Questo
fascicolo della Rivista è dedicato allEuropa. Inizia con uno scritto postumo di
Federico Mancini, un bellissimo canto damore per lEuropa e per la sua
unificazione, la sua integrazione democratica. È una prospettiva forse più lontana nelle
menti degli studiosi di quanto lo sia nella realtà. Perché le menti degli studiosi hanno
radici profonde nella storia e vedono il futuro come prosecuzione coerente, se non
lineare, del passato: la realtà invece è "irregolare" e può sempre
sorprenderci. Già oggi, se dobbiamo definire lEuropa come istituzione, ricorriamo a
figure geometriche che sfuggono alla "regolare" (ossia, artificiale) geometria
euclidea: lEuropa come dimensione frattalica, un fractus che sta in mezzo alle
dimensioni canoniche, le figure storicamente consolidate di organizzazione politica.
LEuropa non è più unorganizzazione internazionale, è molto di più di una
confederazione, non è ancora uno Stato unitario a struttura federale, così come lo
conosciamo perché lo abbiamo ereditato dal passato. Dal passato, appunto.
Molti degli equivoci attorno
allEuropa derivano dal passato e dalle sue "forme". A pensarci, è del
tutto ragionevole aspettarsi che le forme di organizzazione politica del futuro non siano
coerenti con lesperienza storica, che è poi unesperienza tutta calata nella
storia europea di un paio di secoli o poco più. Insomma, la modellistica disponibile è
insufficiente a comprendere la realtà (le brache messe alla storia, nella famosa metafora
di Marx ripresa da Federico Mancini a conclusione del suo scritto). Molte delle critiche
che si fanno alle istituzioni europee (per il resto in molte cose criticabili) derivano
dallincapacità di adattare loro le brache. Si pensi alla questione del deficit
democratico.
Che lEuropa abbia un deficit di
controllo democratico è un punto certo. È assolutamente logico che, sviluppatasi
attraverso gli strumenti internazionalistici dellorganizzazione di Stati, la
Comunità europea abbia rafforzato i poteri degli esecutivi e su di essi si sia basata.
Molto meno scontato è che la risposta debba essere lestensione dei poteri del
Parlamento europeo: certo, questo sarebbe lo schema di sviluppo storico
dellorganizzazione politica europea come labbiamo studiato noi, ma è solo uno
schema, uno schema che punta a riprodurre a livello europeo le sembianze organizzative
dello Stato unitario rappresentativo. Di fronte a una prospettiva di questo tipo, tutti
avvertono lenormità del passo: la trasformazione dellEuropa in una
federazione, così come essa è organizzata nei modelli storici, non può che far sorgere
le perplessità e le opposizioni di chiunque percepisca le differenze culturali e
linguistiche, la mancanza di una "nazione", la diversità delle tradizioni e
degli interessi. Nel frattempo si perde dattenzione laltro aspetto, cioè il
deficit democratico che si sta approfondendo negli stessi Stati nazionali, in cui la
capacità di controllo e di direzione politica dei parlamenti nazionali sugli esecutivi
nazionali è al minimo storico, e mostra la corda proprio sul versante europeo e delle
relazioni internazionali. Non sarebbe proprio attraverso un maggior impegno comunitario
dei parlamenti nazionali che si potrebbe ricuperare parte del deficit democratico
dellEuropa? Non sarebbe un modo, anche, per creare le radici politiche del
parlamento europeo, che attualmente è "rappresentativo" solo perché
"elettivo", ma manca di "presa" nellelettorato, da cui è troppo
lontano?
Meno sentito, forse, ma non meno reale è
il deficit rappresentativo che le istituzioni europee hanno nei confronti delle
collettività locali substatali. Anche qui la risposta è stata di tipo istituzionale, il
Comitato delle Regioni. La ritengo una risposta sbagliata, e non solo per le difficoltà
di organizzare la rappresentanza di una realtà enormemente frastagliata e complessa. È
sbagliata perché la rappresentanza delle collettività è anzitutto un problema interno,
problema che ogni paese sta, in effetti, cercando di risolvere, con strumentazioni diverse
perché diverse sono le situazioni rispettive. È un problema molto sentito in Italia,
perché qui siamo ancora molto lontani dal trovare la soluzione. Essa sembra ormai ruotare
attorno alla Conferenza Stato-Regioni, cioè attorno al ruolo politico che le Regioni, e i
loro Presidenti per esse, riescono a giocare nei confronti del Governo (da questo punto di
vista, ogni passo che si farà verso un rafforzamento della rappresentanza delle
istituzioni regionali, a livello di esecutivi, rischierà però di produrre un passo
indietro nel controllo democratico esercitato dalle istituzioni parlamentari). Se ciò è
vero, diviene fondamentale il rafforzamento "politico" delle Regioni. Le
imminenti elezioni regionali entrano dunque al centro della scena.
Sono probabilmente le elezioni regionali
più importanti dopo quelle del 1970. Allora si trattava di eleggere una nuova classe
politica, capace di dare un volto allistituzione regionale, sia sul piano statutario
che su quello dellorganizzazione. Ora si tratta di eleggere, attorno ad un leader,
una classe politica capace di riformare gli Statuti e di rimodellare lorganizzazione
regionale per adattarla ad una missione che è ancora tutta da inventare. Nel 1970 lo
slogan era la Regione per la programmazione: la realtà ha abbondantemente
deviato dalle promesse e le Regioni hanno edificato apparati burocratici pesanti e, in
molti casi, oppressivi delle autonomie locali. Oggi, dopo le riforme
"Bassanini", sembra che lamministrazione regionale sia destinata a
defluire in periferia e alla Regione venga richiesto soprattutto di svolgere un ruolo
squisitamente politico, di rappresentanza delle collettività locali nelle sedi nazionali
e comunitarie, di interpretazione delle loro vocazioni economiche, di coordinamento dei
fattori dello sviluppo. Il rafforzamento della figura del Presidente della Giunta
regionale si accompagna perfettamente a questo mutato scenario: dovrà spendere
lautorevolezza che gli deriva dallinvestitura democratica diretta per
rafforzare il peso politico della Regione nella negoziazione con il Governo e con la
Commissione. Se ciò accadrà, un piccolo passo avanti sarà compiuto, in fondo, anche
sulla strada della riduzione del deficit democratico che ancora affligge le istituzioni
europee.