Con
lelezione diretta dei Presidenti, la VII legislatura delle Regioni a statuto
ordinario si è aperta all'insegna dellinnovazione. Anzi, si può affermare,
allinsegna dellinnovazione più significativa che lordinamento regionale
abbia conosciuto nel corso della sua storia trentennale.
In questo trentennio, le Regioni sia
pur faticosamente, soprattutto in una fase iniziale si sono affermate
consolidandosi nel tessuto istituzionale italiano e progredendo sensibilmente (come
dimostrano recenti sondaggi) nelle opinioni dei cittadini; inoltre, da tempo, il dibattito
sulle riforme scomparsa ogni voce tendente a ridimensionarne il ruolo o la stessa
esistenza si basa su una ormai generalmente acquisita necessità di rafforzamento,
semmai differenziandosi e oscillando non sul "se" potenziare lordinamento
regionale, ma sul "come".
Conquistata, dunque, la loro legittimazione
e il loro radicamento nel sistema italiano, le Regioni hanno tuttavia segnato, negli anni
passati, ritardi importanti, rimanendo sostanzialmente ai margini di quella ondata
riformatrice che, a partire dal 1993, ha consentito agli enti locali italiani di conoscere
uninedita stabilità e autorevolezza di governo. Da qui, dunque, la particolarissima
valenza della legge costituzionale n. 1/99, legge che, alla complessa ricerca di una
riscrittura dellintero disegno della Costituzione in senso federalista, ha
sostituito un approccio graduale che, in definitiva, tende a concentrarsi su alcuni
aspetti di grande rilievo, ponendo basi irreversibili per ulteriori processi di
cambiamento. Così, certamente, lintroduzione dellelezione diretta del
Presidente della Regione costituisce già in se stessa una "grande riforma",
configurando un nuovo ruolo per il Presidente allinterno del sistema regionale e,
implicitamente, per le Regioni stesse nellambito del tessuto istituzionale del
paese. In questo senso, le elezioni regionali del 2000 si sono configurate certamente
come ha sottolineato Roberto Bin in questa stessa Rivista come le più
importanti dopo quelle del 1970.
Per altro verso, la riforma del 1999,
conferendo agli statuti nuovi compiti e contenuti, apre spazi e prospettive per ulteriori,
importanti cambiamenti. Lelaborazione di questi statuti diviene dunque un terreno
primario del dibattito politico e istituzionale, dato che da essi dipenderanno in misura
determinante non solo la forma di governo e gli equilibri tra gli organi regionali, ma
anche la configurazione del ruolo della Regione in rapporto a quelli della società e
delle autonomie locali.
In questo senso, è la fisionomia
complessiva della Regione che va ripensata, come perno di un sistema di governo "a
rete" dei territori regionali, articolato tra enti locali, autonomie funzionali
(università, camere di commercio, istituti scolastici) e altre organizzazioni pubbliche e
private. Si tratta, dunque, di una riflessione di fondo, sì che risulta essenziale che i
Consigli regionali garantiscano la più ampia apertura agli apporti del sistema delle
autonomie locali, da un lato, e delle espressioni della società regionale,
dallaltro.
Nel rapporto con le autonomie locali
occorre inoltre segnare un salto di qualità, anche tenendo conto delle trasformazioni e
delle esperienze realizzate nellattuazione delle "leggi Bassanini" e
considerando, in particolare, l'atteggiarsi del ruolo e delle funzioni di Regione, da un
lato, ed enti locali, dallaltro, secondo principi di distinzione (riservando alla
Regione le funzioni di regolazione, coordinamento, impulso, sostegno e quelle di gestione
soltanto in presenza di esigenze che ne richiedano l'esercizio unitario a livello
regionale), sia pure con strumenti e rapporti flessibili, in un sistema che deve essere
caratterizzato da una forte integrazione, collaborazione e lealtà reciproca.
Larticolazione delle funzioni si
effettua, dunque, secondo un criterio di sussidiarietà verticale (inteso, anzitutto, come
"prossimità" ai cittadini), ma anche in base a principi di differenziazione e
di adeguatezza. In questo senso, vanno valorizzate le forme associative, a partire dalle
Comunità montane e dalle Unioni di Comuni, la cui funzione si presenta essenziale nella
ricerca di una risposta efficace alle insufficienze organizzative, economiche,
territoriali dei Comuni minori e va sancita statutariamente la funzione di impulso,
promozione e coordinamento che, al proposito, la Regione deve esercitare. In questo
quadro, un rilievo fondamentale deve acquisire la partecipazione del sistema delle
autonomie ai processi decisionali della Regione. In questa direzione merita sviluppare le
esperienze delle Conferenze regionali delle autonomie locali, anche trasformandole in vere
e proprie seconde Camere, dotate di efficaci capacità di intervento una sorta di
"filtro" a garanzia dell'autonomia e del decentramento nei confronti dei
procedimenti legislativi regionali che incidono significativamente sulle autonomie.
Inoltre, in questo contesto di cooperazione
e condivisione, deve mutare il significato sostanziale degli strumenti di conoscenza e di
verifica delle attività svolte dagli enti locali. Così, occorre tendere (come è
previsto nelle proposte di revisione costituzionale presentate alla Camera) alla
soppressione dei controlli formali del Coreco, trasformandone la struttura e le modalità
di azione al fine di valorizzarne la funzione di monitoraggio e di supporto,
nellinteresse degli stessi enti locali, secondo le nuove concezioni sancite dal d.
lgs. 286 del 1999.
Quanto allorganizzazione di governo
della Regione, lampiezza dei poteri e delle scelte ora demandati allautonomia
regionale può essere opportunamente utilizzata per ribadire e valorizzare la scelta
dellelezione diretta del Presidente come elemento di stabilità, autorevolezza,
avvicinamento ai cittadini del governo regionale. Questo modello va sviluppato con piena
coerenza, definendo gli assetti secondo una precisa distinzione di ruoli. Ciò implica,
tra laltro, una piena autonomia del Consiglio e una forte valorizzazione delle
capacità di indirizzo e di controllo, anche da parte delle commissioni e dei singoli
consiglieri. "Distinzione dei ruoli" significa anche spostamento in capo
allesecutivo delle funzioni amministrative, con limitate eccezioni, espressamente
indicate dallo statuto, evitando possibilità di rimettere in discussione la linea di
demarcazione qui definita. Daltronde, va ripensato lo stesso sistema delle fonti
normative, concentrando lattività del Consiglio sulla legislazione, concepita più
in funzione di determinazione di indirizzi che secondo moduli di delegificazione
lasciano spazi a regolamenti della Giunta o degli enti locali.
Le Regioni, ancora, saranno chiamate a
definire il sistema di elezione e i casi di incompatibilità e di ineleggibilità del
Presidente, degli assessori e dei consiglieri; materie, queste, che la legge cost. 1/99
demanda alla legge regionale, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge
della Repubblica. Anche su questi versanti si gioca una parte rilevante per la corretta
distinzione di ruoli e per il perseguimento di obiettivi di stabilità e di superamento di
ogni eccesso di frammentazione della rappresentanza, così come di tutela delle minoranze.
Sul piano della riforma costituzionale,
poi, rimane aperta anche in questa legislatura la via dellapprovazione
di norme-stralcio che, secondo il metodo positivamente sperimentato appunto con la legge
sullelezione del Presidente della Regione, consentano di compiere nuovi passi
nellevoluzione dellordinamento in senso federalista, sviluppando processi più
avanzati. In questa direzione si muove il documento recentemente approvato dalla
Conferenza dei Presidenti delle Regioni, sollecitando il Parlamento allapprovazione,
in tempi rapidi, di alcune disposizioni di revisione costituzionale ed avanzando precise
proposte di emendamento al testo unificato allesame della Camera su alcuni punti
irrinunciabili ed essenziali:
a) linversione dellattuale
criterio di ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni, con la riserva
allo Stato di un nucleo essenziale di materie e lattribuzione generale e residuale
alle Regioni di tutte quelle non espressamene ricomprese nel primo elenco; b) la
previsione di forme di autonomia differenziata per le Regioni a statuto ordinario (secondo
il modello di autonomia "a due velocità" tipico dellordinamento
spagnolo); c) lattribuzione, in applicazione del principio di sussidiarietà, della
generalità delle funzioni amministrative agli enti locali, salve le funzioni per cui sia
richiesto lesercizio unitario a livello statale o regionale; d) un nuovo
riconoscimento di autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali; e)
leliminazione dei controlli amministrativi sulle Regioni e gli enti locali di cui
agli articoli 125 e 130 della Costituzione e la semplificazione del controllo statale
sulle leggi regionali; f) la previsione di forme di rappresentanza del livello politico
regionale in sede parlamentare.
In questi termini, gli assetti complessivi
dello Stato italiano possono compiere, sin dai prossimi mesi, passaggi di fondo per una
trasformazione che va concepita come un percorso progressivo, adeguato, efficace. Ed anche
sotto questo profilo, risulta di importanza fondamentale che le proposte riformatrici
siano sviluppate con la più solida rete di consensi, a partire da quello dellintero
sistema delle autonomie.
E risulta altresì di importanza
fondamentale che non si ritardi la prosecuzione dellopera di innovazione:
lesperienza dimostra che molto spesso le riforme si muovono su un piano in salita,
per cui fermare la spinta propulsiva prima di aver completato il percorso rischia di
travolgere i risultati ottenuti con inarrestabili arretramenti.