Dopo
anni dattesa, finalmente è arrivata la riforma costituzionale che introduce
lelezione diretta del Presidente della giunta regionale, nellimmediato, e
unampia autonomia statutaria delle Regioni ordinarie che sarà esercitabile in un
futuro prossimo. Molti punti oscuri rendono però difficile la prima applicazione di
questa legge costituzionale che, come ormai avviene purtroppo quasi sempre nel drafting
legislativo, appare affrettata e tecnicamente molto lacunosa.
Sono noti i problemi che essa dà sia per
quanto riguarda lapplicazione immediata (la titolarità del potere regolamentare è
già transitata in capo allesecutivo? È già operativa lincompatibilità tra
la carica di consigliere e quella di parlamentare europeo?) sia per le prospettive
immediatamente successive allinsediamento dei nuovi organi, dopo le prossime
elezioni (anzitutto per quel che riguarda la nomina degli assessori "esterni" e
il rapporto tra Presidente della giunta regionale e consiglio, in costanza di norme
statutarie che sono sicuramente in contrasto con lo spirito, se non anche con la lettera,
della riforma).
Il periodo transitorio si preannuncia
quindi piuttosto oscuro e controverso, cosa particolarmente grave, dato che, come è
risaputo, la prima attuazione di una nuova disciplina della "forma di governo"
condiziona sempre fortemente le modalità con cui essa in seguito si consoliderà. Ciò
significa che parte delle scelte che verranno formalizzate nei futuri statuti rischiano di
essere pregiudicate dalle prassi istituzionali che verranno seguite nellimmediato
indomani dellinsediamento dei "nuovi" consigli e del "nuovo"
Presidente. Siccome queste prime prassi istituzionali si svolgeranno senza un quadro
preciso e univoco di regole, il rischio che esse siano dominate da contestazioni e
conflittualità è piuttosto elevato. Certo non sarebbe una buona premessa con cui
inaugurare la nuova "stagione costituente" che si apre per le Regioni.
Lo scenario che mi immagino e pavento è
questo. Il Presidente della giunta regionale, eletto direttamente dai cittadini, formerà
un esecutivo con assessori almeno in parte esterni al consiglio e non riterrà necessario
e forse neppure coerente con il sistema presentarsi in consiglio per
discutere il programma di governo e ottenere un voto favorevole che equivalga alla
fiducia. Avrebbe ragione "se" ragionassimo sulla base del regime transitorio
introdotto con la legge cost. 1/1999; in questo caso, dovremmo infatti ritenere
tacitamente abrogate tutte le disposizioni degli statuti che strutturano i rapporti
consiglio/giunta secondo il modello parlamentare tradizionale. Il nuovo modello, così
vicino a quello in vigore per i Sindaci, è ispirato a princìpi molto diversi, che
prescindono dal rapporto di fiducia e da tutti i meccanismi che regolano, negli statuti
attuali, il suo instaurarsi, il suo svolgersi, il suo concludersi. Ma quali potrebbero
essere le reazioni del consiglio? Le norme statutarie in vigore le conosciamo tutti: esse
fanno del consiglio il perno di ogni attività decisionale della Regione: dalla formazione
delle giunte al potere regolamentare, alle nomine. Per di più, spetta al consiglio
approvare le nuove norme statutarie. È comprensibile, pertanto, che il consiglio
minimizzi leffetto diretto delle norme della riforma costituzionale sulla vecchia
disciplina statutaria, sia perché così manterrebbe integre o quasi le proprie
attribuzioni per tutto il periodo transitorio sia perché così eviterebbe di veder
pregiudicate le scelte statutarie che dovrà compiere. Il "nuovo" Presidente
della giunta regionale rivendicherà contro il consiglio il ruolo che gli riconosce la
riforma costituzionale; il consiglio rivendicherà contro il Presidente la sua funzione
costituente, il potere di scrivere le nuove regole del gioco.
Se la nuova legislatura inizierà con un
conflitto tra esecutivo che rivendica a sé i poteri che gli competono in un sistema più
o meno presidenziale, quale emerge dal regime transitorio, e una assemblea che si arrocca
in difesa delle sue prerogative statutarie, è forte il rischio che la riforma degli
statuti non avvenga mai oppure, e forse sarebbe anche peggio, che si realizzi attraverso
uno di quei tipici compromessi politici di cui è piena la storia istituzionale italiana,
che lascerebbe tutti i problemi irrisolti e tutte le ambiguità indefinite. Sarebbe una
vera iattura. Avremmo allora uno statuto con lunghe, ricche e vaghe norme programmatiche,
dalla sussidiarietà alla pace, ma che mancherebbe il suo obiettivo fondamentale:
assicurare regole chiare e univoche circa i ruoli, le procedure e le competenze. Sicché,
alla fine, ci ritroveremmo con un sistema di governo ibrido, in cui il Presidente della
giunta regionale non riesce ad esercitare in pieno i poteri e le responsabilità adeguati
alla sua forte legittimazione elettorale. La riforma sarebbe così fallita.
La riforma costituzionale appena introdotta
è figlia della stessa filosofia che ha portato qualche anno fa alla riforma
dellelezione dei Sindaci. È una filosofia che ha un senso preciso, rivolta
comè ad assicurare una certa forza agli esecutivi, offrendo agli elettori la
possibilità di sceglierne il capo e concentrando su di lui le responsabilità di governo:
sono cose a tutti note. A livello comunale ciò ha comportato che venissero
sistematicamente introdotte una serie di modifiche dirette ad adattare linsieme dei
poteri e delle competenze al nuovo ruolo del Sindaco: dalla riduzione dei controlli, alla
riscrittura dei rapporti tra Sindaco, segretario comunale e dirigenza amministrativa, allo
spostamento del potere regolamentare e di organizzazione amministrativa in capo
allesecutivo, il quadro si è fatto progressivamente coerente. Questa disciplina non
è però stata il frutto di autonomia statutaria del Comune, ma di una legislazione
proveniente dallo Stato: il consiglio comunale è stato lattonito spettatore di una
progressiva espropriazione delle sue attribuzioni ed oggi è evidente la sua forte crisi
di identità.
A livello regionale, invece, la riforma
dovrebbe vedere protagonisti proprio i consigli regionali: chi può immaginare che essi
avranno tanta generosità da elargire le loro attribuzioni? Dovremo assistere, come è
capitato con i Sindaci, al pellegrinaggio a Roma dei "nuovi" Presidenti, per
chiedere al Governo di intervenire dautorità completando dal centro, tassello dopo
tassello, il quadro istituzionale regionale, in sostituzione dei consigli regionali inerti
o recalcitranti? Non sarebbe certo un esempio di autonomia o un bel modo per iniziare la
nuova stagione dellautonomia regionale.
Come se ne esce? Lunica via
duscita è fare ciò che a livello comunale non si è fatto: reinventare il ruolo
del consiglio regionale. La nostra storia costituzionale non ci fornisce alcun aiuto,
perché è sempre stata ispirata, al centro come in periferia, dal regime parlamentare. Le
assemblee elettive parlamentari, regionali, provinciali e comunali, hanno funzionato
sempre secondo lo stesso schema; i regolamenti delle Camere, infatti, sono stati ricalcati
innumerevoli volte e oggi disciplinano, con poche varianti, il funzionamento di tutte le
assemblee. Ma questo modello non è affatto adeguato al ruolo dei consigli in un sistema
come quello comunale o quello regionale del dopo-riforma.
Un esempio può bastare ad indicare quanto
la situazione sia cambiata: riguarda il potere regolamentare. È noto che il vecchio testo
costituzionale prevedeva che anche i regolamenti, oltre alle leggi, dovessero essere
approvati dal consiglio. Era unanomalia assoluta, la prova di una forte
sovrapposizione dei consigli sulle giunte: il risultato è stato che si sono prodotti
pochissimi regolamenti e moltissime leggi, mentre le giunte regionali hanno cercato in
tutti i modi di occupare lo spazio regolamentare in forme improprie e spesso abusive.
Abrogato il vecchio testo, senza alcuna norma transitoria, è convincente ritenere che si
espanda il principio generale per cui i regolamenti siano ormai di competenza
dellesecutivo (ma esattamente di chi: del Presidente della giunta regionale o della
giunta, formata in tutto o in parte da soggetti non eletti e neppure "fiduciati"
dal consiglio?). Ma come si ripartiscono i compiti tra legge e regolamento? Se non ci
fosse una ripartizione, che spetterebbe allo statuto tracciare e garantire (e, quindi,
ancora una volta, al consiglio regionale deliberare), avremmo il massimo grado di
confusione e una perenne concorrenza nella produzione normativa tra lesecutivo e il
legislativo: il primo cercherebbe di attuare direttamente con regolamento le leggi
statali, le direttive comunitarie, ecc., il secondo cercherebbe di sovrapporre la
"sua" legge alla disciplina regolamentare.
Introdurre una ripartizione di competenze
significa però far fare un passo indietro alla potestà legislativa consiliare, la quale
non potrebbe invadere le sfere di competenze lasciate (ancora dallo statuto) al
regolamento dellesecutivo. È probabile che questo porti il consiglio a perdere di
vista tutta una serie di questioni attinenti al funzionamento dellamministrazione,
alla disciplina dei procedimenti, alla gestione dei piani e dei servizi. Dove finisce il
fondamentale ruolo che svolge il consiglio nel controllo politico dellesecutivo? Il
consiglio, che perde una porzione significativa del suo potere legislativo, deve
esercitare quello che gli resta con strumenti fortemente potenziati per non soccombere. Lo
stesso distacco politico dellesecutivo dellassemblea, con leliminazione
del rapporto di fiducia, esalta la "dualità" degli organi: non certo nel senso
che essi si atteggino come protagonisti di un conflitto permanente, ma almeno nel senso
che il consiglio non debba più dipendere dai dati forniti dallesecutivo e dalla sua
iniziativa.
Insomma, i consigli regionali sono chiamati
ad una revisione delle modalità di esercizio delle loro attribuzioni che dovrà essere
radicale: poche leggi, nessuna compartecipazione nelle scelte organizzative e gestionali,
ma unattività di controllo e di impulso sistematica. Un cambiamento di mentalità e
di procedure assai più radicale di quello a cui andranno incontro gli esecutivi
regionali. Non è affatto detto che ciò comporti una riduzione del ruolo politico dei
consigli (cè qualcuno che può dubitare del ruolo politico del Senato americano,
per fare lesempio più evidente di cosa sia unassemblea efficiente in un
sistema presidenziale?), ma questo ruolo va ridisegnato rompendo la continuità con il
passato. E va ripensato a partire dal quadro dei rapporti tra maggioranza e minoranza, in
modo da evitare che le funzioni di controllo politico, di indagine sulla azione regionale,
di ispezione nellamministrazione, di verifica dei risultati siano ridotte a
procedure puramente rituali. Lo statuto e il regolamento interno dovranno essere riscritti
integralmente, rompendo consapevolmente con lesperienza passata.
Si ritorna così al punto di partenza: per riscrivere la
forma di governo regionale secondo un modello coerente e bilanciato bisogna rompere la
continuità con il passato e aprire la stagione statutaria con la consapevolezza che il
compito non può essere affrontato né muovendo dalla difesa di ogni prerogativa
consiliare precedente né affrontando il periodo transitorio con la protervia di chi pensa
che sia già tutto scritto nella legge costituzionale e non ci sia nulla da trattare. Il
periodo transitorio è estremamente delicato: richiede accordo sulle procedure per
giungere alla sistemazione definitiva e sullesigenza che questa sistemazione sia
chiara e rispettosa dei ruoli. E richiede consapevolezza su questo: che lo statuto deve
contenere magari poche norme, ma tutte quelle necessarie a prevenire futuri conflitti in
ordine alla distribuzione delle competenze. Il fallimento degli statuti sarebbe il
fallimento della riforma costituzionale: nessuno, nella Regione, ne trarrebbe vantaggio