25 Aprile, la lotta di liberazione dal nazi-fascismo in Emilia-Romagna

Il racconto della partigiana Teresa Vergalli, il contributo dello storico Luca Alessandrini, le origini di Bella Ciao da ascoltare in due podcast. La legge sulla Memoria del Novecento e i percorsi della Resistenza

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ultima modifica 2023-04-24T11:27:41+02:00
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Il mio lavoro consisteva nel fare la staffetta. Portavo ordini e avvisi di pericolo, a voce o scritti su bigliettini che nascondevo tra i capelli. E poi accompagnavo i capi alle riunioni, e le ragazze e i ragazzi che volevano arruolarsi nelle formazioni partigiane che già si stavano costituendo nella Val d’Enza

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Teresa Vergalli, di Bibbiano in provincia di Reggio Emilia, aveva 16 anni e mezzo quando decise di entrare nella Resistenza. 

Teresa si descrive come una ragazza minuta, con due buffe treccine. Fino alla primavera del 1944 andava a scuola in biciletta, 20 chilometri ogni giorno con qualunque tempo, ma dopo il bombardamento della città l’istituto scolastico che frequentava venne sfollato e spostato ancora più lontano: 40 chilometri, troppi anche per lei.

Il suo racconto nell’intervista all’interno del podcast “25 Aprile - Ti racconto la Resistenza” insieme alla lezione dello storico Luca Alessandrini.

E poi il simbolo della lotta partigiana, Bella Ciao, da ascoltare nella seconda puntata del podcast realizzata lo scorso anno per l'uscita del docu-film di Giulia Giapponesi da rivedere su Raiplay.

Infine, gli itinerari resistenti nella web-app Resistenza mAppe e la legge regionale sulla Memoria del Novecento 

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vergalliteresa.jpg"Qui racconto tutta la mia vita. Ho vissuto in modo coerente nel rispetto degli ideali dell'antifascismo che mi hanno sempre accompagnato"

Nella foto di copertina del nuovo libro, Teresa Vergalli ritratta l'8 marzo del 1946 mentre parla alle donne dal balcone del teatro Ariosto di Reggio Emilia 

Come si diventa partigiani a 16 anni?

“Mio padre era antifascista, perseguitato e continuamente sorvegliato dalla polizia, aiutava i carcerati politici prima dell’8 settembre 1943. A un certo punto ho detto che volevo aiutare anch’io. I miei sulle prime non volevano. Ma ho insistito. Non volevo fare l’eroina ma c’era una ribellione generale dentro di me: avevo una reazione forte all’atmosfera di oppressione poliziesca e intellettuale, insieme alla consapevolezza del pericolo e dei dolori della guerra. Dopo un po’ di tempo, da studentessa un titolo eccezionale per una ragazza a quei tempi, mi hanno dato l’incarico di organizzare le donne: gruppi di difesa e per l’appoggio alla Resistenza. È stato un lavoro importantissimo, mi costringeva a studiare, parlavo dei diritti delle donne. Volevamo una società che avesse delle regole contrarie a quelle che inculcava il fascismo: il riconoscimento e il valore delle donne, la loro funzione in agricoltura e nelle fabbriche, perché lì avevano sostituito gli uomini che erano andati al fronte, però venivano pagate la metà. Si parlava di cosa sarebbe successo dopo il fascismo, del fatto che le donne dovessero essere riconosciute in modo dignitoso, nella famiglia e nella società. Mi avevano dato dei libri da studiare e ricordo che rimasi colpita in particolare da La madre di Maksim Gorkij. Lavoravo in una zona molto vasta tra la Via Emilia e l’Appennino.  C’erano partigiane, c’era chi aiutava da casa raccogliendo vestiti, farmaci e tutto quello che poteva servire. Eravamo un’armata di poveracci, giovani che non avevano esperienza di guerra”.

Pensava mai che rischiava la vita?

“Certamente, anche se avevo la fiducia che hanno tutti i giovani. Credevo che mi sarebbe andata bene. Quando capitavo nei posti di blocco avevo paura, ma resistevo. Mi avevano regalato una piccola rivoltella con un caricatore che conteneva tre pallottole. La tenevo nel reggiseno e pensavo che se mi avessero arrestato l’avrei tirata fuori e mi sarei sparata alla tempia perché non so se avrei saputo resistere alle torture. Mio padre odiava le armi. Alla fine della guerra l’ho restituita agli alleati che ci avevano chiesto di consegnare tutti gli armamenti. Erano armi che consentivano una guerriglia: sembravano piccole ma erano tanto numerose e molto efficaci contro il nemico. I tedeschi erano terrorizzati dal nostro esercito di straccioni, riuscivamo a tenerli bloccati nell’Italia del Nord. Questa era la potenza della Resistenza”.

Come si fa a scegliere di stare dalla parte giusta?

“Quando mettono in prigione tuo padre, quando ti dicono cosa devi pensare o fare, quando non puoi sapere cosa succede nel mondo, quando devi credere, ubbidire, combattere, allora capisci. E poi a casa mia si leggeva. I miserabili, Guerra e Pace: mio padre leggeva nella stalla mentre mia madre filava e noi bambini ascoltavamo. Anche queste letture hanno fatto maturare in me un pensiero politico e sociale. I miei genitori erano talmente avanti rispetto al tempo che discutevano tra loro e con noi, avvertendoci però che erano cose che dovevano restare in famiglia perché erano pericolose se raccontate fuori".

Che insegnamento ha avuto dalla Resistenza?

“Non me ne sono accorta subito ma col tempo, specialmente quando ho potuto finalmente insegnare partendo da quegli ideali, da quelle speranze e illusioni che sono nate dalla Resistenza e dall’associazione delle donne”.

Il momento più emozionante?

“Aspettavamo la liberazione, ma non è stato un momento di gioia. Avevamo atteso troppo tempo. A Reggio Emilia noi partigiani siamo arrivati il 24 aprile, ma gli alleati non c’erano ancora. Avevamo la città in mano, i tedeschi erano scappati e gli alleati non si vedevano. Era una gioia inquinata dal dolore. La vera gioia l’abbiamo gustata dopo, il 1^ maggio, quando abbiamo potuto celebrare la Festa dei Lavoratori. Ci sentivamo liberati di un peso enorme. Ho pensato: abbiamo davvero finito, devo rimettermi a studiare. Mi sono ributtata sui libri, i miei genitori avevano fatto tanti sacrifici per darmi un'istruzione, e ho recuperato da privatista gli anni perduti”.

E oggi cos’è la Resistenza?

“Non avrei mai creduto che avrei dovuto parlare ancora di guerra, così terribilmente vicina e pericolosa. Gli ucraini non fanno una resistenza simile alla nostra, ma il dolore, la paura e i sentimenti forse si assomigliano un po’. Ora le armi sono più micidiali, quando vedo i palazzi colpiti, sembrano fatti di cartone, i nostri sotto i bombardamenti erano solo rotti. Le distruzioni che vediamo in Ucraina sono inaccettabili e mi fanno soffrire molto. Noi ricordiamo volentieri i momenti migliori o le cose emozionanti, mentre i dolori cerchiamo di cancellarli. Questa guerra li ha fatti riaffiorare tutti: la paura, la fatica, il disagio. E il ricordo delle persone morte, perché in quel momento dovevamo andare avanti e non c’era tempo di piangerle. Non ci si poteva mai fermare sul dolore degli altri perché era incombente il proprio. E sopra tutto la paura della fine, di essere arrestati, perché noi donne sapevamo che venivamo torturate”.

Come vive ora il 25 aprile?

"La cosa peggiore è che nelle scuole, nei libri di testo, nell’opinione pubblica non si parla abbastanza della Seconda guerra mondiale e del fascismo. Bisognerebbe battersi di più per fare conoscere questa storia, ormai è passato quasi un secolo. Noi testimoni siamo rimasti in pochi. Ma i nostro è un racconto personale, individuale, una visione limitata. Occorre una consapevolezza storica che tenga conto di un quadro più complesso e completo. Non bastano le cerimonie, che pure sono importanti, serve la cultura storica e sociale, cioè andare alla radice dei problemi, non alla superficie, alla retorica. È vero che i morti sono morti e che devono essere rispettati da tutte le parti, ma è quello che hanno fatto da vivi che è importante conoscere per sapere e per distinguere”.

Se potesse integrare la parte mancante nei libri di storia?

“Scriverei che la Resistenza è l’alba della nuova società, del nuovo mondo per noi italiani e anche per la stessa Germania. Da lì è nata l’idea dell’Unione europea, popoli che pur nella diversità si aiutano senza ledere i diritti gli uni degli altri, senza ritenersi superiori. Il fascismo diceva che noi eravamo i migliori, che gli altri sono diversi e quindi inferiori. Invece con la Resistenza abbiamo spiegato che tutti devono avere uguali diritti e aspirare a migliorare le proprie condizioni di vita, che le diseguaglianze vanno eliminate o almeno attenuate e non c’è bisogno della lotta di supremazia da parte di nessuno. Adesso esiste quella bellissima cosa che è l’Europa, certo da perfezionare e correggere, ma è la parte migliore che abbiamo inventato. Ci ha permesso in tutti questi anni di vivere senza guerra. I ragazzi di oggi si sentono cittadini del mondo perché sono cittadini europei. L’unione e la convivenza pacifica sono il futuro: ora siamo consapevoli del problema della salute della terra e questo si può risolvere solo insieme. Siamo umanità globale e dipendiamo da quello che la terra ci regala, chissà se riusciremo a mantenerla così bella, come nelle fotografie dallo spazio: azzurra e senza confini. Spero che i giovani, più istruiti di quanto eravamo noi, possano capire e abbracciare gli ideali di riscatto umano e di difesa della terra”.

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Resistenza mAPPE

Reistenza mappe.pngCosa fare il 25 aprile? La web-app Resistenza mAPPE sulla Seconda Guerra Mondiale e la Resistenza in Emilia-Romagna propone diversi itinerari cittadini ed extraurbani sulle tracce della storia. Grazie al sistema di geolocalizzazione ti accompagna lungo i luoghi della memoria. Per ogni percorso esistono punti che riportano a eventi o circostanze. Si possono approfondire le gesta di donne e uomini che hanno agito in clandestinità, ma anche capire come si viveva durante l'occupazione nazifascista, come i cittadini si difendevano dai bombardamenti e molto altro. Il progetto è elaborato dagli Istituti Storici dell'Emilia-Romagna in Rete 

Scopri: Resistenza mAPPE

Memoria Novecento

memoria novecento.pngLo sai che la Regione ha approvato nel 2016 una legge per promuovere e sostenere le attività di valorizzazione della storia del Novecento in Emilia-Romagna?
L'obiettivo  è quello di coltivare la memoria collettiva come una pratica di cittadinanza attiva, perché ricordare è una continua ricerca, un processo di crescita e di formazione della nostra identità, della nostra consapevolezza, del nostro essere cittadine e cittadini oggi.
E ogni anno, con un bando indirizzato agli enti pubblici e privati, destina dei contributi per conservare e gestire il patrimonio documentale e archivistico del secolo passato.
Scopri: Memoria Novecento

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A cura di Brunella Buttieri, Elisa Ravaglia

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