Numerose
generazioni lhanno attesa inutilmente, ma ora la svolta epocale sta per compiersi.
Il sistema scolastico italiano è sottoposto ad un processo di riforma che lo percorrerà
per tutta la sua lunghezza, dalla scuola materna alluniversità e alla formazione
post-lauream. Se i frequenti sommovimenti tellurici che sconquassano di continuo la
politica italiana non bloccheranno improvvisamente questo processo, lintero panorama
dellistruzione italiana ne risulterà mutato.
Eppure questa evidente rottura
nellordinato succedersi delle generazioni la scuola dei nostri figli sarà
fortemente diversa da quella nostra e dei nostri genitori non è oggetto di un vero
dibattito pubblico. Tutta lattenzione è infatti attratta da un unico problema
dellorganizzazione scolastica, il nodo del sostegno pubblico alla scuola privata.
Certo non è un nodo da poco. In quasi tutti i paesi europei, leducazione pubblica
si è lentamente e a fatica affrancata dallegemonia delleducazione religiosa
attraverso una lotta politica spesso assai dura. Ma in Italia questo distacco non si è
mai integralmente compiuto. Il regime "concordatario", che da noi si è scelto
come regola dei rapporti tra stato e chiesa, ha mantenuto un rapporto
"consociativo" che ha perpetuato una posizione di privilegio della chiesa
cattolica, rispetto agli altri culti, nellorganizzazione degli studi: non solo
attraverso la compresenza di istituti religiosi di istruzione, accanto a quelli pubblici,
in tutto larco degli studi, università compresa, ma anche attraverso la presenza
dellinsegnamento religioso, retribuito dallo Stato, e dei simboli della religione
cattolica negli istituti di istruzione laica.
In questa situazione è comprensibile che
il divieto di finanziamento pubblico della scuola privata, che la parte laica legge (e non
senza fondamento) nellart. 33.3 Cost., sia divenuto una vera e propria bandiera,
sotto cui si riuniscono tutti coloro che hanno a cuore i valori della scuola come servizio
pubblico laico e pluralista. Tanto più che, essendo le risorse pubbliche limitate (per
non dire carenti), è chiaro che tutto ciò che va verso listruzione privata è
tolto allistruzione pubblica: il cui stato di difficoltà (e, in certe situazioni,
di disfacimento) è poi assunto da parte cattolica come un fattore concorrenziale che
promuove lofferta educativa privata. Daltra parte (cioè, da parte cattolica),
lattuale situazione politica (un governo diretto dalla sinistra, cui i voti del
centro cattolico sono indispensabili) appare perfetta per avanzare una richiesta precisa
di superamento o di aggiramento del divieto costituzionale, dando ossigeno ad un sistema
educativo, quello privato, che a fatica si può reggere sul solo apporto delle rette. Ma
questo proclamato interesse di parte cattolica, e soprattutto della Chiesa ufficiale, di
mantenere vivo il sistema delle scuole confessionali, rafforza il sospetto dei laici che
la Chiesa voglia usare i danari pubblici per catechizzare le nuove generazioni.
È evidente che da un intreccio così
stretto non se ne esce facilmente, e lazione innovativa del governo sul piano
scolastico rischia di restarne soffocata. Da qui il tentativo ripetuto dei governi
nazionale e regionali governo (dei governi, perché anche quelli regionali vi si trovano
impegnati) di trovare escamotage continui che consentano di venire incontro alle richieste
di parte cattolica senza infrangere il divieto sotto cui si serrano le file laiche.
Governi di sinistra che sinventano espedienti di sostegno pubblico nelle spese
sostenute dalle famiglie che optano per le scuole private che ricordano l
educational voucher di thatcheriana memoria (si veda il saggio di Torre); oppure che
parificano gli oneri previdenziali di categorie, quali gli insegnanti "pubblici"
e quelli "privati", che nulla hanno da spartire in comune quanto a modalità di
assunzione, livello di retribuzione, status giuridico e garanzie di libertà
dinsegnamento (se non addirittura di tutela della dignità personale).
Sono soluzioni inevitabilmente pessime,
perché non risolvono il nodo di fondo: cosa sia la scuola privata nel nostro sistema. E
questo nodo di fondo non lo si può sciogliere sinché la discussione si svolge a colpi di
accuse e di argomentazioni speciose, senza il tentativo di iniziare a distinguere e a
capire dove le opinioni sono davvero irriducibili. Per esempio, sbaglia la parte laica a
guardare allistruzione privata come a un sistema indifferenziato: che cosa ha da
spartire la scuola confessionale con le scuole professionali organizzate da soggetti
economici? Ma nello stesso errore cadono coloro di parte cattolica che si mascherano
dietro alla scuola privata "laica" per chiedere il finanziamento pubblico della
scuola confessionale.
Di questo nodo non se ne viene a capo né
con divieti generalizzati, né con aperture incondizionate: i primi sarebbero
irragionevoli, perché lo stato davvero deprecabile della formazione professionale in
Italia (causa prima della disoccupazione giovanile) dipende anche da questo, da non aver
incentivato un maggior coinvolgimento delle forze produttive nella formazione; le seconde
sarebbero inaccettabili e certamente contrarie a costituzione. Deve essere chiaro che la
scuola "pubblica", ancorché gestita da privati (anche religiosi), è cosa del
tutto diversa dalla scuola confessionale. A questultima sono consentiti privilegi
che la scuola pubblica certo non ha, e sono privilegi che portano persino
allattenuazione delle garanzie costituzionali dei diritti fondamentali. È chiaro
infatti che la scuola "di tendenza", sia essa un istituto cattolico, una
yeshivah talmudica o una scuola coranica, per la loro stessa sussistenza, hanno bisogno di
personale docente che risponda esemplarmente ai dettami della fede, e possono trovarsi
nella necessità di selezionare anche gli studenti e le loro famiglie. Ad esse va
assicurata la massima libertà e autonomia, ma è quantomeno discutibile che vada concesso
anche il finanziamento pubblico.
Da laico, a me sembra che il finanziamento
pubblico debba essere riservato al sostegno del servizio pubblico: ma il servizio pubblico
è caratterizzato dalle regole, non dal gestore. Nulla di strano se il servizio pubblico
scolastico fosse gestito da un soggetto privato, anche a vocazione religiosa: purché esso
resti un servizio pubblico, ispirato a quei princìpi di laicità e pluralismo che sono
imposti dalla costituzione. Il che significa nessuna concessione alla catechesi (che non
si deve fare con il soldo pubblico), nessuna al personale docente licenziabile ad nutum
per volontà del vescovo, nessuna discriminazione per laccesso. Sta poi al soggetto
privato decidere se ha interesse a gestire, a queste condizioni, il servizio pubblico: se
la sua motivazione è educativa o confessionale. Ma la sua scelta deve avvenire
nellàmbito di regole chiare e precise, ed anche con chiari e precisi ausili e
persino incentivi, perché la pluralità di gestori è a sua volta garanzia di pluralismo
Di queste regole dovremmo incominciare a discutere. Questo
fascicolo intende essere un primo contributo alla discussione, offrendo un panorama delle
esperienze maturate dai principali partner europei. Poi la Rivista organizzerà una tavola
rotonda su questi temi, promovendo una riflessione sui materiali qui prodotti: i
contributi alla tavola rotonda verranno pubblicati in uno dei prossimi fascicoli. Ma
siccome la direzione di questa Rivista sente molto limportanza dellargomento,
lapriremo volentieri a tutti i contributi che ci verranno in futuro,
legislativa degli ultimi anni. E forse la sussidiarietà
"orizzontale" (quella che riguarda il riparto dei compiti tra il pubblico e il
privato) è emersa come unidea anche più aggressiva e innovativa della più
tradizionale sussidiarietà "verticale" (quella che dovrebbe ispirare il riparto
dei compiti tra i diversi livelli del pubblico potere).
Che la sussidiarietà sia divenuta uno slogan ripetuto
allinfinito, argomento di convegni e seminari, criterio dispirazione del
legislatore o norma di principio della stessa legislazione positiva non ha però affatto
diminuito lelevato tasso di equivocità, di imprecisione e di ambivalenza che
lha caratterizzata da sempre. Ed anche ciò vale per la sussidiarietà
"orizzontale" ancora di più che per quella "verticale". Non potrebbe
essere diversamente, perché la sussidiarietà orizzontale si porta dietro tutte le
implicazioni e gli equivoci che intorbidano il discorso attorno ai rapporti tra pubblico e
privato, nei diversi contesti in cui esso si sviluppa: il mercato, la televisione,
lassistenza pubblica, la scuola
Il problema è costituito anzitutto dai soggetti. Non è
difficile individuare i soggetti protagonisti della sussidiarietà "verticale":
lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni si sono fronteggiati in lunghe trattative per
farsi riconoscere, funzione per funzione, compito per compito, il ruolo di ente
principale, titolare "naturale" (perché più vicino ai cittadini, ma di scala
sufficiente per assicurare lefficienza) della funzione o del compito in questione.
Si è posto semmai il problema delladeguatezza dellente (troppe e troppo
piccole le Regioni, troppi e troppo polverizzati i Comuni, ecc.): questo ha schiuso
qualche spiraglio al profilarsi di soggetti nuovi, quali le Città metropolitane, oppure a
una legislazione capace di differenziare i ruoli allinterno della medesima classe di
enti, in modo da riservare lesercizio delle funzioni principali solo a quelli di
essi che garantiscano una dimensione efficiente e spingere gli altri ad associarsi o
fondersi. Sono gli obiettivi che hanno ispirato le leggi e i decreti Bassanini e che
dovrebbero essere implementati dalla legislazione regionale. Ma quali sono i soggetti
della sussidiarietà "orizzontale"? Qui il problema si fa davvero arduo, perché
se i soggetti pubblici possono apparire inadeguati, dove sono i soggetti privati, quali
garanzie di efficienza sono in grado di offrire, in che misura assicurano il perseguimento
dellinteresse generale?
Il difficile dibattito sulla parità della scuola privata
rispetto alla pubblica è solo la più recente delle occasioni in cui è apparsa la
complessità del problema. Ancora più della sussidiarietà "verticale", quella
"orizzontale" appare con nettezza costituire nulla più che un indirizzo di
politica legislativa di larghissima massima, ben lontano ancora dal tradursi in norme
operative; e per di più è qualcosa di sostanzialmente estraneo rispetto alla
legislazione che dà (o dovrebbe dare) corpo alla sussidiarietà "verticale".
Questultima si può realizzare con una serie di provvedimenti di trasferimento delle
funzioni dal centro verso la periferia, dalle Regioni verso gli enti locali. Ma sono
sempre le stesse "funzioni pubbliche" quelle che migrano da un livello
allaltro, mentre la sussidiarietà "orizzontale" è proprio della
quantità e della qualità di quelle funzioni che si dovrebbe occupare, nel senso che di
esse vorrebbe operare una drastica riduzione. Ma è una riduzione che non può essere
operata dai decreti di attuazione della Bassanini, né dalle conseguenti leggi regionali
di trasferimento agli enti locali.
Dovranno essere le leggi di settore a dare senso a uno
slogan che tale ancora è rimasto e tale, probabilmente, ancora a lungo resterà. Perché
è necessario immaginarsi in che modo verranno assicurati i princìpi e soddisfatte le
esigenze che sino ad oggi hanno giustificato la permanenza in campo alle amministrazioni
pubbliche delle funzioni che si vorrebbero lasciare ai soggetti privati. Già, appunto, ma
a quali soggetti privati?
In certi casi lindividuazione dei soggetti privati
non presenta difficoltà insormontabili. Per le prestazioni sanitarie e per
lassistenza sociale il processo di immissione dei soggetti privati
nellorganizzazione dei servizi è già avanzato. Nella scuola siamo ancora in mare
aperto, perché qui vi è qualche complicazione in più. Nessuno ospedale è concepito
come "organizzazione di tendenza", tale da qualificare il proprio servizio in
termini di confessione o di ideologia: le strutture private operano secondo standard,
princìpi ed etiche non diversi da quelli delle strutture pubbliche. Non è difficile,
perciò, immaginarsi che il servizio pubblico abbia un gestore privato accanto a quello
pubblico, così come accade nella televisione o nelle telecomunicazioni.
È probabile che anche nella scuola sia possibile procedere
nella stessa ottica, ma solo ad alcune condizioni. Forse si potrebbe prospettare un
"servizio educativo pubblico" gestito da soggetti diversi, alcuni pubblici (e
non necessariamente statali), altri privati: purché vi fossero regole comuni precise che
disciplinano il modo in cui deve svolgersi il servizio pubblico, sia esso offerto dalle
scuole pubbliche o dalle scuole private. Si dovrebbe garantire la libertà di accesso di
tutti al servizio, senza preclusioni "di tendenza", la laicità
dellinsegnamento (compresa lassenza di simboli e di insegnamenti a carattere
religioso), il pluralismo dei docenti, che dovrebbero essere insindacabili nelle loro
scelte personali (mentre oggi, nelle scuole di tendenza, sono cacciabili ad nutum per ogni
infrazione alla confessione), e così via.
Forse la gestione di un servizio pubblico così impostato
non interesserebbe alcune delle attuali scuole confessionali, che sarebbero libere di
proseguire la loro attività totalmente immerse "nel privato" (ossia, senza
oneri per lo Stato), ma potrebbe sicuramente interessare altre scuole private, che non
hanno lindottrinamento come loro unico o principale obiettivo. Anche qui, in fondo,
sarebbe un problema di scelta dei soggetti.
Un problema assai preciso di scelta dei soggetti si pone
anche nel settore delle attività produttive. Qui ci troviamo di fronte anzitutto la
questione delle Camere di commercio, che sono trasversali rispetto agli assi orizzontale e
verticale della sussidiarietà: sono "pubblico" in quanto natura dellente,
e sono "privato" in quanto a struttura rappresentativa; sono ancora
"pubblico" per la natura delle funzioni amministrative loro assegnate dalla
legge, e di nuovo "privato" per la pretesa di rappresentare gli interessi del
mondo dellimpresa, ponendosi in oggettiva concorrenza con le associazioni
imprenditoriali. La legge 580/1993 le ha sottoposte a una drastica riforma, ma, lasciando
aperto il disegno della loro riorganizzazione, ha rinviato allautonomia statutaria.
La legge 59 e il decreto legislativo 112 ne hanno fatte salve le attribuzioni, ma non sono
riusciti a delinearne meglio il ruolo. Le leggi regionali di riordino delle funzioni si
muovono in direzioni divergenti: talvolta vi fanno menzione per mero adempimento formale
delle previsioni del decreto Bassanini, in altri casi sembrano intenzionate a farne il
pilastro dellintervento regionale nei settori produttivi.
Proprio dalle Camere di commercio la Rivista intende
iniziare un processo di riflessione sui soggetti e le forme della sussidiarietà
"orizzontale". In questo fascicolo pubblichiamo una ricerca originale di Massimo
Ferrante sulle Camere di commercio dopo la riforma del 1993, ricerca che offre spunti
assai interessanti circa il ruolo delle Camere e la loro capacità di rappresentare gli
interessi imprenditoriali. Labbiamo sottoposta allattenzione critica di Piero
Bassetti, per sollecitare il commento di chi ha per tanto tempo vissuto al massimo livello
lesperienza camerale e il processo di riforma. Il commento non si è fatto attendere
e, come il Lettore avrà modo di rilevare, non ha affatto deluso le aspettative.