Maltrattata per anni insieme ai figli, ottiene dai familiari la solidarietà a lungo negata
Il primo episodio di violenza risale a qualche anno fa. Lei mette troppo sale nella minestra e lui lancia il piatto, offende lei e tutte le donne della sua famiglia, la schiaffeggia e la minaccia di morte.
È solo il primo di una serie di eventi accaduti anche durante le gravidanze, in presenza dei bambini o contro di loro, in una quotidianità caratterizzata dal continuo abuso di alcolici da parte di lui e dal fatto che lei non può imparare l’italiano o lavorare, i bambini non possono frequentare la scuola materna. Solo quando i familiari di lei si intromettono per dissuadere il marito dall’usare le mani lui smette di picchiare e per un periodo si “limita” alle violenze verbali e psicologiche.
A distanza, anche i genitori della signora e del marito sono coinvolti in queste discussioni e giocano un ruolo rilevante. Inizialmente i consuoceri condividono la medesima posizione: una censura decisa verso l’abuso di alcolici di lui, e la raccomandazione a lei di sopportare le violenze “normali”, o comunque legittime, che avvengono tra moglie e marito.
Dopo un episodio particolarmente grave la signora si decide a chiedere aiuto alle forze dell’ordine e, con i bambini, per periodo viene accolta in una casa rifugio gestita da un Centro Antiviolenza. Ormai alle strette il marito promette di non picchiare più, smettere di bere e svolgere colloqui in uno dei tanti centri per uomini maltrattanti attivi in Emilia-Romagna. Fidandosi di quelle promesse, lei accetta di ricostituire il nucleo familiare.
La luna di miele dura poco. L’abuso di alcol da parte del marito riprende con sempre maggiore frequenza e così le violenze sulla moglie e i bambini. Questa volta lei non è disposta a concedere altre possibilità e così pure i genitori di lei, che finalmente la sostengono nella scelta di separarsi visto che il marito non ha rispettato i patti.
Quando la signora, accompagnata dagli operatori, rientra a casa per prelevare oggetti necessari a lei e ai bambini, si accorge che il marito è partito portando con sé tutti i documenti della moglie e dei figli: oltre ai permessi di soggiorno, i libretti sanitari dei bambini, i certificati di nascita, quello di matrimonio. La signora lo denuncia nuovamente temendo che il marito possa avvalersi dei documenti dei bambini per portarli via con sé.
Ancor prima della separazione coniugale, il Tribunale per i Minorenni di Bologna ha ordinato al padre di non rientrare in casa e di non avvicinarsi alla moglie e ai bambini, con la possibilità di incontrare i figli soltanto in incontri protetti alla presenza degli educatori.
Lui non è più rientrato in Italia e non ha mai contribuito al mantenimento del nucleo familiare. Madre e bambini sono rientrati in casa e la signora sta cercando di imparare l’italiano e trovare un lavoro per sostenere se stessa e i figli ancora piccoli. Su richiesta del Sindaco del comune di residenza, la Fondazione ha stanziato un sostegno economico per favorire il loro percorso.