Professore ordinario di Diritto costituzionale, Università del Molise.

La sentenza n. 192 del 2024, tramite la quale la Corte costituzionale ha ricondotto a sistema, se così può dirsi, la legge Calderoli (l. n. 86 del 2024), si segnala per alcune conclusioni, esplicite ed implicite, sulla forma giuridica degli spazi politici. L’attenzione al tema si evince dal richiamo mosso dalla Corte alla funzione della partecipazione democratica come elemento di mediazione necessaria nel procedimento di attribuzione delle funzioni ai livelli territoriali più vicini alla popolazione interessata, secondo un verso che, in via generale, è stato valorizzato da autorevole dottrina già da molti anni (p. 4.3.2. del considerato in diritto; Berti, 1975, 288).

In concreto, la dimensione partecipativa è declinata dalla Corte nel quadro della c.d. “democrazia di prossimità”. Questa categoria è strettamente legata alle potenzialità dell’autogoverno, che si concretizza nel momento in cui i cittadini, a livello locale o regionale, hanno la possibilità di esercitare un controllo diretto sulle decisioni che li riguardano. L’autogoverno, inteso come il diritto dei cittadini di essere coinvolti e di contribuire effettivamente, in modalità diverse, alla gestione delle risorse e delle scelte politiche che impattano la loro vita quotidiana, è valutato, dunque, quale fattore di un modello di democrazia partecipativa che trascende il semplice esercizio del diritto di voto. Autogoverno, infatti, non è parola che evoca un’azione sporadica, richiedendo, al contrario, un coinvolgimento costante e attivo nella gestione delle questioni pubbliche, che la decisione in commento valorizza particolarmente in riferimento alla fase del controllo e della connessa responsabilità nell’esercizio delle funzioni.

Nel modello fatto proprio dalla Corte, la partecipazione non è considerata, dunque, una facoltà intermittente, ma un elemento fondamentale per garantire che le decisioni concernenti le funzioni rispondano davvero e sempre ai bisogni e alle aspettative della comunità. I cittadini, attraverso vari strumenti partecipativi, come consultazioni pubbliche, assemblee, o altre forme di coinvolgimento diretto, sono chiamati a esercitare un controllo sulle scelte politiche e amministrative, assicurandosi che queste rispondano agli interessi collettivi e ai valori condivisi.

Il punto essenziale, che la sentenza non affronta direttamente, concerne, tuttavia, la possibilità di ipotizzare che la partecipazione non riguardi solo il monitoraggio delle politiche esistenti e delle funzioni svolte, ma si estenda anche alla fase relativa alla loro elaborazione, favorendo un processo di deliberazione che includa diverse voci e punti di vista. In questo modo, il controllo diverrebbe un processo continuo, in cui i cittadini non solo verificherebbero l’operato delle istituzioni in merito alle scelte compiute, ma contribuirebbero attivamente alle scelte inerenti alle ragioni e alle modalità di svolgimento delle funzioni in sede decentrata. In questa forma estesa, la partecipazione democratica potrebbe, insomma, divenire il motore di un sistema che non solo garantirebbe maggiore responsabilità, ma promuoverebbe anche la cooperazione e il consenso tra le diverse parti della società.

Questi argomenti sono presenti, in forma esplicita e implicita, nella sentenza in esame. Secondo la Corte, l’attribuzione di ulteriori funzioni ai livelli territoriali più vicini alla popolazione interessata acquista senso perché, tra le altre cose, può migliorare l’effettività della responsabilità politica. La prossimità delle scelte favorisce, infatti, il controllo partecipativo, stimolando, al contempo, l’autorità pubblica ad essere più attenta e responsiva in relazione ai bisogni e alle preferenze prevalenti nella comunità governata. Tale aspetto si ricollega ad una delle iniziali ispirazioni della scelta costituzionale a favore del regionalismo, e cioè quella di “educare i cittadini all’autogoverno rafforzando, così, la democrazia” (p. 4.2.3 del considerato in diritto).

Le affermazioni svolte sul punto, che si inseriscono nel contesto delle teorie consolidate sulla democrazia partecipativa, sono però modulate dalla stessa Corte. Infatti, proseguendo il ragionamento, il Giudice delle leggi riconosce che esistono funzioni pubbliche strettamente interdipendenti, tali che la valutazione in termini di responsabilità politica dei risultati conseguiti mediante il loro esercizio richiede che tali funzioni non siano separate e restino in capo all’autorità pubblica, impedendo, in linea di massima, il trasferimento di alcune di esse verso livelli territoriali più bassi (p. 4.2.3 del considerato in diritto). In entrambi i casi, di attribuzione delle funzioni ai livelli territoriali più vicini alla popolazione interessata o di funzioni interdipendenti, non viene, tuttavia, preso esplicitamente in considerazione l’aspetto ascendente della partecipazione, concernente, come si accennava in precedenza, l’iniziativa politica e le forme della sua organizzazione dal basso.

Il dato stupisce, se solo si ricorda che la partecipazione, intesa come coinvolgimento nella vita politica o come compartecipazione nelle decisioni pubbliche, rappresenta, almeno sulla carta, una componente fondamentale degli Statuti regionali di seconda generazione, i quali, in varie forme e in diversa misura, ne promuovono la funzione con l’obiettivo di favorire l’inclusione e la “crescita democratica della comunità regionale” (Luciani, 2006). A seguito del riconoscimento statutario, alcune leggi regionali, con esempi significativi in diverse realtà territoriali italiane, come Toscana ed Emilia-Romagna, hanno promosso innovazioni importanti, anche attraverso l’uso di piattaforme tematiche, dando vita a esperimentazioni coinvolgenti che, in determinati casi, hanno trovato spazio in giornate dedicate alla partecipazione civica. Tali iniziative, alla luce delle indicazioni della Corte, possono essere considerate come laboratori democratici di grande interesse in ottica presente e futura.

Alla luce di quanto detto, sorgono spontanee alcune domande. È possibile immaginare, ad esempio, che, nella stessa logica di prossimità, la partecipazione possa diventare un elemento per valutare, nel prossimo futuro, la giustificazione dell’adeguatezza già in fase iniziale, segnando, nel verso della qualità, la fase istruttoria che precede lo schema di intesa, come richiesto dalla Corte? O, al contrario, bisogna aspettarsi che le trattative continuino a svilupparsi, a discapito della trasparenza, tra le burocrazie regionali e ministeriali, perdendo così chiarezza? Inoltre, è realistico pensare che, secondo questa stessa prospettiva, l’istruttoria che deve precedere l’iniziativa della regione – che attualmente è un terreno ancora oscuro – nel prendere in considerazione, come sottolineato dalla Corte nella sentenza, “metodologie condivise, trasparenti e possibilmente validate scientificamente”, possa avvalersi di valutazioni portate da comitati, esponenti della società civile, associazioni e altri soggetti che, rispetto a quella specifica funzione, possono disporre, eventualmente, di competenze e informazioni innovative, al limite in contrasto con quelle in possesso delle burocrazie regionali? È pura utopia immaginare che il momento dell’istruttoria, giustamente valorizzato dalla Corte, possa diventare un importante esperimento di democrazia deliberativa? Infine, poiché è indiscutibile che la partecipazione democratica rappresenti, anche a livello regionale, un momento di integrazione con la dinamica rappresentativa, quale ruolo potranno effettivamente svolgere i Consigli regionali rispetto all’iter istruttorio che dovrà dare concretezza alla nuova adeguatezza delineata dalla Corte?

Sono consapevole che questi interrogativi toccano la questione della forma di governo regionale, così come definita dalle riforme del 1999 e del 2001, e come effettivamente sviluppatasi nel corso del tempo. Tuttavia, credo che le aperture della Corte meritino di essere approfondite ulteriormente, in modo da favorire una maggiore democratizzazione e trasparenza nelle scelte che, come chiaramente sottolineato dalla sentenza n. 192/2024, avranno un impatto sull’ordinamento complessivo.

In una direzione simile, anche se con un diverso approccio, si collocano alcune recenti riflessioni della dottrina, che ha giustamente sottolineato la necessità – a seguito della decisione della Corte – di garantire maggiore trasparenza durante l’attività istruttoria che precede la redazione dello schema di intesa. In particolare, si auspica una verifica parlamentare sull’interpretazione che le Regioni forniranno dei principi di sussidiarietà e adeguatezza, in relazione ai tre criteri indicati dalla Corte (efficienza; equità; responsabilità). La proposta della dottrina, in tal senso, è orientata ad introdurre una fase procedurale specifica, tale da consentire alle commissioni parlamentari di Camera e Senato – eventualmente con il coinvolgimento della commissione bicamerale per le questioni regionali – di esprimersi in modo mirato sull’attuazione, da parte delle Regioni e del Governo, delle indicazioni di metodo e procedura stabilite dalla sentenza (Lupo, 2025).

Tornando al proprium della partecipazione, sorgono altre questioni riguardo alle funzioni che la Corte ha ritenuto non trasferibili, basandosi su due considerazioni principali: da un lato, perché la valutazione in termini di responsabilità politica dei risultati conseguiti mediante il loro esercizio richiede che tali funzioni non siano separate; dall’altro, perché si tratta di materie soggette a una forte regolamentazione a livello europeo. Un esempio, in tal senso, è rappresentato dalle funzioni afferenti al tema dell’ambiente, che da molti anni ha stimolato un acceso dibattito globale sulle potenzialità della democrazia partecipativa.

Al riguardo, per chiarezza, propongo i miei dubbi in forma interrogativa: se la vicinanza, come giustamente indicato dalla Corte, favorisce la partecipazione democratica in funzione di un controllo effettivo, rendendo l’autorità pubblica più reattiva rispetto ai bisogni dei governati, come potrà e dovrà essere garantita la stessa partecipazione nel caso di funzioni pubbliche strettamente interdipendenti, che richiedono un esercizio unitario? Questo mi sembra un tema di grande importanza, anche perché, come è ben noto, negli ultimi anni i processi di partecipazione democratica, o di deliberazione a livello statale – anche in relazione al modello di governance che caratterizza l’attuazione del PNRR – sembrano essere sempre più sacrificati, ad evidente discapito delle potenzialità insite nei processi partecipativi (Benvenuti, 1994).

Quanto accaduto in relazione al dibattito pubblico, che, nel corso di pochi anni, è stato praticamente messo da parte dal legislatore, rappresenta un esempio lampante di come il principio di partecipazione, che dovrebbe essere centrale nell’ordinamento costituzionale, sia stato progressivamente marginalizzato. Questo ci costringe a riflettere e ad affrontare un tema in forma critica: è accettabile che un principio fondamentale, come quello in esame, venga per un verso valorizzato e, per altro verso, ridotto o limitato in modo drastico, sul piano della sua effettività e della sua funzione, a causa di questioni di scala? In altre parole, possiamo giustificare che il carattere “fondamentale” della partecipazione, valore centrale del nostro sistema giuridico e politico, dipenda dallo spazio connesso al suo esercizio?

Questa è una delle questioni aperte che merita una riflessione più profonda, soprattutto alla luce dei recenti sviluppi normativi e politici che hanno visto un progressivo indebolimento degli spazi di partecipazione pubblica. La tendenza a ridurre o limitare il dibattito pubblico ad ogni livello di governo, insieme alla delega poco trasparente di decisioni cruciali a organismi tecnici, sembra essere in contrasto con le radici democratiche su cui si fonda il nostro ordinamento. L’idea che la partecipazione debba essere un principio effettivo e non solo teorico dell’ordinamento costituzionale deve essere continuamente difesa, e non può essere messa in discussione in nome di una gestione più “efficiente” delle politiche pubbliche. In definitiva, ci troviamo di fronte a una sfida importante: come preservare e rafforzare la partecipazione democratica, anche quando le difficoltà legate alla scala delle questioni e alla complessità dei processi politici sembrano mettere in discussione il suo valore.

Queste riflessioni sono, a mio avviso, aperte e dovranno essere riprese e approfondite in futuro, in un dibattito pubblico che coinvolga tutti gli attori interessati.

Riferimenti bibliografici

Berti G. (1975), Art. 5, in Commentario alla Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna-Roma

Benvenuti F. (1994), Il nuovo cittadino. Tra libertà garantita e libertà attiva, Venezia, 103

Morrone A. (2003), La Corte costituzionale riscrive il titolo V, in Quaderni costituzionali

Ronchetti L. (2018), L’autonomia e le sue esigenze, Milano

Lupo N. (2025), La Corte costituzionale ha bisogno del Parlamento (e fors’anche della forma di governo parlamentare) per fare bene il suo mestiere, in Forum di Quaderni costituzionali, in www.forumcostituzionale.it.


Abstract: La sentenza n. 192 del 2024 della Corte Costituzionale riprende, in forma esplicita e implicita, il tema “classico” della relazione tra partecipazione democratica e regionalismo, rinnovando il dibattito sul ruolo della cittadinanza nelle decisioni politiche. Attraverso il riconoscimento del principio autonomistico, la Corte sottolinea l’importanza dell’autogoverno e della “democrazia di prossimità”, in cui i cittadini sono coinvolti attivamente nelle scelte politiche a livello locale e regionale. La sentenza riafferma che la partecipazione, in forma di controllo, non rappresenta un diritto intermittente, ma un elemento fondamentale per la qualità delle politiche e per un sistema più inclusivo e responsabile.

Parole chiave: Partecipazione democratica; istruttoria; Corte costituzionale; adeguatezza; controllo.


Procedural inquiry and participation: some brief considerations on Italian Constitutional Court ruling No. 192 of 2024 by Michele Della Morte

Abstract: Sentence No. 192 of 2024 of the Italian Constitutional Court takes up, explicitly and implicitly, the “classic” theme of the relationship between democratic participation and regionalism, renewing the debate on the role of citizenship in political decisions. By recognising the principle of autonomy, the Court emphasises the importance of self-government and “grassroots democracy”, in which citizens are actively involved in political choices at local and regional level. The ruling reaffirms that participation, in the form of control, is not an intermittent right, but a fundamental element for the quality of policies and for a more inclusive and accountable system.

Keywords: Democratic Participation; Inquiry; Constitutional Court; Adequacy; Control.