Il processo avviato con
lemanazione della legge 59/1997 costituisce senza dubbio un passo importante per la
riforma dellamministrazione pubblica italiana. Tale processo potrebbe ridisegnare in
maniera significativa larticolazione dei poteri tra le istituzioni di Governo e,
soprattutto, il concreto svolgimento di alcune cruciali politiche pubbliche. A venti anni
dal decreto 616 esso riapre una prospettiva dal respiro non troppo corto per ampliare gli
spazi di autonomia dei sistemi regionali.
Come è noto, in
questi venti anni i primi entusiasmi per la c.d. "seconda regionalizzazione"
sono stati rapidamente spenti da una sua interpretazione centralistica tanto al livello
statale che, talvolta, al livello delle stesse Regioni. Almeno a partire dallinizio
degli anni ottanta è divenuto evidente che le rapide trasformazioni dellambiente
economico internazionale e la crescente differenziazione (in positivo ed in negativo) dei
sistemi sociali regionali rendevano necessario un radicale ripensamento delle modalità
operative della pubblica amministrazione ed una nuova articolazione dei poteri tra
"centro" e "periferie".
Nel corso degli anni
ottanta e della prima metà degli anni novanta sono inoltre profondamente cambiate la
cultura e le aspettative dei cittadini nei confronti della politica e, prima ancora, nei
confronti della amministrazione della cosa pubblica. Nello stesso periodo a tale
cambiamento culturale in vari paesi europei hanno fatto seguito riforme particolarmente
incisive, alcune delle quali, anche in paesi con uno stato tradizionalmente accentratore,
hanno spostato verso le autorità regionali e locali competenze e poteri. Per rispondere a
questa sfida lItalia ha dovuto invece attendere la crisi del suo precedente sistema
partitico, la minaccia di movimenti di protesta localistici e che la pressione della
convergenza comunitaria facesse sentire il suo morso.
Lurgenza
dettata dalle nuove condizioni politiche (interne ed internazionali) ha comunque
finalmente creato una finestra di opportunità per avviare una prima significativa
innovazione istituzionale. Non può sfuggire peraltro che tale innovazione prende corpo in
un momento in cui, rispetto alla "seconda regionalizzazione", e probabilmente
anche tra coloro che furono protagonisti di quella esperienza, si è verificato un
cambiamento nella concezione del ruolo delle istituzioni pubbliche, della loro
organizzazione, del rapporto e dellidea stessa di "pubblico" e
"privato", di "stato" e "mercato", di una radicalità
inimmaginabile. Tanto basta a comprendere quanto sia necessario oggi cogliere questa
occasione per introdurre il massimo di discontinuità possibile. Il decentramento non può
essere in nessun modo disgiunto da una incisiva semplificazione dei procedimenti
amministrativi, da un complessivo snellimento degli apparati pubblici, dallapertura
a forme di concorrenza nella gestione dei servizi pubblici locali.
Lattuazione
della legge 59/1997 mette dunque, a questo punto, sia lo Stato centrale sia le istituzioni
territoriali di fronte ad una prova della verità. Lamministrazione dello Stato,
centrale e periferica, è chiamata a dimostrare la volontà di liberarsi di compiti
impropri, di alleggerire i propri apparati, di demandare ampie funzioni
allautogoverno dei sistemi regionali. Le istituzioni territoriali (regioni ed enti
locali) devono a loro volta dimostrare concretamente che spostare poteri e funzioni dal
centro alla periferia serve a dare ai cittadini servizi più efficienti, serve, in altri
termini, a governare meglio. Ciò richiede di avviare una profonda trasformazione delle
stesse istituzioni territoriali. La riforma federalista in sostanza non consiste in un
puro e semplice trasferimento di poteri dal centro alla periferia, ma in un contestuale
cambiamento sia delle istituzioni centrali che di quelle periferiche.
Non si può
sottovalutare tuttavia il fatto che il "federalismo amministrativo a costituzione
invariata" aveva, nelle intenzioni delle stesse autorità di Governo che lo hanno
promosso, ed ha, nella logica che governa le istituzioni, uno strettissimo legame con la
prospettiva di una incisiva revisione dellassetto costituzionale.
Il decentramento
amministrativo avrebbe dovuto infatti anticipare il profilo di una più profonda
trasformazione dellassetto istituzionale dello Stato e del resto in una tale
trasformazione non può che trovare il suo naturale esito. Privo della prospettiva di un
complessivo riassetto dei poteri e delle responsabilità di governo, dei processi di
rappresentanza tra centro e periferia e dellordinamento fiscale, il decentramento
amministrativo potrebbe provocare una crescita, piuttosto che una diminuzione, del grado
di burocratizzazione del sistema-paese. Privato di quella prospettiva, inoltre, il
processo di decentramento rischia di rimanere insabbiato tra rinvii e disapplicazioni di
fatto.
Non si può quindi
non esprimere la più viva preoccupazione per lesito del confronto parlamentare
intorno alle riforme costituzionali.
Tale esito non solo
lascia insoddisfatta ancora una volta lesigenza di un complessivo rinnovamento
dellassetto istituzionale del nostro paese che la società italiana ha ripetutamente
dato prova di auspicare, ma rischia di produrre seri problemi e contraddizioni insanabili
nella prosecuzione delle politiche di decentramento e di riforma amministrativa nelle
quali oggi le Regioni e gli enti locali stanno investendo con convinzione tutte le loro
energie. Questo scenario risulta peraltro ancor più ingiustificabile se si considera che
nel merito delle proposte di riforma costituzionale riferite alla revisione della forma di
stato, anche grazie alliniziativa delle Regioni e degli enti locali, si è
registrato un largo accordo tra le forze politiche, mentre i motivi di conflitto che hanno
interrotto il cammino delle riforme hanno riguardato essenzialmente i temi della forma di
governo e della giustizia.
Non si può
sottacere inoltre che, nonostante i miglioramenti introdotti a seguito delle proposte
emendative formulate da Regioni, Comuni e Province, gli stessi decreti emanati dal Governo
in attuazione della legge n. 59 del 1997, quelli in materia di agricoltura, servizi per
limpiego, trasporto pubblico locale, commercio, così come il decreto legislativo 31
marzo 1998, n 112, contengono luci ed ombre. In alcuni settori si compie un passo in
avanti verso il decentramento o quanto meno verso la compiuta attuazione dei principi
regionalisti e autonomisti sanciti dalla Costituzione del 1948, mentre in altri settori si
registrano scarsi progressi, quando non rischi di arretramento.
Le misure di
riordino, soppressione o trasferimento di organismi delle amministrazioni statali (corpo
forestale dello Stato, vigili del fuoco, provveditorati alle opere pubbliche, Anas,
autorità competenti in materia di acque, ecc.) vengono in generale rinviate a
provvedimenti futuri, il che lascia irrisolto il problema delle strutture attraverso cui
gli enti territoriali potranno gestire le nuove funzioni.
Del tutto aperta
rimane inoltre la questione finanziaria. Lo schema adottato al riguardo dai decreti
legislativi prevede infatti che solo con successivi decreti del Presidente del Consiglio
dei Ministri vengano individuate le risorse finanziarie da trasferire a regioni ed enti
locali in relazione alle nuove funzioni conferite nei diversi settori dellintervento
pubblico.
Per quanti
accorgimenti formali siano stati adottati rimane dunque evidente il rischio che attraverso
il decentramento delle funzioni gli enti territoriali siano gravati di oneri aggiuntivi a
cui non corrisponda una adeguata dotazione di risorse. In altri termini non siamo in grado
di escludere che il decentramento amministrativo finisca per produrre un trasferimento
verso le Regioni e gli enti locali delle contraddizioni e degli squilibri della finanza
statale. In secondo luogo è evidente il rischio che, procedendo attraverso la tecnica del
conferimento di singoli capitoli del bilancio statale per i diversi settori, gli enti
territoriali si vedano ancora più vincolati e irrigiditi nellesercizio delle
politiche di bilancio. Per tali motivi Regioni, Comuni e Province hanno già da qualche
mese chiarito che "una volta disegnati, in sede regionale, i modelli di riparto delle
funzioni sarà necessario definire, per ogni livello di governo territoriale, uno
strumento finanziario generale per far fronte alle nuove funzioni. [...] Per le Regioni
occorrerà prevedere, a quel momento, la compartecipazione al gettito di un grande tributo
erariale (Irpef, Iva)" (cfr. Parere di Regioni, Comuni, Province del 5 marzo 1998).
In conclusione,
restano ancora aperti due fronti essenziali di verifica della effettiva volontà del
Governo di procedere verso una seria riforma in senso federalista: le misure da adottare
in ordine alla riorganizzazione degli apparati burocratici dello Stato, centrali e
periferici, e la definizione della questione finanziaria. Su questi temi verrà sviluppata
una coerente iniziativa da parte dei rappresentanti dei governi territoriali.
Sarebbe stato però
fin troppo facile fare leva sui limiti e sulle insufficienze della legislazione nazionale,
sulle incertezze suscitate dallarresto del processo costituente e rinunciare così a
cogliere tutte le positive opportunità che il "federalismo amministrativo" pure
offre.
In questi mesi le
Regioni italiane hanno lavorato alacremente e tra qualche mese potremo misurare la
qualità di questo sforzo.
La giunta regionale
dellEmilia-Romagna, per parte sua, ha scelto di elaborare un disegno di legge
organico non una mera proposta di legge-manifesto con il quale non solo
vengono allocate le funzioni di nuovo conferimento, ma vengono anche introdotte
innovazioni di carattere ordinamentale tese a ridefinire, in chiave federalista, i tratti
del sistema politico-amministrativo regionale e locale.
Per un verso si è
ridisegnato il rapporto tra istituzioni territoriali di governo, fondandolo sulla
valorizzazione della autonomia di ogni ente ed al tempo stesso sul rafforzamento dei
meccanismi di raccordo inter-istituzionale diretti ad assicurare una più forte coesione
del sistema di governo regionale nel suo complesso. Per altro verso si è proceduto ad una
sistematica revisione della legislazione regionale preesistente, orientata alla
semplificazione delle procedure, alla delegificazione e allalleggerimento
complessivo degli apparati.
Il progetto è,
peraltro, il risultato di un ampio e sistematico confronto con gli enti locali e con i
soggetti rappresentativi della società regionale. Non poteva che essere così, dato il
carattere che gli si è voluto dare: quello di un atto ordinamentale di riforma del
sistema regionale e locale con il quale intendiamo iniziare a praticare quel federalismo
che già oggi è possibile.