N.3-4 2000 • ANNO XXI - maggio/agosto
Editoriale/Luciano Vandelli
Regioni: riforme attuate e riforme necessarie

Con l’elezione diretta dei Presidenti, la VII legislatura delle Regioni a statuto ordinario si è aperta all'insegna dell’innovazione. Anzi, si può affermare, all’insegna dell’innovazione più significativa che l’ordinamento regionale abbia conosciuto nel corso della sua storia trentennale.

In questo trentennio, le Regioni – sia pur faticosamente, soprattutto in una fase iniziale – si sono affermate consolidandosi nel tessuto istituzionale italiano e progredendo sensibilmente (come dimostrano recenti sondaggi) nelle opinioni dei cittadini; inoltre, da tempo, il dibattito sulle riforme – scomparsa ogni voce tendente a ridimensionarne il ruolo o la stessa esistenza – si basa su una ormai generalmente acquisita necessità di rafforzamento, semmai differenziandosi e oscillando non sul "se" potenziare l’ordinamento regionale, ma sul "come".

Conquistata, dunque, la loro legittimazione e il loro radicamento nel sistema italiano, le Regioni hanno tuttavia segnato, negli anni passati, ritardi importanti, rimanendo sostanzialmente ai margini di quella ondata riformatrice che, a partire dal 1993, ha consentito agli enti locali italiani di conoscere un’inedita stabilità e autorevolezza di governo. Da qui, dunque, la particolarissima valenza della legge costituzionale n. 1/99, legge che, alla complessa ricerca di una riscrittura dell’intero disegno della Costituzione in senso federalista, ha sostituito un approccio graduale che, in definitiva, tende a concentrarsi su alcuni aspetti di grande rilievo, ponendo basi irreversibili per ulteriori processi di cambiamento. Così, certamente, l’introduzione dell’elezione diretta del Presidente della Regione costituisce già in se stessa una "grande riforma", configurando un nuovo ruolo per il Presidente all’interno del sistema regionale e, implicitamente, per le Regioni stesse nell’ambito del tessuto istituzionale del paese. In questo senso, le elezioni regionali del 2000 si sono configurate certamente – come ha sottolineato Roberto Bin in questa stessa Rivista – come le più importanti dopo quelle del 1970.

Per altro verso, la riforma del 1999, conferendo agli statuti nuovi compiti e contenuti, apre spazi e prospettive per ulteriori, importanti cambiamenti. L’elaborazione di questi statuti diviene dunque un terreno primario del dibattito politico e istituzionale, dato che da essi dipenderanno in misura determinante non solo la forma di governo e gli equilibri tra gli organi regionali, ma anche la configurazione del ruolo della Regione in rapporto a quelli della società e delle autonomie locali.

In questo senso, è la fisionomia complessiva della Regione che va ripensata, come perno di un sistema di governo "a rete" dei territori regionali, articolato tra enti locali, autonomie funzionali (università, camere di commercio, istituti scolastici) e altre organizzazioni pubbliche e private. Si tratta, dunque, di una riflessione di fondo, sì che risulta essenziale che i Consigli regionali garantiscano la più ampia apertura agli apporti del sistema delle autonomie locali, da un lato, e delle espressioni della società regionale, dall’altro.

Nel rapporto con le autonomie locali occorre inoltre segnare un salto di qualità, anche tenendo conto delle trasformazioni e delle esperienze realizzate nell’attuazione delle "leggi Bassanini" e considerando, in particolare, l'atteggiarsi del ruolo e delle funzioni di Regione, da un lato, ed enti locali, dall’altro, secondo principi di distinzione (riservando alla Regione le funzioni di regolazione, coordinamento, impulso, sostegno e quelle di gestione soltanto in presenza di esigenze che ne richiedano l'esercizio unitario a livello regionale), sia pure con strumenti e rapporti flessibili, in un sistema che deve essere caratterizzato da una forte integrazione, collaborazione e lealtà reciproca.

L’articolazione delle funzioni si effettua, dunque, secondo un criterio di sussidiarietà verticale (inteso, anzitutto, come "prossimità" ai cittadini), ma anche in base a principi di differenziazione e di adeguatezza. In questo senso, vanno valorizzate le forme associative, a partire dalle Comunità montane e dalle Unioni di Comuni, la cui funzione si presenta essenziale nella ricerca di una risposta efficace alle insufficienze organizzative, economiche, territoriali dei Comuni minori e va sancita statutariamente la funzione di impulso, promozione e coordinamento che, al proposito, la Regione deve esercitare. In questo quadro, un rilievo fondamentale deve acquisire la partecipazione del sistema delle autonomie ai processi decisionali della Regione. In questa direzione merita sviluppare le esperienze delle Conferenze regionali delle autonomie locali, anche trasformandole in vere e proprie seconde Camere, dotate di efficaci capacità di intervento – una sorta di "filtro" a garanzia dell'autonomia e del decentramento – nei confronti dei procedimenti legislativi regionali che incidono significativamente sulle autonomie.

Inoltre, in questo contesto di cooperazione e condivisione, deve mutare il significato sostanziale degli strumenti di conoscenza e di verifica delle attività svolte dagli enti locali. Così, occorre tendere (come è previsto nelle proposte di revisione costituzionale presentate alla Camera) alla soppressione dei controlli formali del Coreco, trasformandone la struttura e le modalità di azione al fine di valorizzarne la funzione di monitoraggio e di supporto, nell’interesse degli stessi enti locali, secondo le nuove concezioni sancite dal d. lgs. 286 del 1999.

Quanto all’organizzazione di governo della Regione, l’ampiezza dei poteri e delle scelte ora demandati all’autonomia regionale può essere opportunamente utilizzata per ribadire e valorizzare la scelta dell’elezione diretta del Presidente come elemento di stabilità, autorevolezza, avvicinamento ai cittadini del governo regionale. Questo modello va sviluppato con piena coerenza, definendo gli assetti secondo una precisa distinzione di ruoli. Ciò implica, tra l’altro, una piena autonomia del Consiglio e una forte valorizzazione delle capacità di indirizzo e di controllo, anche da parte delle commissioni e dei singoli consiglieri. "Distinzione dei ruoli" significa anche spostamento in capo all’esecutivo delle funzioni amministrative, con limitate eccezioni, espressamente indicate dallo statuto, evitando possibilità di rimettere in discussione la linea di demarcazione qui definita. D’altronde, va ripensato lo stesso sistema delle fonti normative, concentrando l’attività del Consiglio sulla legislazione, concepita più in funzione di determinazione di indirizzi che – secondo moduli di delegificazione – lasciano spazi a regolamenti della Giunta o degli enti locali.

Le Regioni, ancora, saranno chiamate a definire il sistema di elezione e i casi di incompatibilità e di ineleggibilità del Presidente, degli assessori e dei consiglieri; materie, queste, che la legge cost. 1/99 demanda alla legge regionale, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica. Anche su questi versanti si gioca una parte rilevante per la corretta distinzione di ruoli e per il perseguimento di obiettivi di stabilità e di superamento di ogni eccesso di frammentazione della rappresentanza, così come di tutela delle minoranze.

Sul piano della riforma costituzionale, poi, rimane aperta –anche in questa legislatura – la via dell’approvazione di norme-stralcio che, secondo il metodo positivamente sperimentato appunto con la legge sull’elezione del Presidente della Regione, consentano di compiere nuovi passi nell’evoluzione dell’ordinamento in senso federalista, sviluppando processi più avanzati. In questa direzione si muove il documento recentemente approvato dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni, sollecitando il Parlamento all’approvazione, in tempi rapidi, di alcune disposizioni di revisione costituzionale ed avanzando precise proposte di emendamento al testo unificato all’esame della Camera su alcuni punti irrinunciabili ed essenziali:

a) l’inversione dell’attuale criterio di ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni, con la riserva allo Stato di un nucleo essenziale di materie e l’attribuzione generale e residuale alle Regioni di tutte quelle non espressamene ricomprese nel primo elenco; b) la previsione di forme di autonomia differenziata per le Regioni a statuto ordinario (secondo il modello di autonomia "a due velocità" tipico dell’ordinamento spagnolo); c) l’attribuzione, in applicazione del principio di sussidiarietà, della generalità delle funzioni amministrative agli enti locali, salve le funzioni per cui sia richiesto l’esercizio unitario a livello statale o regionale; d) un nuovo riconoscimento di autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali; e) l’eliminazione dei controlli amministrativi sulle Regioni e gli enti locali di cui agli articoli 125 e 130 della Costituzione e la semplificazione del controllo statale sulle leggi regionali; f) la previsione di forme di rappresentanza del livello politico regionale in sede parlamentare.

In questi termini, gli assetti complessivi dello Stato italiano possono compiere, sin dai prossimi mesi, passaggi di fondo per una trasformazione che va concepita come un percorso progressivo, adeguato, efficace. Ed anche sotto questo profilo, risulta di importanza fondamentale che le proposte riformatrici siano sviluppate con la più solida rete di consensi, a partire da quello dell’intero sistema delle autonomie.

E risulta altresì di importanza fondamentale che non si ritardi la prosecuzione dell’opera di innovazione: l’esperienza dimostra che molto spesso le riforme si muovono su un piano in salita, per cui fermare la spinta propulsiva prima di aver completato il percorso rischia di travolgere i risultati ottenuti con inarrestabili arretramenti.