Il
mutamento politico provocato dalle recenti elezioni regionali ha introdotto una situazione
inedita, almeno per lItalia. Per la prima volta, la maggioranza delle Regioni
ordinarie è nettamente schierata sul versante politico opposto al Governo. È una
situazione inedita, ma non una situazione priva di potenzialità interessanti.
Negli ultimi anni, il fatto che la maggior
parte delle Regioni fosse governata da una coalizione politica omogenea a quella al
governo del paese aveva generato una evidente solidarietà politica tra Regioni e Governo.
In questo clima ha potuto svilupparsi il ruolo della Conferenza Stato-Regioni. Esso si è
sviluppato senza contrapposizioni nette e senza elaborare un preciso codice di regole
decisionali: lassenza delle contrapposizioni ha consentito alla Conferenza di
dilatare il suo ruolo politico di organo di coordinamento centro/periferia, mentre la
dilatazione è stata possibile proprio perché non si sono mai definite precise regole
procedurali e decisionali. In altre parole, la Conferenza ha potuto assumere la funzione
di sede privilegiata della "leale collaborazione" tra Stato e Regioni,
mantenendo assai basso il livello di formalizzazione dei ruoli e delle procedure, cosa
che, per altro, è probabilmente funzionale allo stesso concetto di "leale
collaborazione". Solo alle ultimissime battute della legislatura regionale, quando
ormai linfuocato clima elettorale dominava la scena, le Regioni del "Polo"
hanno clamorosamente rotto il fronte regionale, indurendo improvvisamente il clima tutto
sommato "morbido" che aveva dominato sino ad allora.
Ora la situazione è completamente cambiata
e gli sviluppi sono imprevedibili. Tutto dipende da cosa privilegeranno i leader delle
Regioni del "Polo". Se la Conferenza verrà usata come lennesimo luogo in
cui portare il conflitto politico, lo scontro elettorale anticipato, lopposizione
dura al Governo, è assai probabile che la linea di sviluppo delle sue funzioni invertirà
il verso della parabola. Lassenza di precise regole di funzionamento potrà
consentire al Governo di far girare al minimo la Conferenza, lasciandola rifluire al ruolo
di mero organo consultivo, privo di reale peso politico. Ma è possibile e
naturalmente sperabile che venga scelta unaltra via: che i leader regionali
colgano limportanza di mantenere in funzione un organo che, non esposto in primo
piano sulla tormentata scena politica, si caratterizza come un raccordo strategico tra lo
Stato e le Regioni che governano. La differenza di colore politico diverrebbe allora non
un ostacolo al funzionamento della Conferenza, ma una risorsa per migliorarlo. In che
senso?
Lassenza di regole precise si
diceva ha favorito lo sviluppo del ruolo "informale" della Conferenza.
Può essere arrivato il momento di formalizzarlo, di tradurlo in regole che consentano
alla Conferenza di potenziare la propria funzionalità. Alcuni esempi. In questi anni la
Conferenza ha dovuto quasi sempre lavorare in tempi stretti, incalzata
dalliniziativa del Governo che sottoponeva alla sua attenzione i provvedimenti
dellultima ora. Daltra parte, il Presidente del Consiglio ha usato in pieno la
sua prerogativa di fissare lordine del giorno per ottenere dalla Conferenza il
parere che le leggi prevedono come obbligatorio o i pareri che il Governo riteneva
opportuno acquisire: ed è chiaro che, nellazione del Governo, lurgenza preme
e provoca lesigenza di ridurre i tempi dei complessi procedimenti consultivi. A loro
volta, le Regioni hanno avuto poco tempo per discutere le questioni sottoposte alla loro
attenzione e sono arrivate assai spesso in Conferenza su posizioni differenziate. La
solidarietà politica tra Governo e maggioranza delle Regioni ha indubbiamente favorito
lattenuazione dei conflitti tra Stato e Regioni, consentendo al Governo di uscire
indenne dal confronto con le Regioni anche quando prospettava loro misure tuttaltro
che utili ai loro interessi.
Il potere di fissare lordine del
giorno, lo si sa bene, è decisivo nel "governo" degli organi collegiali. Di
questo potere sarebbe bene che le Regioni cominciassero a discutere con il Governo. Da un
lato, si tratterebbe dellesigenza di affiancare al Presidente della Conferenza,
cioè al Presidente del Consiglio dei ministri, il Presidente della "Conferenza dei
Presidenti" di Regione, in modo che lordine del giorno sia fissato in seguito
alla loro trattativa e non sia più scelto unilateralmente dal Governo. Dallaltro,
sarebbe necessario introdurre uno strumento di programmazione dei lavori a medio termine.
Infatti, mentre il Governo porta alla Conferenza proposte già studiate e definite,
ponendo così in difficoltà le Regioni non sempre preparate ad affrontarle, le Regioni
non hanno modo di far inserire nellordine del giorno argomenti di loro interesse che
abbiano già avuto la necessaria istruttoria. Un programma bi/trimestrale di attività
potrebbe servire a questo obiettivo, permettendo alle Regioni di istituire i tavoli
tecnici e le procedure istruttorie necessarie a preparare la successiva deliberazione in
Conferenza.
Dunque: un sistema di co-presidenza, il
potere di co-decidere lordine del giorno, uno strumento di programmazione dei lavori
che consenta alla Regioni di uscire dallattuale posizione passiva, di attesa
delliniziativa governativa e di diventare invece propositive. Forse sarebbe
necessaria anche una riforma della struttura amministrativa della Conferenza, tale da
adeguarla alla posizione che essa ricopre. Si tratterebbe, insomma, di non considerare
più la Conferenza come un organo della Presidenza del Consiglio, ma, come ebbe modo di
dire la stessa Corte costituzionale, come unamministrazione terza rispetto allo
Stato e alle Regioni. Questi sarebbero i passi necessari per riequilibrare il ruolo della
Conferenza Stato-Regioni, nel tentativo di farne una sede anche delliniziativa
regionale, oltre che di quella governativa. Sono misure che non richiedono grandi
provvedimenti legislativi, anzi, è probabile che possano essere conseguite attraverso
accordi informali e prassi condivise. Sarebbe inoltre meglio che ciò accadesse perché,
oggi, più la sede o la forma della decisione è "visibile", maggiore è la
probabilità che si renda visibile anche lo scontro politico, conseguenza,
questultima, di una malintesa interpretazione italica del bipolarismo, in grado solo
di alimentare il clamore dello scontro e di allontanare ogni decisione.