La proposta di
riforma "federalista" del titolo V della Costituzione, presentata dal Ministro
per le riforme costituzionali Giuliano Amato (e che in questo fascicolo viene pubblicata),
segna un nuovo approccio alla politica delle riforme costituzionali, lapproccio
"minimalista". Dopo linutile fragore di ottoni dei retorici annunci della
Bicamerale; dopo il gigantismo del progetto globale di rifondazione costituzionale
progetto che si è sgretolato al fitto fuoco dei veti incrociati, riducendosi alla
pochezza di un massimo comune divisore che offendeva persino il comune senso estetico, per
non dire la coerenza della logica istituzionale; dopo che il "federalismo" è
stato coniugato con tutte le possibili aggettivazioni, perdendo ogni volta un pezzo della
sua anima: dopo tutto ciò, ben venga una proposta limitata, realistica, che muove verso
obiettivi sufficientemente precisi. Ma lattuale progetto corrisponde a questi
requisiti, è una proposta convincente nel merito?
Il progetto Amato altro non è che una ripulitura, con
poche varianti, del testo approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati a seguito
dellesame della proposta di revisione licenziato dalla Commissione bicamerale. Il
quadro dei rapporti tra centro e periferia che ne esce è piuttosto chiaro: è quello
attuale, con qualche modesta razionalizzazione e qualche apparente rivoluzione.
Lapparente rivoluzione è che, come nel progetto della Bicamerale, si applica la
tecnica del rovesciamento del guanto, vale a dire che si enumerano solo le materie di
competenza esclusiva dello Stato (quelle indicate nellart. 117.2), mentre tutte le
altre materie sono demandate alla legislazione regionale; resta solo una ridotta area di
sovrapposizione tra i due livelli di legislazione, ossia un elenco di materie (art. 117.3)
in cui allo Stato è riservata la "disciplina legislativa generale", mentre
spetta alle Regioni la disciplina di dettaglio. Apparentemente il sistema è chiaro e
segna una forte espansione della potestà legislativa regionale. Ma come potrebbe
funzionare un sistema siffatto?
Prendiamo una materia chiave, come lurbanistica: essa
non è compresa nelle materie riservate allo Stato, né tra quelle a competenza
"bipartita"; quindi le Regioni, di massima, dovrebbero vantare su di essa una
competenza di tipo esclusivo. Anzi qualcosa di più della competenza esclusiva delle
attuali Regioni speciali, perché molto opportunamente il disegno di riforma elimina
quellinquietante norma, contenuta nella proposta della Bicamerale, per cui allo
Stato sarebbe riservata in via generale "la potestà legislativa per la tutela di
imprescindibili interessi nazionali". Nessuno strumento avrebbe lo Stato per imporre
alle Regioni regole e princìpi comuni: né linteresse nazionale, né i princìpi
dellordinamento, neppure le "grandi riforme".
Una vera rivoluzione, dunque, anche un po
inquietante: davvero le Regioni sarebbero libere di regolare come vogliono il processo
urbanistico e lo sviluppo edilizio? Ne dubito. Lurbanistica incide sulla
conformazione della proprietà, ed è attualmente, come è noto, assistita da un
sistematico ricorso a sanzioni penali: ma l"ordinamento civile" e le
"norme penali" sono di competenza esclusiva dello Stato. Inoltre, tra le materie
"bipartite" sono incluse materie strettamente connesse allurbanistica,
come la "tutela dellambiente e dellecosistema", la "tutela dei
beni culturali e ambientali", il "territorio". Infine, allo Stato è
riservata la determinazione delle "funzioni fondamentali di Province, Comuni e Città
metropolitane" (art. 117.2, lett. n), per cui è evidente che sarà la legge statale
a definire gli strumenti di pianificazione urbanistica locale, il regime delle
autorizzazioni comunali ecc.: fermo restando (perché lo dice ancora lart. 117.7),
che gli enti locali sono liberi di disciplinare "lorganizzazione delle funzioni
e dei compiti amministrativi loro spettanti". E allora, di cosa potrà occuparsi la
legge regionale?
Pienamente ancorato nella tradizione è il sistema delle
relazioni "à trois" tra Stato, Regioni ed enti locali. Su questo le
organizzazioni dei Comuni e delle Province hanno fatto argine, e il progetto Amato si
adegua. Giustamente si preoccupa di garantire la partecipazione degli enti locali alle
decisioni più importanti della Regione. Mi sembra incontestabile che risponda a pieno al
principio di sussidiarietà la previsione di una duplice garanzia per gli enti locali: che
il procedimento legislativo regionale veda il concorso del "Consiglio delle autonomie
locali" (art. 123), e che le stesse autonomie locali siano coinvolte nel procedimento
di approvazione dello Statuto regionale, in cui il Consiglio trova la sua disciplina
(credo anzi che, per questo secondo profilo, sarebbe opportuno rafforzare il ruolo delle
autonomie, dando a esse più precise funzioni decisionali). Ma se gli enti locali trovano
nel processo di codecisione garanzie effettive ed efficaci contro le tendenze
centralistiche delle Regioni, che senso ha mantenere il ruolo arbitrale e paternalistico
dello Stato? È evidente che esso servirà a perpetuare la pesante ingerenza del
legislatore statale nella disciplina delle materie, fissando competenze, funzioni,
procedimenti, forme di azione amministrativa ecc. Ma è davvero questo che vogliono i
Sindaci, quegli stessi "nuovi" Sindaci che hanno originariamente organizzato il
loro movimento alzando il dito contro i "lacci e lacciuoli" imposti dalla
caotica legislazione statale? O non è piuttosto questo il solito risultato di spinta
centralistica che da sempre perseguono tutte le organizzazioni nazionali di categoria,
anche quando si fregiano del distintivo dellautonomia, come pretendono di fare Anci,
Upi ecc.?
Unaltra apparente rivoluzione è la soppressione del
controllo preventivo sulle leggi regionali: al Governo dovrebbe restare il solo strumento
dellimpugnazione in via successiva, cioè quando la legge regionale è già in
vigore (art. 124.1). Ma, ancora una volta, può funzionare davvero un sistema siffatto?
È a tutti noto che il controllo preventivo ha dato frutti
molto negativi per lautonomia delle Regioni, essendosi rivelato come uno dei fattori
di distorsione dei rapporti con lo Stato: ma la sua soppressione è proprio la cura da
prescrivere? Il progetto Amato, anche in questo seguendo le proposte precedenti della
Bicamerale, simmagina (o presuppone) un modello di regionalismo fortemente ispirato
al "federalismo duale", cioè a un sistema di rigida separazione delle funzioni
del centro da quelle degli enti periferici, entrambi forniti delle stesse armi di reazione
contro eventuali sconfinamenti dellaltro. È un modello ideale, che da tempo non
funziona più efficacemente in nessuna parte del mondo. Per di più, come si è visto, la
ripartizione delle funzioni legislative, al di là dellapparenza, non è affatto
precisa né paritaria, restando in capo allo Stato numerosi canali di interferenza. Ma se
lo Stato è concepito come una figura paternalistica, di tutore dellordinamento in
genere e degli enti locali in particolare, è chiaro che il contenzioso con le Regioni
resterà elevatissimo. La previsione del controllo solo successivo rischia perciò di
trasformarsi in un fattore di forte instabilità dellordinamento, di una sistematica
precarietà delle leggi regionali. Chi sarà il temerario che darà applicazione ad esse
prima che siano trascorsi i sessanta giorni utili allimpugnazione da parte del
Governo?
Qui tocchiamo il vero punto debole del disegno Amato. Esso
muove ancora nella logica, tutta politica, del massimo comune divisore: prende le mosse da
un testo di legge costituzionale su cui in Parlamento si è già verificata la sussistenza
di un vasto consenso politico. È la sua "fattibilità politica" il motivo che
ha indotto il Ministro a riproporre il progetto. Ma qualcuno ha riflettuto sulla sua
"fattibilità" istituzionale, sulla sua possibilità di funzionare, di dare una
soluzione operativa ai noti problemi di funzionalità che ha dimostrato di avere
lattuale assetto delle relazioni centro-periferia? È davvero consapevole la scelta
di un modello "dualista" e competitivo? Ho sempre pensato, e non sono certo
lunico, che il modello dellattuale Costituzione sia fallito perché ritagliato
sul vecchio figurino del federalismo dualista, proprio quando i paesi, in cui quel tipo di
federalismo era sorto, già avevano sviluppato meccanismi assai forti tipici del
federalismo cooperativo. Una Costituzione tutta tesa a separare le sfere di competenza e
garantirne linviolabilità era fallita perché aveva trascurato di disegnare le
forme e le procedure della collaborazione (anche il farraginoso meccanismo del controllo
preventivo sulla legge regionale era, in fondo, un modo per supplire alla deficienza di
più limpide procedure collaborative), e questa si è sviluppata tutta in via di prassi,
legislazione ordinaria e giurisprudenza, in spudorata ma necessaria deroga alle regole
costituzionali. Che senso ha allora riproporre una Costituzione ancora più marcatamente
ancorata a quel modello?
Ciò risulta tanto più paradossale quando si guardi
allaltro versante della riforma, quello dei rapporti tra Regione ed enti locali.
Qui, giustamente, è il modello cooperativo a essere richiamato e tradotto in organi e
procedure: nulla si dice del riparto di funzioni "per materie", ma si rinvia ai
meccanismi procedurali della codecisione il riparto dinamico cioè fissato di volta
in volta, discutendo le singole leggi delle competenze. Perché non si è optato
per lo stesso metodo anche a proposito dei rapporti tra lo Stato e le Regioni? Perché non
era politicamente "fattibile".
Il nodo della riforma del Senato, la forte opposizione
politica (e corporativa) verso la sua trasformazione in una Camera delle autonomie, ha
bloccato ogni sviluppo della riforma del titolo V in direzione del modello cooperativo. Ma
questo è un errore che pregiudica ogni riforma, grande o piccola che sia, compreso il
progetto minimalista del Ministro Amato. Basterebbe uno sforzo di fantasia in più, o
forse un po più di convinzione sulla necessità di una riforma efficace del sistema
delle autonomie. È stato un errore insistere tanto sulla rappresentanza parlamentare
delle autonomie, sulla regionalizzazione della seconda Camera. In fondo, come è noto,
neppure il Bundesrat tedesco è propriamente una "Camera" parlamentare.
Limportante non è potere chiamare "onorevole" il rappresentante delle
Regioni, ma ottenere un risultato preciso e concreto: che nella produzione legislativa
nazionale si crei una differenziazione per cui tutte le leggi (e le altre decisioni) che
toccano le autonomie siano prese con il consenso dei loro rappresentanti, e non possano
poi essere erose dallinfinità di leggi, leggine e collegati alla finanziaria. Ma
questo risultato si può ottenere con modesti ritocchi alle norme costituzionali sul
procedimento legislativo, magari prevedendo un ruolo costituzionale della Conferenza dei
Presidenti delle Regioni o di qualche altro organo rappresentativo, senza dare a esso lo
status di seconda Camera.
Basterebbe questo a innescare il circolo virtuoso del
federalismo cooperativo, a sdrammatizzare il problema di ripartire, una volta per sempre,
le materie per elenchi, a ridurre un contenzioso giurisdizionale che è impressionante.
Piccole virtù, appunto, ma che richiedono la voglia di farle davvero le riforme, piccole
o grandi che siano: pensando alla bontà dei loro effetti operativi, non al gioco politico
cui esse potrebbero servire