N.2 1997 ANNO XVIII - marzo/aprile
Editoriale/Marco Cammelli
I beni culturali tra riforme di settore e nuovi assetti istituzionali

1. I saggi pubblicati in questo numero rappresentano in modo esauriente le questioni che attraversano la riforma del settore dei beni culturali e ne fanno un banco di prova significativo per il dibattito istituzionale sul federalismo.

Come si è detto nell’illustrare il nuovo orientamento della Rivista, i problemi connessi ad un forte decentramento istituzionale non riguardano solo il profilo generale (e il livello costituzionale), cui si è dedicato il numero precedente, ma richiedono una paziente analisi più ravvicinata, rapportata alle questioni poste dalle singole materie, o dalle aree funzionali in cui queste siano aggregate.

È esattamente questo motivo che ci ha condotto a prevedere per primo, tra gli approfondimenti di settore, quello relativo ai beni culturali.

Innanzitutto per una, garbata, ma necessaria, provocazione agli ambienti degli addetti a (questi) lavori, nei quali dovrebbe aprirsi un dibattito che in realtà non appare né (sempre) aperto né (interamente) consapevole della posta in gioco. Anzi, per molti la questione neppure si pone, essendo del tutto pacifico che universalità della cultura, centralità dei relativi interventi e statalità di chi vi pone mano sono aspetti necessariamente connessi, e dunque in realtà in materia non si ponga alcun problema centro-periferia se non per limitati aspetti gestionali o sul versante amministrazione (statale) centrale e amministrazione (statale) periferica.

In secondo luogo, perché si tratta di capire se questo atteggiamento riguardi solo la cultura "oggetto" dell’intervento pubblico o non si sia invece di fronte all’ennesimo divorzio tra dinamiche istituzionali e processi culturali: una dissociazione, per intenderci, che ha già prodotto le "Regioni senza regionalismo" e che, oggi, potrebbe riproporsi con il federalismo, facendone una riprogettazione del tessuto istituzionale senza anima, senza attori, senza identità: in una parola, appunto, senza cultura, "soggetto" determinante.

2. Il tempo trascorso tra la raccolta dei saggi, a partire da quello di chi scrive, e la pubblicazione è stato segnato da tali e tante novità da richiedere qualcosa di più di un semplice aggiornamento.

2.1. Un primo piano è quello delle novità normative, per molti aspetti assai significative sui rapporti centro/periferia. Dando per noto l’assetto fin qui vigente, tra le innovazioni si segnalano:

a) leggi 59/1997 e 127/1997, su più fronti:

+ quello dei conferimenti al sistema delle autonomie, dell’oggetto dei trasferimenti, con una esclusione dal decentramento generale (quella appunto della tutela dei beni culturali e del patrimonio storico artistico (art. 1.3. lettera d) e alcune inclusioni: certamente la valorizzazione; certamente i musei statali (ex art. 17 comma 131 della legge 127/1997); e forse, ma la cosa è oggetto di discussione, anche le strutture legate in prevalenza alla fruizione (come ad esempio le biblioteche); dei destinatari: ovviamente le Regioni e gli enti locali territoriali ma, a loro fianco, anche alcune autonomie funzionali (v. Università) per particolari categorie di beni, come le bibilioteche universitarie. Anche questo profilo andrà approfondito, ma non mancano elementi a sostegno quali la protezione delle autonomie funzionali (1.4 lettera d) rispetto alle territoriali (e 3.1. lettera d: no all’esercizio esclusivo di queste ultime), o la possibilità di avvalimento di uffici (3.1. lettera f);

b) quello della semplificazione, in due direzioni: quella della affermazione del principio generale della sussidiarietà (art. 4.3. lettera a) (in senso orizzontale e verticale), e quella della soppressione funzioni obsolete (4.3. c) o della semplificazione procedimenti (art. 20.5 lettera a);

c) il versante della riorganizzazione di quello che residua sia al centro (art. 12, tutto) che in periferia (art. 12. lettera h);

d) né sono mancate significative modifiche procedurali, le più importanti delle quali sono rappresentate dal superamento delle sedi di settore (v. legge 127/1997) come sedi cui è riconosciuta l’ultima parola nei procedimenti: è il caso del silenzio assenso (art. 12.5 e 6) per le richieste di autorizzazione da parte di proprietari di immobili vincolati e il superamento del diniego del soprintendente in sede di conferenza di servizi (novella dell’art. 14.4 legge 241/1990) con art. 17.3 (delibera del Consiglio dei ministri).

Tutto questo pone bene in evidenza che al di là dell’oggetto del trasferimento, il mutamento è assai vasto sia per quanto riguarda direttamente il settore sia per quanto invece attiene all’intero contesto.

2.2. A tutto ciò si aggiungono le proposte della Bicamerale: al di là delle molteplici conseguenze indirette che derivano dalla adozione di un sistema ispirato ad un forte e generale decentramento istituzionale, la bozza "d’Onofrio", approvata il 3 giugno 1997 conferma la riserva al centro della tutela dei beni culturali e ambientali (art. 4.1.). Ma chi ritenesse che, allora, le cose in questo settore sarebbero destinate a rimanere allo stato attuale sbaglierebbe. Infatti:

- compare una clausola generale di adeguamento a quanto fosse diversamente disposto dalla UE (art. 4.1. inizio);

- sono costituzionalizzati i princìpi di sussidiarietà (v. competenza amministrativa generale dei Comuni, art. 1.3), di cooperazione (art. 1.6) e di tutela delle autonomie funzionali, (art. 1.2);

- è stabilita la competenza residuale e speciale dello stato (art. 4.1.);

- è assicurata l’autonomia finanziaria completa degli enti locali (art. 6.1): questione rilevante in sé, ma particolarmente importante in materia di beni culturali ove l’utilizzazione della leva fiscale, come si sa, è determinante ai fini delle politiche di settore;

- i beni demaniali sono in via ordinaria e generale assegnati ai Comuni (ad eccezione di quelli espressamente riservati allo Stato in quanto essenziali all’esercizio di funzioni ad esso attribuite: art. 6.4);.

Non è difficile rendersi conto che in un contesto così radicalmente innovato ben poco del nostro settore, quali che ne siano le sorti specifiche, rimarrà invariato.

Proprio le considerazioni da ultimo effettuate sottolineano la necessità di superare le episodiche querelles che si accendono, in occasione della finanziaria di turno e di provvedimenti di settore, tra "centralisti" e "decentratori". Si tratta, come ognuno vede, di antinomie sterili, semplificanti e in definitiva mistificanti, come ben sanno i protagonisti più consapevoli dell’uno e dell’altro fronte, perché il problema, assai più che centro versus autonomie, è un altro:

- da un lato, il dato sostanziale (quali beni, quale tutela, ecc.);

- dall’altro, il dato ordinamentale (quale pubblico, quale centro e quali autonomie).

Ma per far questo, appunto, occorre imboccare con pazienza un percorso assai più lungo e difficile, che dobbiamo sforzarci di seguire punto per punto.

3. Intanto, una precisazione di ordine culturale (è la parte più dura e difficile, ma senza di questa non ha senso neppure avviare il discorso. Al di sotto delle più varie posizioni di merito, vi è una sequenza (per lo più inavvertita) di concetti che va esplicitata e corretta. In particolare, va negata la ricorrente equivalenza tra:

- universalità e generalità, degli interessi e dei valori: vedremo infatti che se è vero che c’è un cerchio stretto di beni la cui portata è davvero universale (e, conseguentemente, la loro tutela non potrà che sottostare a criteri rigidi e uniformi, decisi al centro), è altrettanto vero che vi possono essere beni il cui interesse è frutto di una valutazione più ravvicinata, legata al contesto e alle identità culturali e sociali delle singole collettività locali (e dunque con una tutela frutto di criteri più flessibili e differenziati). Il che è sufficiente a dimostrare che l’universalità e la generalità sono termini tra loro non necessariamente equivalenti;

- interesse pubblico e gestione pubblica: la presenza del primo, in un sistema non più statalista ed anzi ispirato al principio della sussidiarietà (anzi orizzontale), non comporta necessariamente la seconda, ben potendo esservi (con in fatto avviene) profili di rilevanza pubblica in beni e attività in mano a privati;

- in ogni caso, pubblico non equivale a statale, per la crescente importanza di tutto ciò che appartiene al primo senza rientrare nel secondo, come avviene per tutto il sistema delle autonomie territoriali (Regioni, Province, Comuni) e funzionali (Università, Camere di commercio, ecc.);

- infine, ciò che è statale non necessariamente è ministeriale, ed in particolare non lo è ciò che è al centro: anzi, il nostro tempo è profondamente segnato dal dilatarsi di un centro non ministeriale), dalle autorità indipendenti alla banca centrale fino alla presenza del sistema locale al centro, ormai generalizzata dalla legge 59/1997 sia negli apparati di settore (v. art. 3.1. lettera c), sia nelle sedi generali (riformulazione ruolo Stato-Regioni-Città, art. 9).

Tanto basta per mostrare la sterilità di contrapposizioni basate solo su aggettivi senza sostantivi (regolazione, controllo, gestione, finanziamento, ecc.) e da qualificare dunque, vere e proprie fallacie in senso tecnico.

4. In ogni caso, il dibattito sull’assetto organizzativo e istituzionale non può nascondere il dato, centrale, della crisi profonda della legge n. 1089 che, per essere stata una legge di eccezionale modernità e preveggenza, non può ormai nascondere i segni del tempo e le difficoltà messe in luce dalla crisi nei presupposti, prima ancora che nella resa operativa. I mutamenti verificatisi hanno infatti investito:

a) la parte sostanziale, tutta centrata sul:;

- bene come cosa, e dunque sbilanciata rispetto al passaggio dal bene alla attività (e dal paesaggio al territorio);

- pubblico, con gravi carenze nelle relazioni con i privati, dal terreno delle garanzie (modeste) alla proprietà alla mancata considerazione delle nuove forme del privato sociale (v. associazioni, volontariato, ecc.), per non parlare dell’approccio liberista della UE;

- carattere nazionale, mentre è ben noto (v. Chiti) l’aprirsi di uno spazio comunitario (v. circolazione dei beni; v. sussidiarietà nei rapporti con la UE);

- proprietà, sia pubblica (cioè statale) che privata, mentre è ormai evidente l’importanza determinante della fruizione e dell’uso;

- tutela, che ovviamente resta fondamentale, ma che vede il rilievo crescente della valorizzazione e che, soprattutto, nasce monofunzionale e settoriale mentre ormai forzatamente interseca altri settori e interessi pubblici (turismo, territorio, ecc.) di pari rilievo;

b) la parte della organizzazione, impostata prevalentemente sulle autorità di tutela, mentre:

- è ormai matura, rispetto agli organi di tutela, l’autonomizzazione degli apparati erogatori di servizi, in particolare musei e biblioteche;

- l’evidente crisi del coordinamento centralizzato tra le diverse soprintendenze mette in luce la necessità di un coordinamento orizzontale, sia tra soprintendenze che con il sistema delle autonomie;

- l’equivalenza pubblico=statale, era alle origini giustificata dalla situazione fortemente integrata degli apparati "pubblici" nelle loro varie articolazioni, sia in orizzontale (sistema costituito da podestà, prefetto e soprintendente) che in verticale (competenze sui prg del Ministero dei ll.pp., ruolo del Ministro e Ministero nelle nomine, nei provvedimenti di vincolo, nel ricorso gerarchico).

Ora, è del tutto evidente che nulla di questo è rimasto uguale basti pensare, a puro titolo di richiamo, alla epocale crisi dello stato centrale, al trasferimento alle Regioni e al sistema locale di tutti i settori contermini, alla privatizzazione del pubblico impiego e alla distinzione tra politica e amministrazione.

5. Tutto questo ha inevitabilmente comportato dei prezzi, in termini di profonde alterazioni dovute, per quanto si è appena visto, non tanto ai singoli attori ma al mantenimento del vecchio sistema in un contesto radicalmente diverso.

Se è vero infatti che meritoriamente le soprintendenze hanno saputo tenere in condizioni estremamente difficili, guadagnandosi sul campo meriti e riconoscimento indiscutibili, è altrettanto vero che si sono registrate gravi disfunzioni specifiche, basti pensare al ruolo affidato al centro e che invece è stato in larga misura omesso (dalla selezione degli obiettivi ai sistemi informativi, per non parlare della presenza nelle sedi comunitarie) (1), all’allentamento dei rapporti tra Ministero e uffici periferici, al grippaggio organizzativo delle strutture (v. contabilità e personale).

Ma il punto più importante riguarda alterazioni ancora più generali, vale a dire il grave squilibrio generale generato dal combinarsi della dilatazione della tutela (in termini di beni e mezzi di intervento) con l’unilateralità dell’apprezzamento degli interessi in gioco. Una unilateralità accentuata dall’allargarsi del fronte dei conflitti (tra interesse alla tutela e altri interessi, pubblici e privati) e dal venire meno di ogni sede di composizione e di forma di bilanciamento, quali erano assicurate (sia pure più implicitamente che formalmente) dall’assetto istituzionale degli anni ’30.

Non può dunque meravigliare, dati questi presupposti, che l’esercizio di un potere discrezionale di grande incisività abbia portato a due conseguenze. Una più riposta, direi quasi intima quasi psicologica) e cioè la solitudine, o il vero modo inevitabile, "sindrome dell’assediato", come l’ha definita lo stesso Paolucci. L’altra plateale, vale a dire una rigidità sistemica a cui (fatalmente) si risponde in modo altrettanto viziato, vale a dire con lo "sforamento".

A quest’ultimo era già riferibile l’ampia casistica, che ha lungamente destabilizzato il settore, della legislazione speciale e degli interventi straordinari. Oggi i rimedi perdono il carattere della estemporaneità e diventano "ordinari", come avviene con il recente superamento delle sedi di settore nella legge 127/1997 (v. silenzio assenso, art. 12.5 e 6, e superamento del diniego del soprintendente nell’ambito della conferenza di servizi, novella art. 14.4 legge 241/1990, con art. 17.3 che prevede la delibera del Consiglio dei ministri) ma siamo ancora lontani, almeno a mio parere, da un assetto sufficientemente equilibrato.

6. Se c’è qualcosa di vero in quanto si è fin qui osservato, allora è chiaro che la sfida è quella di una complessiva ricostruzione del sistema che va comunque operata ripensando, nello stesso tempo, a ricontestualizzare la legge 1089 e a ricostruire un centro e una periferia. I beni culturali incontrano il federalismo esattamente a questo punto.