Editoriale/ Roberto Bin
Sotto la legge niente
Presto saranno due anni che la legge
59/1997, la ben nota "Bassanini I", è in vigore. Nell'intricato mare della
legislazione italiana essa ha provocato un'onda sismica di grande portata. Ha prodotto
decine di decreti delegati, alcuni dei quali avrebbero dovuto avviare il "federalismo
amministrativo", ossia disporre un forte e decisivo decentramento delle funzioni
pubbliche "a costituzione vigente", in attesa delle riforme costituzionali.
I decreti delegati hanno imposto alle
Regioni di rompere ogni indugio e riversare agli enti locali le funzioni ricevute dallo
Stato. Così le Regioni si sono ritrovate anch'esse percorse dall'onda. Hanno cercato di
agire nei termini strettissimi imposti dalla legge 59, venendo a capo di complicate
concertazioni con gli enti locali e con i rappresentanti delle forze sociali, nonché
delle estenuanti procedure deliberative delle giunte e dei consigli regionali. Ma come
fare? Perché le difficoltà sono state tante, a partire dall'interpretazione dei
"conferimenti" assai spesso disposti dai decreti attraverso formule evanescenti,
volutamente ambigue e imprecise: perché anche i decreti delegati sono passati per un
travagliato procedimento decisionale, infiltrato da fortissime pressioni politiche e
ancora più energiche intromissioni corporative. Per cui nei sei mesi assegnati dalla
legge 59 si doveva venire a capo dell'interpretazione del decreto delegato, predisporre
una prima bozza di legge di conferimento impegnando a fondo pressoché tutte le strutture
amministrative regionali, affrontare la concertazione con enti locali e forze sociali,
raggiungere un consenso tra le forze politiche di maggioranza per far passare il progetto
in giunta, per poi, finalmente, affrontare l'incontrollabile procedimento consiliare,
prima nelle commissioni e poi in aula.
Questo fascicolo è dedicato appunto
allo sforzo progettuale delle Regioni: uno sforzo per nulla disprezzabile. Alcune hanno
scelto da subito la strada dell'adempimento formale: una legge "minimalista" di
definizione dei princìpi guida per una ripartizione generica di funzioni a questo o quel
livello del governo locale. Altre hanno ripiegato su questa soluzione dopo aver cercato di
introdurre contenuti innovativi nelle loro leggi, scontrandosi però con veti politici o
corporativi ogni qual volta la legge avvicinava i nodi cruciali o sfiorava gli interessi
costituiti. Ma alcune stanno riuscendo a fare qualcosa di più, ma in grande fretta, per
non incorrere nella sanzione paventata dalla "Bassanini": quella forma originale
(e di assai dubbia legittimità) di "sostituzione legislativa", per cui il
Governo, sempre con decreto delegato, deve surrogarsi al legislatore regionale inerte,
conferendo agli enti locali le funzioni non ritenute di esclusivo interesse regionale.
Puntualmente infatti il Governo, a seguito dei primi decreti delegati di trasferimento, ha
emanato il decreto sostitutivo: puntualmente arriverà anche il decreto sostitutivo per le
molte Regioni che non avranno attuato il decreto 112.
Eppure tutto ciò ha prodotto sinora
poco o niente. L'onda legislativa ha fatto molta impressione in superficie, ma non ha
smosso i limacciosi fondali dell'amministrazione. L'attuazione della "Bassanini
I" ha introdotto importanti innovazioni nella disciplina di alcuni settori (il
commercio, il sostegno alle imprese, la dirigenza pubblica, per esempio), ma quanto al
trasferimento delle funzioni è prevalsa la tecnica del rinvio. Rinvio non solo dei
termini, sistematicamente prorogati, ma rinvio delle stesse decisioni che si dovevano
assumere con i decreti delegati, cioè l'assegnazione delle risorse umane e finanziarie,
il trasferimento degli uffici e la riduzione "fisica" degli apparati burocratici
dei ministeri. E siccome queste decisioni condizionano l'operatività del trasferimento,
questo è rimasto sulla carta: un trasferimento "in astratto", di funzioni
individuate senza un riscontro concreto, destinato ad operare se e quando verranno
individuate le risorse con i successivi atti amministrativi.
Nel frattempo? Nel frattempo è
cambiato il Governo, e questo senza voler dubitare della permanente volontà riformatrice
della nuova compagine - ha tagliato il rapporto di continuità storica, cioè di
responsabilità politica, tra chi ha iniziato il progetto e chi lo condurrà in porto. Nel
frattempo le burocrazie ministeriali avranno tutto il tempo di riorganizzarsi, di spezzare
il quadro unitario della riforma (molto abilmente perseguito e difeso dal ministro
Bassanini), di polverizzarne l'attuazione modellandola lungo le suddivisioni inter- e
infraministeriali, di far quadrato a difesa di ogni più minuta risorsa. Nel frattempo le
Regioni possono fare poco o nulla per iniziare ad attuare il quadro legislativo che sono
state costrette a tracciare. Anche la sperimentazione è resa impossibile mancando le
risorse, le strutture, il personale: chi potrebbe pensare che sia opportuno partire
istituendo uffici e destinando personale quando uffici e personale ci sono già, magari
nelle strutture periferiche dello Stato, e aspettano solo di essere trasferiti?
Che fare dunque nel frattempo? Non
resta che l'appello corale al Governo perché dia seguito alle promesse legislative. Certo
non è la luce del federalismo amministrativo, anticipatore della riforma dello Stato, ma
qualcosa che ricorda il buio del tradizionale regionalismo delle lamentele e delle
rivendicazioni. Ma almeno alla "Bassanini I" va riconosciuto questo merito,
questo risultato concreto e immediato: di aver istituito, nelle Conferenze Stato - Regioni
e Stato - città ed autonomie locali, due sedi in cui le ragioni del sistema delle
autonomie possono emergere con una maggior dignità istituzionale che nel passato. Nella
capacità di stimolazione e di contrattazione delle Regioni e dei Comuni stanno le
speranze che la "Bassanini" non passi come un'onda di superficie.