Quando si è fatta un po’ di luce, ho aperto la finestra e ho visto tutta l’acqua che scorreva. Nel garage c’erano degli scatoloni e li ho visti galleggiare, ne ho visto pure uno dove c’era scritto ‘vestiti di Stefano’, che è il mio papà”.

Alice ha dieci anni, indossa un grembiule a quadretti bianco e azzurro e stringe tra le mani il diario. Frequenta l’ultimo anno delle elementari Ginnasi a Castel Bolognese, nel ravennate, una scuola gialla con i mattoni rossi, immersa in un parco non lontano dalla via Emilia. Ogni tanto si presenta un coniglio tra l’erba, mentre nelle classi i duecentocinquanta bambini e bambine affrontano le ultime ore della giornata.

Per ricordare i giorni dell’alluvione, Alice disegna in aria con le mani il fiume che gira attorno alla sua casa, a pochi chilometri dal corso d’acqua, il verso del suo nuovo gatto o il fango che si aggrappava agli stivali.

La scuola Ginnasi è l’unica a non aver subito danni dell’istituto comprensivo Bassi, uno dei più grandi della provincia, con i milletrecentocinquanta alunni suddivisi fra i plessi infanzia Camerini Tassinari, primaria Bassi, primaria Ginnasi e secondaria di I grado Pascoli di Castel Bolognese; infanzia, primaria Pezzani e secondaria di I grado Ungaretti di Solarolo.

Ne sa qualcosa Francesco, maestro di Alice e papà di due bimbi: uno frequenta la scuola materna Camerini e l’altro la scuola primaria Ginnasi. “Io sono andato ad aiutare alla scuola dell’infanzia, dove va il mio piccolino. Non c’era più niente, l’acqua si era portata via tutto, tutti i lavoretti dei bambini, il pavimento si è sollevato. Più fango spalavi, più fango veniva fuori”. Alice, accanto, ascolta. Si commuove ricordando “tutti gli zainetti accatastati, ormai inutilizzabili. Mentre pulivamo, una collega mi ha dato quello di mio figlio”.

Insegna matematica e scienze in questa scuola da cinque anni, prima per dieci a Conselice. Quella di Alice e dei suoi compagni è stata la prima classe da quando è arrivato qui. Insieme hanno attraversato anche i giorni della pandemia, ma quelli dell’alluvione sono stati i più difficili. “Siamo stati a casa dieci, dodici giorni, ero sempre in contatto con loro. Chiedevo come stavano, quali danni avessero subito”. Quando poi a fine maggio sono tornati in classe, “ci siamo abbracciati”. Ancora oggi, però, il ricordo dei giorni di maggio è vivo: “Quando inizia a piovere, in classe sono un po’ preoccupati perché la mente torna a quello”. “Io dico certe volte bene che piova, ma basta che non piova troppo”, aggiunge Alice.

“A settembre è stato difficile ripartire”, ammette Francesco. Per Alice “è stato strano, più difficile. E poi con l’alluvione avevamo perso delle cose e se non mi ricordavo un argomento non potevo andare a vederlo nei miei quaderni vecchi, che non c’erano più”.

Sono lunghe le giornate dell’alluvione. La scuola è chiusa e si resta a casa. Alice: “Mi davo uno schema con le cose da fare, ma era sempre la stessa cosa. Mi svegliavo, facevo colazione e poi andavo giù ad aiutare, pulivo il garage o la strada davanti casa. Era faticoso. Il fango era talmente tanto che non sapevo dove metterlo. Gli stivali mi si toglievano con il fango sopra, che si aggrappava”.

“Ho aiutato molto mamma e papà. Quando l’acqua aveva quasi raggiunto il piano in cui abitiamo, ci hanno portati su dai nonni. Hanno preso i vestiti e i giochi a cui siamo più legati. Ho avuto tanta paura, già che mi mancava la casa vecchia, non volevo perdere anche questa. Io sono rimasta sveglia, mio fratello no”. “Meno male che durante l’alluvione non c’era il gatto che ho adesso perché lui è molto distratto, gioca tanto. Se ci fosse stato, non l’avrebbe presa bene”.

Francesco: “È stato brutto quando hanno iniziato a buttare fuori la roba. Mia moglie mi ha pregato di salvare i quaderni di uno dei nostri figli. Non volevamo che andassero persi, come i nostri libri. Insegno dal Duemila e non volevo buttare ventiquattro anni di lavoro”. Tra i libri più cari, quelli di quando a Conselice era insegnante di sostegno di un’alunna non vedente: “La prima cosa che volevo salvare erano i libri in braille, se li avessi persi sarebbe stato come spezzare un legame tra me e la ragazza”.

In quei giorni tutto è sospeso, tutto si ferma. Anche andare a cavallo, come Alice fa da cinque anni, è impossibile. “Mi è mancato abbastanza non farlo. Sono stata fortunata perché il maneggio dove vado io non è stato colpito, ma i cavalli sono stati portati un po’ a Imola e un po’ a Bologna. I cavalli sanno nuotare, però devono andare velocemente”.

Suona la campanella, Alice riprende il diario e con il suo maestro si allontana. Nelle classi si chiudono gli zaini e si prendono le giacche. Pochi minuti e lungo le scale dell’edificio risuoneranno i passi dei bambini, mentre fuori lo scuolabus giallo attende alcuni e un coniglio riguarda tra l’erba.