Fondazione per le vittime dei reati

La Fondazione si racconta. Grande emozione in sala per la narrazione proposta dal Presidente Lucarelli

"Quello che faccio per la Fondazione mi dà il senso, il senso immediato e molto concreto, di fare qualcosa di utile»

Molto diverso da un convegno, ben di più di un incontro istituzionale. Con la sua straordinaria capacità di trasmettere con pochi tratti il cuore di un’esperienza, Carlo Lucarelli rapisce l’attenzione dei molti fortunati che hanno preso parte all’incontro “La Fondazione si racconta”, la mattina del 20 aprile nella Sala 12 Maggio della Terza Torre regionale. Foto - Video

In sala siedono prevalentemente amministratori, funzionari, agenti di polizia, anche alcuni avvocati, volontari, personale dell’amministrazione penitenziaria, e poi persone che dal 2005 ad oggi hanno collaborato con la Fondazione e alcune vittime di reato le cui storie vengono raccontate dal Presidente con il supporto di interviste video. Lucarelli sa di rivolgersi a un uditorio selezionato e vuole proprio la loro attenzione. Come diventare soci

«Lo so che parlo soprattutto a sindaci e operatori del sociale, voi siete quelli che fanno le cose, siete a contatto diretto con i problemi della gente e il vostro compito è appunto risolverli, insomma, essere concretamente utili, lo sapete cosa significa, ma io sono uno scrittore, diciamo così, un intellettuale, a noi questa sensazione di essere così utili non è che ci capita spesso. Soprattutto quella di essere utili in un modo immediato e tangibilmente concreto, non sulla carta, non dentro la testa, e nel futuro, ma qui e adesso, in un modo, lasciatemelo dire, siamo tra noi, concretamente e praticamente, emiliano romagnolo».

La concretezza del sostegno economico che arriva al momento giusto, subito dopo la violenza, risolve un problema e trasmette un messaggio: non sei solo in questo momento così difficile, la tua comunità è qui per sostenerti.

E quanto sia importante ricevere un segno tangibile di solidarietà lo dicono le persone aiutate dalla Fondazione. Di straordinaria intensità la testimonianza di Mario Cenci e Roberta Previati, genitori di Marcello Cenci ucciso a Valenza nel luglio 2017: “per la prima volta una istituzione ci è stata vicino, ci siamo sentiti protetti”. Lo conferma Raffaella Pareschi – l’aiuto le è servito per riprendere in fiducia dopo il lutto del marito e avere rischiato lei stessa la vita –, lo ripete “Fatima” che dopo i maltrattamenti aveva bisogno di tutto, o Fred Nyantakyi che con poche parole sofferte lo esprime benissimo: da soli è impossibile.

Nel solco di queste e molte altre storie Carlo Lucarelli ha avvicinato ai presenti il dolore, la rabbia, il desiderio di giustizia, il bisogno di sostegno che le vittime di gravi reati conoscono perfettamente ed ha aggiunto ancora alcuni significati importanti. Innanzitutto, la violenza non ha cittadinanza, né quando è esercitata né quando viene subita, e ciò che ai nostri occhi sembra a volte inconcepibile – il matrimonio riparatore dopo lo stupro, la vendetta per lo sgarro – appartiene al codice normativo o culturale del nostro Paese di pochi decenni or sono. In secondo luogo, che la complessa rete dell’intervento ha al centro quei volti e quelle storie e non deve mai dimenticarlo quando assume decisioni, approva atti amministrative o destina risorse pubbliche. Infine, che la Fondazione fin qui ha fatto molto ma tanto di più è ancora possibile con un aiuto corale.

Carlo Lucarelli ci conduce alla chiusura di questa lunga carrellata con lo sguardo rivolto al futuro perché le vittime incontrate, affrontato il loro dramma personale, vogliono dare una mano. Sono in tanti a dirlo e tra questi c’è “Fatima”, che dopo avere ricevuto tanto sostegno ora sta affiancando una connazionale che vive nella sua città, due figlie a carico, il marito in carcere.

«Ecco», conclude Carlo Lucarelli, «sono uno scrittore, all’italiano ci tengo, ma non ho difficoltà a fare mie le parole un po’ sgrammaticate di una donna che l’italiano lo sta ancora imparando, perché mi sembra che davvero riassumano il senso concreto e appassionato, emiliano romagnolo, della nostra avventura: “Quello che ce la faccio, faccio”.

«Noi lo facciamo con il contributo fondamentale della Regione, con la possibilità di avere sostenitori, il 5 per mille, ma soprattutto lo facciamo con l’adesione dei sindaci che ci inviano le richieste di aiuto e quelli che si associano alla Fondazione con una quota che per noi è ossigeno. Ce ne serve sempre di più, perché il mondo è brutto, lo sappiamo, ma vorremmo renderlo migliore. Quello che ce la facciamo, lo facciamo».

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ultima modifica 2022-09-16T09:51:11+01:00
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