La sussidiarietà ha giocato un ruolo importante nellispirare il movimento
di riforma costituzionale e legislativa degli ultimi anni. E forse la sussidiarietà
"orizzontale" (quella che riguarda il riparto dei compiti tra il pubblico e il
privato) è emersa come unidea anche più aggressiva e innovativa della più
tradizionale sussidiarietà "verticale" (quella che dovrebbe ispirare il riparto
dei compiti tra i diversi livelli del pubblico potere).
Che la sussidiarietà sia divenuta uno
slogan ripetuto allinfinito, argomento di convegni e seminari, criterio
dispirazione del legislatore o norma di principio della stessa legislazione positiva
non ha però affatto diminuito lelevato tasso di equivocità, di imprecisione e di
ambivalenza che lha caratterizzata da sempre. Ed anche ciò vale per la
sussidiarietà "orizzontale" ancora di più che per quella
"verticale". Non potrebbe essere diversamente, perché la sussidiarietà
orizzontale si porta dietro tutte le implicazioni e gli equivoci che intorbidano il
discorso attorno ai rapporti tra pubblico e privato, nei diversi contesti in cui esso si
sviluppa: il mercato, la televisione, lassistenza pubblica, la scuola
Il problema è costituito anzitutto
dai soggetti. Non è difficile individuare i soggetti protagonisti della sussidiarietà
"verticale": lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni si sono fronteggiati in
lunghe trattative per farsi riconoscere, funzione per funzione, compito per compito, il
ruolo di ente principale, titolare "naturale" (perché più vicino ai cittadini,
ma di scala sufficiente per assicurare lefficienza) della funzione o del compito in
questione. Si è posto semmai il problema delladeguatezza dellente (troppe e
troppo piccole le Regioni, troppi e troppo polverizzati i Comuni, ecc.): questo ha schiuso
qualche spiraglio al profilarsi di soggetti nuovi, quali le Città metropolitane, oppure a
una legislazione capace di differenziare i ruoli allinterno della medesima classe di
enti, in modo da riservare lesercizio delle funzioni principali solo a quelli di
essi che garantiscano una dimensione efficiente e spingere gli altri ad associarsi o
fondersi. Sono gli obiettivi che hanno ispirato le leggi e i decreti Bassanini e che
dovrebbero essere implementati dalla legislazione regionale. Ma quali sono i soggetti
della sussidiarietà "orizzontale"? Qui il problema si fa davvero arduo, perché
se i soggetti pubblici possono apparire inadeguati, dove sono i soggetti privati, quali
garanzie di efficienza sono in grado di offrire, in che misura assicurano il perseguimento
dellinteresse generale?
Il difficile dibattito sulla parità
della scuola privata rispetto alla pubblica è solo la più recente delle occasioni in cui
è apparsa la complessità del problema. Ancora più della sussidiarietà
"verticale", quella "orizzontale" appare con nettezza costituire nulla
più che un indirizzo di politica legislativa di larghissima massima, ben lontano ancora
dal tradursi in norme operative; e per di più è qualcosa di sostanzialmente estraneo
rispetto alla legislazione che dà (o dovrebbe dare) corpo alla sussidiarietà
"verticale". Questultima si può realizzare con una serie di provvedimenti
di trasferimento delle funzioni dal centro verso la periferia, dalle Regioni verso gli
enti locali. Ma sono sempre le stesse "funzioni pubbliche" quelle che migrano da
un livello allaltro, mentre la sussidiarietà "orizzontale" è proprio
della quantità e della qualità di quelle funzioni che si dovrebbe occupare, nel senso
che di esse vorrebbe operare una drastica riduzione. Ma è una riduzione che non può
essere operata dai decreti di attuazione della Bassanini, né dalle conseguenti leggi
regionali di trasferimento agli enti locali.
Dovranno essere le leggi di settore a
dare senso a uno slogan che tale ancora è rimasto e tale, probabilmente, ancora a lungo
resterà. Perché è necessario immaginarsi in che modo verranno assicurati i princìpi e
soddisfatte le esigenze che sino ad oggi hanno giustificato la permanenza in campo alle
amministrazioni pubbliche delle funzioni che si vorrebbero lasciare ai soggetti privati.
Già, appunto, ma a quali soggetti privati?
In certi casi lindividuazione
dei soggetti privati non presenta difficoltà insormontabili. Per le prestazioni sanitarie
e per lassistenza sociale il processo di immissione dei soggetti privati
nellorganizzazione dei servizi è già avanzato. Nella scuola siamo ancora in mare
aperto, perché qui vi è qualche complicazione in più. Nessuno ospedale è concepito
come "organizzazione di tendenza", tale da qualificare il proprio servizio in
termini di confessione o di ideologia: le strutture private operano secondo standard,
princìpi ed etiche non diversi da quelli delle strutture pubbliche. Non è difficile,
perciò, immaginarsi che il servizio pubblico abbia un gestore privato accanto a quello
pubblico, così come accade nella televisione o nelle telecomunicazioni.
È probabile che anche nella scuola
sia possibile procedere nella stessa ottica, ma solo ad alcune condizioni. Forse si
potrebbe prospettare un "servizio educativo pubblico" gestito da soggetti
diversi, alcuni pubblici (e non necessariamente statali), altri privati: purché vi
fossero regole comuni precise che disciplinano il modo in cui deve svolgersi il servizio
pubblico, sia esso offerto dalle scuole pubbliche o dalle scuole private. Si dovrebbe
garantire la libertà di accesso di tutti al servizio, senza preclusioni "di
tendenza", la laicità dellinsegnamento (compresa lassenza di simboli e
di insegnamenti a carattere religioso), il pluralismo dei docenti, che dovrebbero essere
insindacabili nelle loro scelte personali (mentre oggi, nelle scuole di tendenza, sono
cacciabili ad nutum per ogni infrazione alla confessione), e così via.
Forse la gestione di un servizio
pubblico così impostato non interesserebbe alcune delle attuali scuole confessionali, che
sarebbero libere di proseguire la loro attività totalmente immerse "nel
privato" (ossia, senza oneri per lo Stato), ma potrebbe sicuramente interessare altre
scuole private, che non hanno lindottrinamento come loro unico o principale
obiettivo. Anche qui, in fondo, sarebbe un problema di scelta dei soggetti.
Un problema assai preciso di scelta
dei soggetti si pone anche nel settore delle attività produttive. Qui ci troviamo di
fronte anzitutto la questione delle Camere di commercio, che sono trasversali rispetto
agli assi orizzontale e verticale della sussidiarietà: sono "pubblico" in
quanto natura dellente, e sono "privato" in quanto a struttura
rappresentativa; sono ancora "pubblico" per la natura delle funzioni
amministrative loro assegnate dalla legge, e di nuovo "privato" per la pretesa
di rappresentare gli interessi del mondo dellimpresa, ponendosi in oggettiva
concorrenza con le associazioni imprenditoriali. La legge 580/1993 le ha sottoposte a una
drastica riforma, ma, lasciando aperto il disegno della loro riorganizzazione, ha rinviato
allautonomia statutaria. La legge 59 e il decreto legislativo 112 ne hanno fatte
salve le attribuzioni, ma non sono riusciti a delinearne meglio il ruolo. Le leggi
regionali di riordino delle funzioni si muovono in direzioni divergenti: talvolta vi fanno
menzione per mero adempimento formale delle previsioni del decreto Bassanini, in altri
casi sembrano intenzionate a farne il pilastro dellintervento regionale nei settori
produttivi.
Proprio dalle Camere di commercio la
Rivista intende iniziare un processo di riflessione sui soggetti e le forme della
sussidiarietà "orizzontale". In questo fascicolo pubblichiamo una ricerca
originale di Massimo Ferrante sulle Camere di commercio dopo la riforma del 1993, ricerca
che offre spunti assai interessanti circa il ruolo delle Camere e la loro capacità di
rappresentare gli interessi imprenditoriali. Labbiamo sottoposta allattenzione
critica di Piero Bassetti, per sollecitare il commento di chi ha per tanto tempo vissuto
al massimo livello lesperienza camerale e il processo di riforma. Il commento non si
è fatto attendere e, come il Lettore avrà modo di rilevare, non ha affatto deluso le
aspettative.