manutenzione del verde pubblico.
[63] La riflessione non può che suscitare curiosità e interesse, dal momento che non vi è una vera e propria ragione, la quale possa giustificare questa omissione diffusa.
[64] In Sardegna, Nuoro, Oristano e Carbonia non presentano alcun regolamento o altro atto posto a tutela del verde, mentre Cagliari ha solo un regolamento per la concessione delle aree di verde pubblico. Il regolamento di Sassari si contraddistingue per ricomprendere tutte e sei le funzioni del verde urbano, a partire da una definizione di verde classificatoria (non esaustiva) che, però, definisce puntualmente ogni componente del verde; difatti, ex art. 3, comma 2 «Di seguito sono riportate, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, le diverse tipologie di aree verdi e le relative indicazioni di fruizione e gestione: Parchi e giardini storici, parchi di interesse artistico e storico, ovvero aree verdi che hanno assunto particolare significato culturale per la città. Sono definiti beni culturali, ai sensi dell’articolo 10, co. f) del D. Lgs. 42/2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio) i parchi e i giardini che abbiano interesse artistico e storico. Parchi urbani e giardini e, in generale, tutte le aree a verde attrezzato (piccoli parchi e giardini di quartiere) destinate alla fruizione pubblica e non, in cui siano riconoscibili i criteri che hanno presieduto alla loro progettazione e la precisa disposizione d’uso. Viali alberati e verde urbano: le alberature a corredo di percorsi ciclo-pedonali e strade carrabili, le formazioni vegetali e le aree verdi di arredo urbano (piste ciclabili, rotonde stradali, gli spartitraffico) i giardini scolastici, gli orti urbani, le aree sportive all’aperto. Verde di servizio: le aree verdi a servizio di attrezzature pubbliche e collettive, la cui fruizione è funzionale alle attività svolte all’interno della struttura. Il piano del verde potrà prevedere l’apertura alla fruizione pubblica di alcune aree verdi di servizio. Alberature monumentali: alberi ad alto fusto isolati o facenti parte di formazioni boschive, i filari e le alberate di particolare pregio così come definiti dall’articolo 7 della legge n. 10 del 14 gennaio 2013. Verde agricolo: aree utilizzate per la produzione agricola (esclusi allevamenti ed industrie di trasformazione ed i vivai per la produzione di piante ornamentali), compresa la forestazione produttiva, il bosco ceduo e gli orti urbani. Boschi ed aree naturali: I territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, sono aree tutelate per legge ai sensi dell’articolo 132 del D.Lgs. 42/2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio).Verde privato: tutte le aree verdi di proprietà privata ad uso privato e i giardini e parchi privati, le aree verdi condominiali e le aree verdi di edifici non aperti al pubblico (industrie, sedi commerciali, ecc.). Verde privato ad uso pubblico: tutte le aree verdi di proprietà privata ad uso pubblico e non comprese negli elenchi delle categorie sopra citate. Appartengono a questa categoria le aree verdi di scuole e cliniche private, congregazioni religiose, strutture ricettive, impianti sportivi ed aree ricreative private». Inoltre, il Titolo I è incentrato sull’attuazione dei contenuti della l. n. 10/2013, il Titolo III alla disciplina del verde pubblico, il Titolo IV a quella del verde privato e il Titolo VI alla funzione di vigilanza e sanzionatoria (manca, invece, un vero e proprio corpo organico dedicato alla condivisione con la cittadinanza nella cura del verde urbano). In Sicilia, invece, a Messina il regolamento del verde risulta non presente, mentre a Caltanissetta è stata adottata un’ordinanza ad hoc; a Enna, Siracusa e Palermo è, invece, stato approvato un regolamento del verde, anche se in data anteriore a quello di Catania. Da ultimo, ad Agrigento e a Trapani vi è un atto distinto rispetto a quello di tutela del verde, in specie ad Agrigento ha per oggetto l’affidamento di parchi, ville e giardini, mentre a Trapani c’è un regolamento per l’arredo urbano. Analizzando il regolamento del Comune di Catania, quest’ultimo include una parte dedicata alla compartecipazione dei cittadini alla cura del verde nel capitolo II, norme a tutela del verde pubblico nei capitoli V e VI, l’attuazione dei contenuti della l. n. 10/2013 in una serie di disposizioni, così come anche la funzione di vigilanza e sanzionatoria (non vi è, invece, un regime dedicato al verde privato). Il regolamento, peraltro, contiene anche una definizione di verde urbano, anche in questo caso declinato secondo un’impostazione classificatoria e per sommatoria.
[65] L’aspetto non è, tuttavia, assoluto, visto che anche in regolamenti edilizi recenti il verde può continuare ad assumere una dimensione unicamente quantitativa.
Abstract: l’elaborato esamina lo stato dell’arte dei regolamenti edilizi e di tutela del verde dei Capoluoghi comunali al fine di verificare se sia in essi contenuti una interpretazione del verde urbano in senso qualitativo. In chiusura, sono anche menzionate una serie di misure che gli enti locali potrebbero implementare per valorizzare ulteriormente la dimensione prestazionale del verde urbano.
Parole chiave: verde urbano; enti locali; regolamenti comunali; regionalismo; prassi amministrativa.
The regulation of urban greenery in municipal regulations: an empirical survey / Giulio Profeta
Abstract: The paper examines the state of the art of the building and green protection regulations of municipal capitals in order to verify whether they contain an interpretation of urban green in a qualitative sense. In closing, a series of measures that local authorities could implement to further enhance the performance dimension of urban green are also mentioned.
Keywords: urban green; local municipalities; municipal regulations; regionalism; administrative practice